Google ha eliminato gli spot online prenotati e pagati dal comitato che sostiene il No all'aborto

Il 25 maggio in Irlanda si vota per decidere se legalizzare la possibilità di interrompere volontariamente la gravidanza. Oramai da oltre due settimane, Google ha sospeso sul motore di ricerca e su Youtube ogni annuncio a pagamento da parte dei comitati che si fronteggiano. Le decisione non è l’unica presa da un gigante di Internet riguardo il voto irlandese. Anche Facebook ha annunciato che avrebbe vietato tutti gli annunci online relativi al referendum, ma solo se provenienti da fonti straniere. Niente annunci anche su Twitter, ma questo fin dall’inizio della campagna referendaria. Come si vede dunque, anche la decisione di Facebook influisce sulle capacità degli utenti delle piattaforma di informarsi in vista del voto. Tuttavia è innegabile che la decisione di Mountain view avrà un effetto politico più diretto, incidendo sulle capacità di una delle due parti di promuovere la propria posizione e privando il fronte del No all’aborto di un elemento chiave della strategia comunicativa.

L’origine della decisione potrebbe essere economica. Nelle settimane precedenti la decisione di Google, il fronte del No aveva speso molto più denaro del Sì in generale, e in particolare per quel che riguarda gli annunci a pagamento sui social media e sul motore di ricerca, causando qualche polemica. Il gruppo “Together for Yes” (insieme per il sì) che si batte per abolire l’emendamento della Costituzione irlandese che vieta l’aborto, ha confermato che nelle scorse settimane aveva protestato con Facebook e Google sugli annunci online del fronte del No perché violavano gli standard delle due aziende. Una portavoce di Together for Yes ha affermato che i contatti si erano verificati “al massimo una o due volte alla settimana”. Uno dei leader di Together for Yes Ailbhe Smyth ha detto che la mossa di Google “crea una parità di condizioni tra tutti i lati concorrenti, che potranno adesso ora cercare di convincere l’elettorato irlandese con la forza delle loro argomentazioni e il potere della testimonianza personale, non con la profondità delle loro tasche. Questo referendum sarà vinto sui fatti e da ora, quando gli elettori indecisi cercano online, vedranno le risposte più pertinenti alle loro domande – non quelle che qualcuno paga perché vengano trovate”.

Fonti vicine al fronte del No confermano che la decisione di Google ha eliminato spot online per almeno 40.000 euro, già prenotati. Il No ha spiega anche che aveva intenzione di aumentare la spesa in annunci con l’avvicinarsi del voto, in particolare nei giorni immediatamente precedenti il referendum per convincere gli indecisi. Tutto questo aveva prodotto un effetto sui sondaggi. Il Sì all’aborto rimane in vantaggio in tutti i rilevamenti, ma il margine si è ridotto nei giorni scorsi all’avvicinarsi del voto. Tuttavia, c’è un crescente allarme tra gli attivisti del Sì e i loro sostenitori nei media, secondo cui la spesa online da parte del No sarebbe l’origine della crescita nei sondaggi e potrebbe portare a una vittoria degli antiabortisti il 25 maggio. L’Irish Times ha commentato in un editoriale che, dal momento che nelle grandi aziende di Internet si è perfettamente consapevoli della cifra spesa dal No, qualcuno di questi potrebbe aver spinto Google e Facebook a temere di essere ritenuti responsabili di una eventuale vittoria del No. “Entrambe le società hanno alti dirigenti a Dublino che erano soliti lavorare nel governo e ricevere consigli da consulenti di affari pubblici – conclude l’editoriale -. Sebbene senza una spiegazione completa e onesta da parte delle aziende, è impossibile dire con certezza che cosa ha causato la decisione”.

Il motore di ricerca ha rifiutato di commentare in alcun modo, nonostante i molti media irlandesi che abbiano chiesto spiegazioni dopo l’annuncio: “In seguito ai nostri sforzi per l’integrità delle elezioni a livello globale, abbiamo deciso di sospemdere tutti gli annunci relativi al referendum irlandese sull’ottavo emendamento”.

Una dichiarazione di tutti e tre i gruppi di campagne per il No attacca Google: “Sono preoccupati che la parte del No vincerà – si legge nel comunicato -. È molto chiaro che il governo, gran parte dei media e il mondo delle multinazionali hanno stabilito che si debba fare tutto ciò che deve garantire la vittoria del Sì. Quella online era l’unica piattaforma disponibile per la campagna No per parlare direttamente con gli elettori. Questa piattaforma viene ora minata, al fine di impedire al pubblico di ascoltare il messaggio di una parte”.

Vedremo a fine spoglio quale sarà stato l’effetto sul voto della decisione di Google, ma non può non far riflettere il fatto che la decisione di un’azienda privata possa avere un effetto così grande sull’esito di una elezione. È molto probabile infatti che sia stata effettivamente la differenza di spesa a  causare la decisione del motore di ricerca. Tuttavia è opinabile che tale decisione più che preservare l’integrità delle elezioni, possa causare l’esatto contrario. Se uno dei due comitati ha una maggiore capacità di spesa, anche impedirgli di raggiungere un maggior numero di elettori è un modo di incidere sull’esito del voto.