Centinaia di gruppi cristiani e di estrema destra in Europa attaccano la Convenzione di Istanbul, caposaldo della lotta contro ogni genere di violenza sulle donne. Lella Palladino (Di.Re): «Dopo il 4 marzo, la destra ha subito sferrato un attacco contro il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza»

Nessuno tocchi la Convenzione di Istanbul. Il grido delle associazioni a tutela dei diritti delle donne si leva alto in tutta Europa. Come denunciato dalla rete Wave (Women against violence Europe), il segretario generale del Consiglio d’Europa, il norvegese Thorbjørn Jagland, ha ricevuto pesanti pressioni da oltre 300 organizzazioni europee appartenenti alla destra ultracattolica attraverso una lettera, che Left ha potuto visionare, contenente «raccomandazioni concrete», relative alla necessità di «avviare una revisione della Convenzione» sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica. Un “invito” firmato da 333 organizzazioni provenienti da 9 Paesi dell’Est Europa, che se accolto potrebbe minare i principi politici e giuridici della Convenzione stessa approvata dal comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011 e ratificata dall’Italia il 19 giugno 2013.

«Si tratta di un durissimo attacco ai diritti delle donne: la Convenzione è uno strumento giuridico fondamentale nel contrasto alla violenza» osserva Lella Palladino, presidente di D.i.Re (Donne in rete contro la violenza), e aggiunge: «L’offensiva è rivolta contro il principio politico fondamentale secondo cui il persistere della violenza sulle donne è connesso alla loro discriminazione. Queste violenze, con tutta evidenza, sono conseguenza di una determinato contesto sociale e culturale per cui le donne non godono degli stessi diritti degli uomini. Ma questa lettura non sta bene alla destra e al cattolicesimo più fondamentalista». Non è un caso che nella missiva si insista sulla «possibilità per i governi di apporre delle riserve sulle parti ideologiche e controverse» della Convenzione, e che a firmare la lettera siano state associazioni di Paesi come Lituania, Slovacchia e Ucraina, dove l’avanzata di movimenti neofascisti è molto forte, e dove è altrettanto evidente il connubio con associazioni di matrice cattolica e “pro life”. E poco importa a costoro che la Convenzione sia stata pensata e sia nata con il preciso obiettivo di porre un argine agli omicidi e alle violenze di cui le donne europee sono vittime. Crimini che come è noto avvengono soprattutto in ambito familiare o di conoscenza diretta. Stando agli ultimi dati Eurostat (pubblicati nel 2017 e relativi al 2015) in area Ue si sono verificati 1.482 femminicidi e circa 215mila reati a sfondo “sessuale”, di cui 80mila stupri. Numeri peraltro sottostimati considerando che, su 28 Stati membri, soltanto 15 (compresa l’Italia) forniscono i dati. Ecco la ragione per cui la Convenzione di Istanbul oggi svolge un ruolo pressoché fondamentale. «L’Europa è sicuramente più civile da quando si è dotata della Convenzione», spiega ancora Lella Palladino: «Proprio perché è vincolante, ci ha dato la possibilità di pretendere leggi e diritti».

Ed è per questo che il 23 aprile è stata inviata una lettera da Wave, firmata da ben 1.166 ong di 42 Paesi membri del Consiglio d’Europa, in cui le organizzazioni esprimono «shock» e «preoccupazione» di fronte all’attacco lanciato «contro il riconoscimento universale della discriminazione e della diseguaglianza di genere come cause e conseguenze della violenza contro donne e ragazze». Nella galassia delle associazioni contrarie ai principi stabiliti dalla Convenzione è possibile trovare di tutto. Dalla associazione scientifico-culturale dei Carpazi orientali a quella degli insegnanti romeni, per passare ai comitati che raccolgono veterani, ex militari e quadri militari in riserva. Senza dimenticare la Convention del Danubio orientale e le associazioni di soccorritori di montagna e di protezione animale. Lo zoccolo duro è costituito da ong che ruotano attorno ai movimenti “pro life”. Come la Life network foundation Malta che nel 2017 ha raccolto i suoi aderenti al convegno “Pillola del giorno dopo: aborto attraverso la porta sul retro?”, con tanto di lectio magistralis di Bruno Mozzanega, ricercatore universitario e obiettore convinto, presidente della Sipre (Società italiana procreazione responsabile). Costui tra le tante fake news dispensate alla platea ha affermato che la World health organization (Oms) fornirebbe dati falsi proprio sulla efficacia della pillola anticoncezionale d’emergenza del giorno dopo. Tra gli altri firmatari, spicca il Vertice della gioventù lituano pro patria, una «organizzazione cittadina che unisce l’autocoscienza cristiana e nazionale con diverse opinioni politiche», prima tra tutte «l’identità nazionale», si legge nella presentazione dei soggetti firmatari. Non va meglio in Ucraina, dove troviamo Sobornist, associazione che si definisce «pubblica scientifica», che mira alla «formazione dei principi ideologici del patriottismo e dell’autocoscienza nazionale». Dalla Slovacchia, invece, viene Slovakia christiana, in passato contigua al partito nazionalista di Andrej Danko, noto per le sue posizioni xenofobe e fortemente identitarie.

Per sostenere l’azione del Consiglio d’Europa contro questi nuovi crociati, D.i.Re ha lanciato una mobilitazione e ha spinto 235 associazioni italiane a sottoscrivere l’appello della rete Wave. Tra i firmatari segnaliamo numerosi centri antiviolenza e case rifugio, oltre alla Casa internazionale delle Donne, l’Arci, Action Aid, Fiom, Cgil e Non una di meno. Il problema, tuttavia, resta ed è concreto. Anche in Italia. «C’è una sorta di terrorismo emotivo e psicologico in atto contro le donne, che un attimo dopo le elezioni del 4 marzo è diventato ancora più forte» spiega Palladino. «La destra che ha vinto parla al ventre molle della società italiana». E questo avviene anche dalle aule istituzionali. È capitato l’11 aprile a Palazzo Madama, dove si è tenuto il convegno “Le gravi conseguenze dell’aborto sul piano fisico e psichico”, organizzato da ProVita. All’incontro ha partecipato una nutrita schiera di senatori di Fratelli d’Italia e Lega, da Isabella Rauti al capogruppo del Carroccio proprio al Senato, Gian Marco Centinaio. «Noi siamo molto preoccupate per il fatto che il prossimo sarà un governo che ci metterà in difficoltà e metterà in discussione i passi fatti», riflette Palladino che si dice molto scettica anche riguardo il Movimento 5 stelle: «Da quando si è costituito, i suoi vertici hanno sempre detto che per loro l’antifascismo non è un valore. Il problema è che hanno uno sguardo neutro: così è difficile avere un’idea di cosa sia l’ottica di genere». E i passi da fare, nella realizzazione concreta di quanto previsto dalla Convenzione, sono ancora tanti. «L’Italia ha approvato questa legge senza averne capito il portato».

L’articolo di Carmine Gazzanni è tratto da Left n. 19 del 11 maggio 2018


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