Imbarcazioni palestinesi con malati a bordo per forzare l'assedio. E altre navi dalla Danimarca in partenza verso la Palestina. La mobilitazione a otto anni dall'incidente della Freedom Flotilla, mentre Israele annuncia la costruzione di una barriera marina

Una manifestazione simbolica in programma per oggi, 29 maggio: due piccole barche partono dalle coste di Gaza per mettere fine all’accerchiamento israeliano. Due barche e un messaggio: Al Hurriyeh, “libertà”. «Questa è la continuazione delle manifestazioni per il diritto del ritorno dei palestinesi, questo è il viaggio delle speranze e sogni del popolo palestinese per la libertà» ha detto Salah Abdul- Ati, del comitato organizzatore della Striscia. L’equipaggio è simbolico quanto le due piccole imbarcazioni di legno: un infermiere, un medico, malati che hanno bisogno di aiuto e studenti della Striscia. Circa trenta persone, tutti civili.

«I palestinesi a Gaza continueranno a protestare in terra e in mare finché i loro diritti e le loro richieste non verranno rispettate», ha detto, annunciando la protesta via mare, Abu Eida, un palestinese ferito durante questi ultimi mesi di proteste per la Grande Marcia del Ritorno. Dall’inizio delle manifestazioni del 30 marzo scorso il bilancio è durissimo: 120 morti e 13mila feriti  «Chiedo di continuare la mia terapia all’estero, ho il diritto di essere curato fuori per la mancanza di medicine e servizi sanitari a Gaza», ha detto Abu Eida, ferito a ridosso della recinzione al confine.

Un’altra piccola flotta  è in partenza dalla Danimarca per raggiungere Gaza: dal porto di Copenhagen salpa, sempre martedì 29 maggio, per fare tappa in Germania a Kiel e Wilhelshfin e continuare il suo viaggio verso la Palestina.

L’operazione si chiama, come si legge dalla pagina Facebook, International Committee for breacking the siege og Gaza: le tre imbarcazioni danesi, tre “caravelle” contro l’assedio israeliano, sono state chiamate al Awda, che vuol dire ritorno, Libertà e Palestina. A bordo un comitato internazionale, il professore Ismail Nazari, in arrivo dalla Malesia, Heather Milton, attivista indigena canadese, Zohar Shamir Chamberlian, attivista ebreo spagnolo, Charlie Andreason, svedese, che ha tentato questa impresa anche nel 2015.

Tutto questo avviene nei giorni dell’ottavo anniversario dell’incidente della Freedom Flotilla, l’attacco, avvenuto il 31 maggio 2010, contro la Mavi Marmara, la nave su cui nove attivisti turchi persero la vita in acque internazionali durante l’assalto dell’esercito israeliano. Il decimo attivista è morto quasi 4 anni dopo, per le ferite subite durante il raid.

Il blocco attorno a Gaza dura da dieci anni e in mare è a 16 chilometri dalla costa della Striscia: è questa la distanza massima che le barche palestinesi possono percorrere dalla costa.

Intanto le autorità di Israele hanno annunciato la costruzione di una barriera marina a pochi chilometri a nord di Gaza. Il ministero della Difesa ha detto che sarà pronta entro la fine del 2018 e nel mondo “sarà la prima nel suo genere”. Una specie di muro nel mare.

Ma la Palestina non si ferma. Né in terra, né in mare. «Gli israeliani devono capire che Gaza è stanca di vivere senza elettricità, con acqua inquinata, alto tasso di povertà, alto tasso di disoccupazione, perdita della speranza, depressione» ha detto l’attivista Salah Abd El Ati che aveva partecipato alla Grande Marcia del Ritorno.

AGGIORNAMENTO DELLE ORE 17.30, MARTEDÌ’ 29 MAGGIO
Dopo una sola ora di viaggio, le barche sono state intercettate e portate dalla Marina israeliana al porto di Ashdod. Secondo gli accordi di Oslo del 1993, le miglia nautiche che è concesso percorrere sono 20, ma, negli ultimi dieci anni, il limite concesso ai palestinesi è stato ridotto a 12. La navigazione delle due imbarcazioni che sfidavano l’assedio, dalle coste della Striscia, è stata interrotta. La prima barca ha percorso 9 miglia, solo 6 la seconda. I palestinesi a bordo – studenti, feriti e un medico – hanno perso il contatto radio con gli organizzatori rimasti nella Striscia e si trovano ad Ashdod.