Dall'inchiesta romana sullo stadio della Roma si coglie un dato significativo che era andato perduto: non sono tutti uguali, no, e distinguere per non confondere sarebbe un primo passo per recuperare ecologia nel dibattito politico

Ieri il sindaco di Milano Beppe Sala ha dichiarato di avere parlato con il suo assessore Pierfrancesco Maran e di avere saputo da lui «che in realtà non c’è stata nessuna offerta» e basta leggere le intercettazioni che riguardano il costruttore Luca Parnasi, arrestato ieri nell’ambito dell’operazione che riguarda la costruzione del nuovo stadio a Roma, per accorgersi come gli “ambasciatori” spediti a Milano si fossero resi conto fin da subito che non c’era spazio per mettere in pratica nel capoluogo lombardo una pratica corruttiva.

«Siamo andati a parlare con l’assessore Maran, quello di Milano, no? – racconta Giulio Mangosi al telefono con una tale Valentina – E Simone (Contasta, anche lui agli arresti, ndr) che gli prova a vendere alla Tecnocasa un appartamento… e quello dice, amico mio no! Cioé qua funziona così… qua se tu mi dici che la cosa la riesci a fare è perché la puoi fare, a me non mi prendi per culo perché io non mi faccio prendere… io… io non voglio essere… non voglio prendere per il culo chi mi ha votato. Siamo andati dall’assessore a fare una figura (incomprensibile) cioè proprio, sembravamo i romani… quelli sai… dei centomila film che hai visto? I romani a Milano»

I due se la ridono: «peggio di Totò», dicono.

Eppure tra l’odore dell’inchiesta romana (che bisognerà poi vedere come andrà a finire) si coglie un dato significativo che era andato perduto: non sono tutti uguali, no, e distinguere per non confondere sarebbe un primo passo per recuperare ecologia nel dibattito politico. E non sono diversi i milanesi dai romani (come Mangosi prova a convincersi al telefono per giustificarsi) e non sono nemmeno diversi gli appartenenti di una fazione rispetto all’altra: semplicemente anche nella politica (così come in tutti i campi) esistono persone che praticano l’onestà con garbo e con misura, senza farne un vessillo da sventolare come clava contro gli avversari.

La corruzione endemica del nostro Paese (così come gli stretti rapporti con le mafie) non è affare di un solo partito e tantomeno un tema da usare per concimare la propaganda: si combatte (se davvero si vuole combattere) con i comportamenti e con i prerequisiti morali che dovrebbero essere richiesti a qualsiasi pezzo di classe dirigente di questo Paese. Che gli amichetti di Parnasi trovino incredibile che la corruzione non sia normale è il campanello d’allarme di cui la politica dovrebbe occuparsi (al di là dei risvolti giudiziari). Che la politica riparta dai comportamenti (più che dagli annunci e dalle dirette Facebook) sarebbe una buona pratica per tutti.

Buon giovedì.