L’ultima conferenza sulle sostanze, «per altro blindata e senza dibattito», risale al 2009 e l’ultima «di reale confronto» al 2001 a Genova. «Unica nota positiva recente, l’inserimento nei Lea della riduzione del danno e un maggiore spazio per la canapa terapeutica. Tutti sul tappeto restano i problemi aperti o irrisolti», scrivono Stefano Anastasia e Franco Corleone nell’introduzione del nono Libro bianco sulle droghe che è stato presentato al Senato in occasione del 26 giugno, la Giornata internazionale contro l’abuso e il traffico illecito di droga promossa dall’Onu. Il nono Libro bianco sulle droghe è stato presentato dal “Cartello di Genova”, coalizione antiproibizionista tra La Società della ragione, Forum droghe, Antigone, Cgil, Cnca e Associazione Luca Coscioni e con l’adesione di A buon diritto, Arci, Comunità di San Benedetto al Porto, Funzione pubblica Cgil, Gruppo Abele, Itaca, Itardd, LegaCoopSociali, Lila. Nel volume si fa il punto sulla relazione tra le politiche sulle sostanze, il trend dei consumi, la salute, la repressione, la ricerca scientifica e il gap italiano rispetto alle tendenze internazionali, specie americane, dal Canada all’Uruguay, che segnano dati positivi a fronte dell’inversione di tendenza rispetto alle politiche proibizioniste dall’era Reagan in poi. Corleone e Anastasia, nell’introduzione, fanno riferimento alle occasioni perdute: dalla riunione dell’Onu a Vienna nel 2019 alla presentazione delle due proposte di legge sulla legalizzazione della canapa e di revisione radicale del Dpr 309/90, dalla richiesta ultimativa per la convocazione della Conferenza nazionale sulla politica delle droghe alla ridefinizione della natura e dei compiti del Dipartimento antidroga, fino alla possibilità di un confronto sulle soluzioni che emergono in tanti Paesi in Europa e nel mondo. Il nono Libro bianco racconta invece del ritorno dell’affollamento penitenziario e del ruolo che, in esso, gioca ancora una volta la legislazione proibizionista in materia di droghe. «Se gli ingressi in carcere hanno cominciato ad aumentare dallo scorso anno, quelli per violazione delle legislazione sugli stupefacenti guidano l’incremento, costituendone quasi il 30%, quanti non erano dal 2013. Se i detenuti in carcere aumentano, percentualmente aumentano di più quelli per reati di droga. Un quarto dei detenuti è tossicodipendente e solo una piccola parte di loro riesce ad accedere alle alternative al carcere pure per loro prescritte». E hanno ripreso a crescere anche le segnalazioni ai prefetti dei semplici consumatori, «caduti anche loro nella rete dei maggiori controlli e dell’ossessione securitaria». Ben 40.524 segnalazioni (all’80% per possesso di cannabinoidi), 15.581 sanzioni e solo 86 richieste di programmi terapeutici. «Una inutile macchina sanzionatoria che ingolfa uffici amministrativi e di polizia e che in quasi trent’anni ha coinvolto più di un milione e duecentomila persone». Per il cartello delle associazioni antiproibizioniste «ce n’è quanto basta per continuare a chiedere un cambiamento politico, culturale e legislativo che rimetta l’Italia tra le Nazioni che stanno cercando e sperimentando vie nuove per la prevenzione dei rischi dell’abuso di droghe e della loro proibizione». Oltre alla tradizionale analisi dei dati sugli effetti penali e sul carcere provocati dalla legge antidroga, il Libro bianco fotografa la realtà dei servizi pubblici e del privato sociale, legati ai nuovi consumi e lo stato della ricerca scientifica sul fenomeno in continua evoluzione. La relazione del Dipartimento politiche antidroga, peraltro mai discussa in Parlamento, offre, invece, un quadro «statico e datato, assolutamente privo di indicazioni per i parlamentari e gli operatori» e sempre senza «il punto di vista dei consumatori che sono confinati nel ruolo di vittime della repressione o di malati da curare, senza valorizzare la loro soggettività», scrivono ancora Corleone e Anastasia. In appendice, le nostre proposte antiprobizioniste per la riforma del testo unico sulle sostanze stupefacenti e per la legalizzazione della cannabis che, nonostante la dedica esplicita dei curatori ai parlamentari della Repubblica, difficilmente troveranno ascolto nel Parlamento a maggioranza gialloverde. Ci sono infatti tutti gli ingredienti per cui, in assenza di una reale mobilitazione di massa, il decimo Libro bianco, l’anno che verrà, abbia tutte le parvenze di un romanzo dell’orrore. A 28 anni dalla sua approvazione l’impianto repressivo e sanzionatorio che ispira l’intero Testo unico sulle sostanze stupefacenti Jervolino-Vassalli continua a essere il principale veicolo di ingresso nel sistema della giustizia italiana e nelle carceri: 14.139 dei 48.144 ingressi in carcere nel 2017 sono stati causati da imputazioni o condanne sulla base dell’art. 73 del Testo unico. Si tratta del 29,37% degli ingressi in carcere: si conferma l’inversione del trend discendente attivo dal 2012 a seguito della sentenza Torreggiani della Cedu e dall’adozione di politiche deflattive della popolazione detenuta. Ben 13.836 detenuti presenti in carcere al 31 dicembre 2017 lo erano a causa del solo art. 73 del Testo unico (sostanzialmente per detenzione a fini di spaccio). Altri 4.981 in associazione con l’art. 74 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope), solo 976 esclusivamente per l’art. 74. Mentre questi ultimi rimangono sostanzialmente stabili, aumentano dell’8,5% i detenuti per solo art. 73. Si tratta complessivamente del 34,36% del totale. I “pesci piccoli” continuano ad aumentare, mentre i consorzi criminali restano fuori dai radar della repressione penale. Inoltre, 14.706 dei 57.608 detenuti a fine 2017, sono tossicodipendenti. Il 25,53% del totale. Si consolida l’aumento dopo che il picco post applicazione della Fini-Giovanardi (27,57% nel 2007) era stato riassorbito a seguito di una serie di interventi legislativi correttivi. Preoccupa l’impennata degli ingressi in carcere, che toccano un nuovo record: il 34,05% dei soggetti entrati in carcere nel corso del 2017 era tossicodipendente. Nel 2017 si conferma l’aumento delle presenze in carcere, dopo alcuni anni di diminuzione, e aumenta la percentuale di detenuti per violazione della legge sulle droghe. La legislazione sulle droghe e l’uso che ne viene fatto sono decisivi nella determinazione dei saldi della repressione penale: la decarcerizzazione passa attraverso la decriminalizzazione delle condotte legate alla circolazione delle sostanze stupefacenti così come le politiche di tolleranza zero e di controllo sociale coattivo si fondano sulla loro criminalizzazione. Basti pensare che in assenza di detenuti per art. 73. o di quelli dichiarati tossicodipendenti, non vi sarebbe il problema del sovraffollamento carcerario come dimostrano alcune simulazioni prodotte nel dossier. Un dato positivo arriva dalle misure alternative, in crescita lieve ma costante negli ultimi anni. Il fatto che il trend prosegua oltre la inversione di tendenza nella popolazione detenuta databile dal 2016 lascia ben sperare per una autonomia delle misure penali di comunità. Restano marginali le misure alternative dedicate: 3.146 sono i condannati ammessi all’affidamento in prova speciale per alcool e tossicodipendenti su 14.706 detenuti tossicodipendenti. Continuano ad aumentare le persone segnalate al Prefetto per consumo di sostanze illecite: da 27.718 del 2015 a 38.613 del 2017: +39,30% (+18,13% rispetto al 2016). Si conferma l’impennata delle segnalazioni dei minori che quadruplicano rispetto al 2015. Aumenta sensibilmente anche il numero delle sanzioni: da 13.509 nel 2015 a 15.581 nel 2017: +15,33% (+18,42% rispetto al 2016). E risulta irrilevante la vocazione “terapeutica” della segnalazione al Prefetto: su 35.860 persone segnalate solo 86 sono state sollecitate a presentare un programma di trattamento socio-sanitario; 10 anni prima erano 3.008. Le sanzioni amministrative riguardano invece il 43,45% dei segnalati, percentuale in aumento rispetto all’anno precedente. La segnalazione al prefetto dei consumatori di sostanze stupefacenti ha quindi natura principalmente sanzionatoria. La repressione colpisce per quasi l’80% i consumatori di cannabinoidi (78,69%), seguono a distanza cocaina (14,39%) e eroina (4,86%) e, in maniera irrilevante, le altre sostanze. Dal 1990, 1.214.180 persone sono state segnalate per possesso di sostanze stupefacenti ad uso personale; di queste il 72,81% per derivati della cannabis (884.044). I dati disponibili, parziali (Polizia stradale, 2017) indicano che solo l’1,23% dei conducenti coinvolti in incidenti stradali rilevati è stato accusato di violazione dell’art. 187 del Codice della strada. Sul versante dei servizi, il testo segnala come «la vecchia divisione fra un numero limitato di consumatori altamente problematici e una platea di consumatori occasionali-ricreazionali non è più attuale». Non funzionerebbe più nemmeno il modello dell’offerta terapeutica “intensiva” per un’utenza altamente problematica, destinata a rimanere a lungo in carico dei SerD e/o delle comunità. «Nel mondo dei consumi – si legge ancora nel voluminoso dossier di 114 pagine – esiste oggi una situazione più graduata e complessa, con molti differenti modelli di consumo associati a differenti livelli di rischio e di danno. Si assiste a una diversificazione degli stili e degli ambienti di uso, ma i medesimi consumatori possono cambiare nel tempo il loro modello di consumo, con frequenti oscillazioni. Ciò richiede un’articolazione dell’offerta dei servizi. Questa nuova realtà dei consumi rimane in larga parte sconosciuta perché è carente, se non assente, la ricerca ufficiale sui modelli e gli stili di consumo, nonostante questo tipo di ricerca sia in grado di fornire una lettura più ampia dei consumi, oltre il “tunnel della droga”, gettando le basi per un nuovo sistema dei servizi». Sistema “statico” e povertà dei dati non permettono di rilevare gli interventi innovativi «che già esistono: dai progetti di housing, alla formazione al lavoro, alla riduzione dei rischi. I servizi si sono negli anni impoveriti, con gravi carenze di personale che penalizzano soprattutto gli interventi psicosociali». Gli autori ripropongono quindi il superamento dell’«attuale servizio “a risposta unica”, organizzato come un ambulatorio e focalizzato sulla “patologia” del consumo: che non contrasta, anzi asseconda lo stigma sociale». Grande assente dai dati governativi la Riduzione del danno che, in Europa è invece un “pilastro” delle politiche pubbliche: dai dropin agli infoshop (servizi di consulenza per un uso più sicuro), dal drug checking alle stanze del consumo. «In Italia la Riduzione del danno è ancora la Cenerentola, l’inserimento nei Livelli essenziali di assistenza può rappresentare una svolta», si legge nel Libro bianco. Anche la ricerca sulle droghe soffre per il suo sbilanciamento sul “farmacocentrismo”. Dal 2009 al 2013, il Dipartimento antidroga ha finanziato ricerche in campo farmacologico e neurobiologico per più di un milione e mezzo di euro. E nessuna ricerca psicosociale anche se solo quest’ultima può spiegare le ragioni del consumo, dei suoi contesti, degli stili di vita e di adattamento dei consumatori così da pianificare le opportune politiche. «Lo squilibrio a scapito della ricerca psicosociale si è accentuato con la fortuna della ricerca neurobiologica e della Brain research, col risultato di un nuovo “neurocentrismo” – si può leggere ancora nel testo che rivendica anche una svolta nelle politiche di ricerca – la Brain research, in particolare i risultati del Brain imaging, sono spesso interpretati a sostegno della addiction theory, in maniera distorta e scarsamente scientifica. La “addiction” come malattia del cervello riconferma l’idea della dipendenza come “malattia cronica recidivante”. Ma le droghe non alterano le strutture cerebrali e la dipendenza è la condizione di chi si trova a ripetere l’unica esperienza in grado di procurargli gratificazione. Tuttavia la Brain research è entrata nel senso comune, svalutando gli interventi diversi da quelli medici farmacologici». Nel testo, che si può trovare sul sito di Fuoriluogo, ci sono anche interventi che sfatano i miti proibizionisti contro la legalizzazione della cannabis. Leonardo Fiorentini, il direttore del sito del Forum droghe, fa il punto con Mario Perduca sulle esperienze americane, dal Canada all’Oregon, dall’Uruguay alla California, di legalizzazione della cannabis.

L’ultima conferenza sulle sostanze, «per altro blindata e senza dibattito», risale al 2009 e l’ultima «di reale confronto» al 2001 a Genova. «Unica nota positiva recente, l’inserimento nei Lea della riduzione del danno e un maggiore spazio per la canapa terapeutica. Tutti sul tappeto restano i problemi aperti o irrisolti», scrivono Stefano Anastasia e Franco Corleone nell’introduzione del nono Libro bianco sulle droghe che è stato presentato al Senato in occasione del 26 giugno, la Giornata internazionale contro l’abuso e il traffico illecito di droga promossa dall’Onu.

Il nono Libro bianco sulle droghe è stato presentato dal “Cartello di Genova”, coalizione antiproibizionista tra La Società della ragione, Forum droghe, Antigone, Cgil, Cnca e Associazione Luca Coscioni e con l’adesione di A buon diritto, Arci, Comunità di San Benedetto al Porto, Funzione pubblica Cgil, Gruppo Abele, Itaca, Itardd, LegaCoopSociali, Lila. Nel volume si fa il punto sulla relazione tra le politiche sulle sostanze, il trend dei consumi, la salute, la repressione, la ricerca scientifica e il gap italiano rispetto alle tendenze internazionali, specie americane, dal Canada all’Uruguay, che segnano dati positivi a fronte dell’inversione di tendenza rispetto alle politiche proibizioniste dall’era Reagan in poi.

Corleone e Anastasia, nell’introduzione, fanno riferimento alle occasioni perdute: dalla riunione dell’Onu a Vienna nel 2019 alla presentazione delle due proposte di legge sulla legalizzazione della canapa e di revisione radicale del Dpr 309/90, dalla richiesta ultimativa per la convocazione della Conferenza nazionale sulla politica delle droghe alla ridefinizione della natura e dei compiti del Dipartimento antidroga, fino alla possibilità di un confronto sulle soluzioni che emergono in tanti Paesi in Europa e nel mondo.

Il nono Libro bianco racconta invece del ritorno dell’affollamento penitenziario e del ruolo che, in esso, gioca ancora una volta la legislazione proibizionista in materia di droghe. «Se gli ingressi in carcere hanno cominciato ad aumentare dallo scorso anno, quelli per violazione delle legislazione sugli stupefacenti guidano l’incremento, costituendone quasi il 30%, quanti non erano dal 2013. Se i detenuti in carcere aumentano, percentualmente aumentano di più quelli per reati di droga. Un quarto dei detenuti è tossicodipendente e solo una piccola parte di loro riesce ad accedere alle alternative al carcere pure per loro prescritte». E hanno ripreso a crescere anche le segnalazioni ai prefetti dei semplici consumatori, «caduti anche loro nella rete dei maggiori controlli e dell’ossessione securitaria». Ben 40.524 segnalazioni (all’80% per possesso di cannabinoidi), 15.581 sanzioni e solo 86 richieste di programmi terapeutici. «Una inutile macchina sanzionatoria che ingolfa uffici amministrativi e di polizia e che in quasi trent’anni ha coinvolto più di un milione e duecentomila persone».

Per il cartello delle associazioni antiproibizioniste «ce n’è quanto basta per continuare a chiedere un cambiamento politico, culturale e legislativo che rimetta l’Italia tra le Nazioni che stanno cercando e sperimentando vie nuove per la prevenzione dei rischi dell’abuso di droghe e della loro proibizione». Oltre alla tradizionale analisi dei dati sugli effetti penali e sul carcere provocati dalla legge antidroga, il Libro bianco fotografa la realtà dei servizi pubblici e del privato sociale, legati ai nuovi consumi e lo stato della ricerca scientifica sul fenomeno in continua evoluzione.

La relazione del Dipartimento politiche antidroga, peraltro mai discussa in Parlamento, offre, invece, un quadro «statico e datato, assolutamente privo di indicazioni per i parlamentari e gli operatori» e sempre senza «il punto di vista dei consumatori che sono confinati nel ruolo di vittime della repressione o di malati da curare, senza valorizzare la loro soggettività», scrivono ancora Corleone e Anastasia. In appendice, le nostre proposte antiprobizioniste per la riforma del testo unico sulle sostanze stupefacenti e per la legalizzazione della cannabis che, nonostante la dedica esplicita dei curatori ai parlamentari della Repubblica, difficilmente troveranno ascolto nel Parlamento a maggioranza gialloverde. Ci sono infatti tutti gli ingredienti per cui, in assenza di una reale mobilitazione di massa, il decimo Libro bianco, l’anno che verrà, abbia tutte le parvenze di un romanzo dell’orrore.

A 28 anni dalla sua approvazione l’impianto repressivo e sanzionatorio che ispira l’intero Testo unico sulle sostanze stupefacenti Jervolino-Vassalli continua a essere il principale veicolo di ingresso nel sistema della giustizia italiana e nelle carceri: 14.139 dei 48.144 ingressi in carcere nel 2017 sono stati causati da imputazioni o condanne sulla base dell’art. 73 del Testo unico. Si tratta del 29,37% degli ingressi in carcere: si conferma l’inversione del trend discendente attivo dal 2012 a seguito della sentenza Torreggiani della Cedu e dall’adozione di politiche deflattive della popolazione detenuta.

Ben 13.836 detenuti presenti in carcere al 31 dicembre 2017 lo erano a causa del solo art. 73 del Testo unico (sostanzialmente per detenzione a fini di spaccio). Altri 4.981 in associazione con l’art. 74 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope), solo 976 esclusivamente per l’art. 74. Mentre questi ultimi rimangono sostanzialmente stabili, aumentano dell’8,5% i detenuti per solo art. 73. Si tratta complessivamente del 34,36% del totale. I “pesci piccoli” continuano ad aumentare, mentre i consorzi criminali restano fuori dai radar della repressione penale.

Inoltre, 14.706 dei 57.608 detenuti a fine 2017, sono tossicodipendenti. Il 25,53% del totale. Si consolida l’aumento dopo che il picco post applicazione della Fini-Giovanardi (27,57% nel 2007) era stato riassorbito a seguito di una serie di interventi legislativi correttivi. Preoccupa l’impennata degli ingressi in carcere, che toccano un nuovo record: il 34,05% dei soggetti entrati in carcere nel corso del 2017 era tossicodipendente. Nel 2017 si conferma l’aumento delle presenze in carcere, dopo alcuni anni di diminuzione, e aumenta la percentuale di detenuti per violazione della legge sulle droghe.

La legislazione sulle droghe e l’uso che ne viene fatto sono decisivi nella determinazione dei saldi della repressione penale: la decarcerizzazione passa attraverso la decriminalizzazione delle condotte legate alla circolazione delle sostanze stupefacenti così come le politiche di tolleranza zero e di controllo sociale coattivo si fondano sulla loro criminalizzazione. Basti pensare che in assenza di detenuti per art. 73. o di quelli dichiarati tossicodipendenti, non vi sarebbe il problema del sovraffollamento carcerario come dimostrano alcune simulazioni prodotte nel dossier.

Un dato positivo arriva dalle misure alternative, in crescita lieve ma costante negli ultimi anni. Il fatto che il trend prosegua oltre la inversione di tendenza nella popolazione detenuta databile dal 2016 lascia ben sperare per una autonomia delle misure penali di comunità. Restano marginali le misure alternative dedicate: 3.146 sono i condannati ammessi all’affidamento in prova speciale per alcool e tossicodipendenti su 14.706 detenuti tossicodipendenti.

Continuano ad aumentare le persone segnalate al Prefetto per consumo di sostanze illecite: da 27.718 del 2015 a 38.613 del 2017: +39,30% (+18,13% rispetto al 2016). Si conferma l’impennata delle segnalazioni dei minori che quadruplicano rispetto al 2015. Aumenta sensibilmente anche il numero delle sanzioni: da 13.509 nel 2015 a 15.581 nel 2017: +15,33% (+18,42% rispetto al 2016). E risulta irrilevante la vocazione “terapeutica” della segnalazione al Prefetto: su 35.860 persone segnalate solo 86 sono state sollecitate a presentare un programma di trattamento socio-sanitario; 10 anni prima erano 3.008. Le sanzioni amministrative riguardano invece il 43,45% dei segnalati, percentuale in aumento rispetto all’anno precedente. La segnalazione al prefetto dei consumatori di sostanze stupefacenti ha quindi natura principalmente sanzionatoria. La repressione colpisce per quasi l’80% i consumatori di cannabinoidi (78,69%), seguono a distanza cocaina (14,39%) e eroina (4,86%) e, in maniera irrilevante, le altre sostanze. Dal 1990, 1.214.180 persone sono state segnalate per possesso di sostanze stupefacenti ad uso personale; di queste il 72,81% per derivati della cannabis (884.044).

I dati disponibili, parziali (Polizia stradale, 2017) indicano che solo l’1,23% dei conducenti coinvolti in incidenti stradali rilevati è stato accusato di violazione dell’art. 187 del Codice della strada.

Sul versante dei servizi, il testo segnala come «la vecchia divisione fra un numero limitato di consumatori altamente problematici e una platea di consumatori occasionali-ricreazionali non è più attuale». Non funzionerebbe più nemmeno il modello dell’offerta terapeutica “intensiva” per un’utenza altamente problematica, destinata a rimanere a lungo in carico dei SerD e/o delle comunità. «Nel mondo dei consumi – si legge ancora nel voluminoso dossier di 114 pagine – esiste oggi una situazione più graduata e complessa, con molti differenti modelli di consumo associati a differenti livelli di rischio e di danno. Si assiste a una diversificazione degli stili e degli ambienti di uso, ma i medesimi consumatori possono cambiare nel tempo il loro modello di consumo, con frequenti oscillazioni. Ciò richiede un’articolazione dell’offerta dei servizi. Questa nuova realtà dei consumi rimane in larga parte sconosciuta perché è carente, se non assente, la ricerca ufficiale sui modelli e gli stili di consumo, nonostante questo tipo di ricerca sia in grado di fornire una lettura più ampia dei consumi, oltre il “tunnel della droga”, gettando le basi per un nuovo sistema dei servizi».

Sistema “statico” e povertà dei dati non permettono di rilevare gli interventi innovativi «che già esistono: dai progetti di housing, alla formazione al lavoro, alla riduzione dei rischi. I servizi si sono negli anni impoveriti, con gravi carenze di personale che penalizzano soprattutto gli interventi psicosociali». Gli autori ripropongono quindi il superamento dell’«attuale servizio “a risposta unica”, organizzato come un ambulatorio e focalizzato sulla “patologia” del consumo: che non

contrasta, anzi asseconda lo stigma sociale».

Grande assente dai dati governativi la Riduzione del danno che, in Europa è invece un “pilastro” delle politiche pubbliche: dai dropin agli infoshop (servizi di consulenza per un uso più sicuro), dal drug checking alle stanze del consumo. «In Italia la Riduzione del danno è ancora la Cenerentola, l’inserimento nei Livelli essenziali di assistenza può rappresentare una svolta», si legge nel Libro bianco.

Anche la ricerca sulle droghe soffre per il suo sbilanciamento sul “farmacocentrismo”. Dal 2009 al 2013, il Dipartimento antidroga ha finanziato ricerche in campo farmacologico e neurobiologico per più di un milione e mezzo di euro. E nessuna ricerca psicosociale anche se solo quest’ultima può spiegare le ragioni del consumo, dei suoi contesti, degli stili di vita e di adattamento dei consumatori così da pianificare le opportune politiche. «Lo squilibrio a scapito della ricerca psicosociale si è accentuato con la fortuna della ricerca neurobiologica e della Brain research, col risultato di un nuovo “neurocentrismo” – si può leggere ancora nel testo che rivendica anche una svolta nelle politiche di ricerca – la Brain research, in particolare i risultati del Brain imaging, sono spesso interpretati a sostegno della addiction theory, in maniera distorta e scarsamente scientifica. La “addiction” come malattia del cervello riconferma l’idea della dipendenza come “malattia cronica recidivante”.

Ma le droghe non alterano le strutture cerebrali e la dipendenza è la condizione di chi si trova a ripetere l’unica esperienza in grado di procurargli gratificazione. Tuttavia la Brain research è entrata nel senso comune, svalutando gli interventi diversi da quelli medici farmacologici». Nel testo, che si può trovare sul sito di Fuoriluogo, ci sono anche interventi che sfatano i miti proibizionisti contro la legalizzazione della cannabis. Leonardo Fiorentini, il direttore del sito del Forum droghe, fa il punto con Mario Perduca sulle esperienze americane, dal Canada all’Oregon, dall’Uruguay alla California, di legalizzazione della cannabis.