La vicenda dell’Aquarius ha svelato in poche ore tutta la determinazione e il cinismo del governo a trazione leghista, nell’attaccare alle fondamenta il progetto di Unione europea. Salvini, violando il diritto internazionale e il più basilare principio di umanità, ha negato l’approdo sicuro ad una nave con 629 persone salvate in mare.
Una mossa vigliacca, forte coi deboli e debole coi forti, perché la battaglia per la solidarietà europea non si fa sulla pelle delle persone in mare, ma ai tavoli dove si cambiano le norme sbagliate come il regolamento di Dublino. Proprio come abbiamo ottenuto al Parlamento europeo lo scorso novembre, portando in una votazione storica i due terzi dell’aula a proporre una riforma che cancella il criterio ipocrita del “primo Paese di accesso”, sostituendolo con un meccanismo di ricollocamento automatico e permanente, che valorizzi i legami significativi delle persone e che obblighi tutti gli Stati europei a fare la propria parte sull’accoglienza.
Per due anni di delicato negoziato su una riforma fondamentale per l’Italia, la Lega, che si erge a baluardo dell’interesse nazionale, non si è mai presentata a nessuna delle 22 riunioni, per poi astenersi sul voto a Strasburgo (mentre il Movimento 5 stelle ha votato contro). Un comportamento che chiarisce ciò che realmente muove Salvini in questa partita. Non la modifica di Dublino, la sola che potrebbe assicurare solidarietà europea all’Italia, ma la messa in discussione dell’Unione stessa, attraverso un asse incomprensibile con i Paesi di Visegrad, che hanno interessi diametralmente opposti, perché rifiutano ogni condivisione delle responsabilità sull’accoglienza. E se pensano all’esternalizzazione delle nostre frontiere e responsabilità, non si credano originali: sono anni che provano, con l’unico risultato di aprire nuove rotte ancor più pericolose, sempre verso Italia e Grecia.
Salvini sacrifica così i diritti fondamentali e l’interesse italiano sull’altare di un’alleanza politica con Órban e il fronte sovranista, che ha come fine ultimo quello di disintegrare l’Unione. I nuovi sovranisti si muovono, infatti, come un fronte compatto, europeo e globale, e si rafforzano a vicenda, usando la stessa retorica di odio e intolleranza in diversi contesti nazionali. Pur nel paradosso che, portato agli estremi, li metterebbe gli uni contro gli altri. A quel fronte dobbiamo opporne un altro. Un fronte ampio, progressista ed ecologista insieme, da costruire sulle battaglie comuni che la sinistra europea sta già facendo in tanti Paesi ma senza riuscire, finora, a comunicare una visione comune del futuro dell’Unione e delle nostre società. Un fronte che prenda corpo sia a livello europeo che italiano e che rifiuti la polarizzazione tra establishment e sovranisti, per rifondare un’Europa profondamente solidale.
Le grandi sfide su cui ci giochiamo il futuro sono, infatti, tutte europee e globali e non possono trovare più risposta entro i ristretti confini nazionali. Vale per quella migratoria, dove serve rimettere al centro quel principio di solidarietà su cui si fonda l’essenza dell’Unione, superando Dublino e aprendo vie e legali sicure per l’accesso a tutti i Paesi Ue. Ma vale anche per quella climatica, per la giustizia fiscale e per la dimensione sociale che clamorosamente manca all’Ue e che è indispensabile per dare risposte concrete all’aumento delle diseguaglianze che inginocchiano le nostre società.
Il 28 giugno prossimo sarà una data cruciale per l’Unione. Il Consiglio europeo, che è co-legislatore con il Parlamento in questa materia, deciderà su Dublino. I governi hanno la responsabilità storica di dare sostanza alla solidarietà europea, perché è la loro inerzia ad aver spalancato le porte al rigurgito nazionalista e fascista nei nostri Paesi. Per questo, non possiamo restare a guardare, serve una grande mobilitazione europea che vinca gli egoismi nazionali.
Elly Schlein è europarlamentare di Possibile, relatrice della riforma del regolamento di Dublino per il gruppo dei Socialisti e Democratici