«Hai mai bussato al tuo vicino?» è la domanda che mi ha cortesemente posto ieri un'antica signora, una di quelle che qui da noi incrociamo come fantasmi con borse della spesa troppo pesanti, portafogli tenuti stretti, scalini del bus troppo alti e semafori terribilmente veloci. Nonostante per mestiere mi capiti di leggere storie, talvolta scriverle, e auscultare i fatti del mondo ogni volta che parlo con un anziano mi cade addosso un mondo che mi pare di avere messo troppo presto nei cassetti delle notizie passate, come se quei modi che furono non contengano in fondo anche le chiavi di lettura per il presente. Quando ho chiesto di rimando perché dovrei andare alla porta del mio vicino lei mi ha chiarito il concetto: «Per sapere come sta, se ha bisogno di qualcosa, se è infastidito da qualche nostra abitudine a cui magari non facciamo caso e non pensiamo che possa essere di disturbo», mi ha risposto lei. E l'ho trovata una frase piena di luce nel buio dei porti chiusi, delle grette disperazioni che ci inducono a rimpicciolire gli spazi di cui avere cura e di questo livore che insozza i social, i discorsi nei bar (perché sì, ci sono le persone dietro ai social, anche se a qualcuno fa comodo dimenticarselo) e i dialoghi della politica. E mi è venuto da pensare (è un pensiero mio, da appoggiare nel buongiorno di questa mattina) che oltre alla solidarietà è successo che sia andata completamente fuori moda la gentilezza. Essere gentili (nelle sue diverse declinazioni, compresa la buona educazione) è lentamente diventato un sinonimo di debolezza nella sua accezione peggiore: sono rampanti gli amministratori delegati, sono feroci gli avversari politici, sono vendicative le cosiddette grandi firme dei giornali, sono doverosamente incazzati i commentatori in internet, sono simpatici coloro che trovano le perifrasi più sconce per irridere gli altri, sono buoni padri di famiglia  quelli che eccedono nella difesa sparando nel mucchio. Forse in fondo (è quasi una speranza) ci comprime così tanto essere diventati quotidiani coltivatori domestici di bile che un Salvini quasi ci consola, come succede ai servi quando si convincono di somigliare al proprio padrone: la scomparsa di gentilezza condona la nostra rabbia e siamo contenti così. Per questo basta un'anziana sconosciuta fedele alla gentilezza per farci balbettare come se ci avessero rubato quel vocabolario che pure dovrebbe essere comune. In fondo è ciò di cui si occupa da tempo il Manifesto della comunicazione non ostile (lo trovate qui) e altri che resistono al cattivismo. Ma essere gentili, di questi tempi, è anche un atto politico: è gentile colui che ha ancora la lucidità di avere fiducia nei suoi simili e se ci pensate è già una rivoluzione. Piccola, certo, ma terribilmente concreta. Oggi ho deciso che busserò al mio vicino. Buon giovedì.

«Hai mai bussato al tuo vicino?» è la domanda che mi ha cortesemente posto ieri un’antica signora, una di quelle che qui da noi incrociamo come fantasmi con borse della spesa troppo pesanti, portafogli tenuti stretti, scalini del bus troppo alti e semafori terribilmente veloci. Nonostante per mestiere mi capiti di leggere storie, talvolta scriverle, e auscultare i fatti del mondo ogni volta che parlo con un anziano mi cade addosso un mondo che mi pare di avere messo troppo presto nei cassetti delle notizie passate, come se quei modi che furono non contengano in fondo anche le chiavi di lettura per il presente.

Quando ho chiesto di rimando perché dovrei andare alla porta del mio vicino lei mi ha chiarito il concetto: «Per sapere come sta, se ha bisogno di qualcosa, se è infastidito da qualche nostra abitudine a cui magari non facciamo caso e non pensiamo che possa essere di disturbo», mi ha risposto lei.

E l’ho trovata una frase piena di luce nel buio dei porti chiusi, delle grette disperazioni che ci inducono a rimpicciolire gli spazi di cui avere cura e di questo livore che insozza i social, i discorsi nei bar (perché sì, ci sono le persone dietro ai social, anche se a qualcuno fa comodo dimenticarselo) e i dialoghi della politica.

E mi è venuto da pensare (è un pensiero mio, da appoggiare nel buongiorno di questa mattina) che oltre alla solidarietà è successo che sia andata completamente fuori moda la gentilezza. Essere gentili (nelle sue diverse declinazioni, compresa la buona educazione) è lentamente diventato un sinonimo di debolezza nella sua accezione peggiore: sono rampanti gli amministratori delegati, sono feroci gli avversari politici, sono vendicative le cosiddette grandi firme dei giornali, sono doverosamente incazzati i commentatori in internet, sono simpatici coloro che trovano le perifrasi più sconce per irridere gli altri, sono buoni padri di famiglia  quelli che eccedono nella difesa sparando nel mucchio.

Forse in fondo (è quasi una speranza) ci comprime così tanto essere diventati quotidiani coltivatori domestici di bile che un Salvini quasi ci consola, come succede ai servi quando si convincono di somigliare al proprio padrone: la scomparsa di gentilezza condona la nostra rabbia e siamo contenti così.

Per questo basta un’anziana sconosciuta fedele alla gentilezza per farci balbettare come se ci avessero rubato quel vocabolario che pure dovrebbe essere comune. In fondo è ciò di cui si occupa da tempo il Manifesto della comunicazione non ostile (lo trovate qui) e altri che resistono al cattivismo. Ma essere gentili, di questi tempi, è anche un atto politico: è gentile colui che ha ancora la lucidità di avere fiducia nei suoi simili e se ci pensate è già una rivoluzione. Piccola, certo, ma terribilmente concreta. Oggi ho deciso che busserò al mio vicino.

Buon giovedì.