A Milano, un giudice ha negato ad un lavoratore rider il riconoscimento del diritto all’assunzione a tempo indeterminato, sulla base soprattutto della considerazione che il suo rapporto di lavoro non è di tipo subordinato. La sentenza è arrivata poche ore dopo l’approvazione del cd. decreto Dignità da parte del consiglio dei ministri. La misura, riducendo significativamente la durata dei contratti a termine e dei loro possibili rinnovi, dovrebbe costituire, secondo il suo estensore, il ministro del Lavoro e vice premier Luigi Di Maio, «la Waterloo del precariato italiano».
Tra i due fatti non c’è evidentemente legame diretto, ma è difficile leggere le due notizie come se parlassero di cose diverse, di mondi diversi.
Cosa rappresenta oggi il lavoro di rider se non il fronte, per restare ad una terminologia militare, più avanzato della lotta a tutti i nuovi tipi di precarietà lavorativa? Sul riconoscimento del rapporto di lavoro di rider come subordinato, si gioca la possibilità di migliaia di lavoratori sfruttati di aspirare ad una paga e a condizioni di lavoro dignitose, per restare in tema di dignità, appunto.
Altre cause del genere sono in corso in Italia, e l’auspicio, ovviamente, è che possano arrivare sentenze di segno opposto a quella milanese.
Frattanto, valuteremo gli effetti del dl Dignità, sperando che la riduzione delle durate dei contratti a tempo determinato porti effettivamente a più lavoro a tempo indeterminato e non, come molti temono, ad altra precarietà o a minore occupazione in senso assoluto. Di certo la sentenza di Milano non è un bel segnale, un buon inizio, come direbbe Di Maio, per la Waterloo del precariato, e suona un po’ come se il fattorino meneghino fosse il primo caduto sul campo, per giunta dei precari e non del precariato.