Come racconta la brava Floriana Bulfon su Repubblica il ritorno a casa del capo clan dei Casamonica Giuseppe (che ha scontato una condanna per traffico di cocaina mica in carcere ma in una più accogliente comunità di recupero in controtendenza con i piccoli spacciatori che invece il carcere se lo fanno per davvero) ha segnato nel giro di poche ore la piena ripresa in possesso della sua zone, Romanina, istituendo una zona franca in cui è impossibile accedere.
Scrive Bulfon: «Davanti alla villa di Giuseppe Casamonica tre giovani con i muscoli in bella vista controllano ogni movimento. Se si prova a domandare, una donna interviene e blocca tutti con lo sguardo. È Liliana, la sorella più grande di Giuseppe. “Non te lo posso dire se è qui, capisci?”, si fa incontro quasi gentile. Lei – arrestata per aver segregato l’ex cognata minacciando di sfregiarla con l’acido e di portarle via i piccoli – gira le spalle ed entra nella casa del dirimpettaio. Sul muro c’è un cartello attaccato con lo scotch: “Ottavio Spada suonare qui”».
Si potrebbe dire che hanno chiuso i porti nel bel mezzo della capitale d’Italia dal loro vicolo Porta Furba fino al Roxy Bar, quello diventato tristemente famoso (ovviamente non più di qualche ora) per il pestaggio che Antonino Casamonica ha inflitto al proprietario come esibizione del proprio potere.
Uno degli aspetti più svilenti del potere (continuerò a scriverlo, imperterrito) è lo sfoggio di forza contro i deboli a cui non corrisponde mai la stessa intensità con i forti. Forse, piuttosto che lanciarsi in bagni in piscina dentro ville già sequestrate da altri o lanciarsi nella promessa di prendere a bastonate i mafiosi sarebbe il caso di usare il pugno di ferro evitando di regalare pezzi di territorio (e di economia) ai clan che spadroneggiano con la sicumera di uno scafista. E lo fanno qui, senza bisogno di coste, in mezzo alla gente.
Eppure la Storia ci insegna che accade sempre così: chi sfoggia i muscoli per racimolare consenso balbetta di fronte alle prepotenze a cui non bastano gli annunci per essere debellate. La guerra alla mafia si fa con l’amministrazione, la politica, la costruzione di reti sociali, la riappropriazione della fiducia dei territori, un’efficace protezione dei denuncianti, la rivitalizzazione del tessuto urbano e della coscienza pubblica e con un’opera culturale di etica condivisa. Troppo, davvero troppo, per stare semplicemente dentro un tuffo o dentro un tweet.
Buon martedì.