Nella bellissima canzone “Non insegnate ai bambini”, uscita postuma nel 2003, Giorgio Gaber ammoniva profetico: «Non insegnate la vostra morale è così stanca e malata potrebbe far male/ forse una grave imprudenza è lasciarli in balia di una falsa coscienza».
La lezione del Signor G purtroppo sembra oramai solo un flebile brusio nelle orecchie distratte della maggioranza degli adulti. Prima a Riccione poi a Rimini dei bimbi di colore, secondo quanto riportano le cronache dei giornali, sono stati allontanati e insultati da altri bambini per il colore della pelle. Gli stereotipi e i pregiudizi hanno sporcato di una violenza più grande di loro i piccoli protagonisti di questi brutti episodi. Eppure, anche in questo mare magnum di disumanità, ci sono dei segnali di confortante speranza.
«Gli stereotipi non sono innati. Sono trasmessi dalla famiglia, dall’ambiente culturale e sociale con vari mezzi. Abbondano nel linguaggio comune e traspaiono anche nelle informazioni che riceviamo dal mondo dei mass media. E dato che gli stereotipi sono aspettative che possono influenzare i nostri comportamenti, costituiscono la base sopra cui si costruiscono pregiudizi, discriminazione e razzismo». Renata Toninato è un’insegnante di scuola media primaria del Veneto, e dal 1988 collabora con Amnesty International Italia dedicandosi all’educazione e ai diritti dei minori. Ha curato un “percorso didattico contro la discriminazione” nel quale indica gli strumenti più idonei da utilizzare nelle scuole per smontare le false conoscenze e sviluppare al contrario la coscienza critica nei ragazzi.
«Gli stereotipi sono delle immagini semplificate, delle scorciatoie che usiamo per comprendere l’infinita complessità del mondo esterno e sono condivise dal gruppo che le ha prodotte.
In questo modo assolvono diverse funzioni: di coesione e difesa del gruppo (ad esempio gli stereotipi nazionali o etnici), di “conoscenza preconfezionata” e spiegazione della società. In realtà, proprio per la loro semplificazione e per mancanza di verifica, questi diventano una “non conoscenza” ed un ostacolo alla reale conoscenza di ciò che ci circonda». Per Toninato è quindi fondamentale che gli insegnanti lavorino per sviluppare il senso critico degli alunni perché «i ragazzi non possiedono i filtri necessari per verificare la veridicità o meno di quello che sentono, vedono o leggono, soprattutto sui social. Gli alunni di oggi hanno infatti strumenti di relazione che noi non avevamo, e questo può mettere in difficoltà gli adulti. In realtà è sufficiente utilizzare strategie mirate, come le metodologie partecipative e i giochi di ruolo, e anche noi adulti possiamo beneficiare di una crescita umana e professionale insieme a loro».
Nel corso della sua lunga esperienza di insegnante, Toninato ha potuto notare come il lavoro paziente e coinvolgente con gli alunni sia stato sempre ripagato: «È giusto non generalizzare sulla generazione attuale degli adolescenti. Accanto a situazioni di sospetto e di rifiuto dell’altro, sempre veicolate dall’esterno, abbiamo raccolto riflessioni molto profonde da parte dei ragazzi. Per questo ritengo non siano da ingrandire gli episodi di Rimini e Riccione. Sono sicuramente dei segnali sui quali dobbiamo interrogarci e ai quali prestare attenzione. È necessario però ragionare su cosa dobbiamo fare noi adulti per i nostri ragazzi. Noi come insegnanti, e i genitori come genitori».
Intanto a Firenze, fatta salva la centralità della scuola nel processo di formazione dei ragazzi, si tenta anche un esperimento educativo “dal basso”: il 4 luglio è nata ufficialmente l’associazione Global friends, che promuove corrispondenze epistolari tra bambini che vivono a latitudini diverse. Un progetto per favorire la conoscenza reciproca tra i bambini del Nord e del Sud del mondo.
«L’intento è quello di una “auto-educazione alla diversità dal basso”, un’educazione alla multiculturalità non filtrata dagli adulti, dove sono gli stessi bambini ad essere parte attiva dell’insegnamento e dell’educazione attraverso la reciproca scoperta, la conoscenza dell’altro e lo scambio di parole. Nell’epoca dei pregiudizi – precisa Jacopo Storni, giornalista e scrittore, e presidente dell’associazione – vogliamo seminare conoscenza, nell’epoca dei muri vogliamo seminare ponti culturali mettendo in relazione coloro che sono i migliori maestri di vita, i bambini, gli adulti del mondo di domani».
Global Friends ha alle spalle già due anni di attività pilota, nel corso dei quali sono state messe in contatto, sempre attraverso corrispondenze individuali, quattro classi di scuola elementare di Firenze con altrettante classi in quattro luoghi diversi: Mozambico, Brasile, Sahara Occidentale, Senegal.
«L’obiettivo dell’associazione è adesso quello di ampliare la propria attività e coinvolgere altri alunni, altre classi e altre scuole in Italia e nel Sud del mondo. Attraverso queste corrispondenze epistolari – conclude Storni- i bambini imparano a conoscere i loro coetanei che vivono in altri luoghi della terra, a guardare il pianeta e vederlo intero». Un’educazione che, leggendo la cronaca quotidiana, sarebbe d’aiuto anche a molti adulti.
«Gi stereotipi non sono innati, ai bambini vengono trasmessi dalla famiglia e dall'ambiente culturale», dice l'insegnante Renata Toninato che collabora con Amnesty. E a Firenze nasce Global friends, per costruire “ponti culturali” tra Italia e Africa