Pubblicata dal Center for reproductive rights sin dal 1998, la mappa dimostra come i Paesi privi di una legislazione sull'aborto sicuro e legale siano ancora molti. Dove la legge non è ammessa nemmeno se la vita della donna è in pericolo

The World’s Abortion Laws è un progetto sviluppato e messo in rete dal Center for reproductive rights sin dal 1998. Consiste in una mappa interattiva dove i Paesi del mondo sono contrassegnati con un colore, che varia dal rosso, all’arancione, al giallo o al verde, in base a quanto sono restrittive le leggi in merito all’interruzione volontaria di gravidanza. Nella pagina in cui viene spiegato il progetto, il Centro scrive che «Un aborto sicuro e legale è un diritto umano della donna». Una precisazione più che mai necessaria, visto che molti Stati del mondo adottano ancora una legislazione estremamente restrittiva, fino ad alcuni Paesi in cui l’Ivg non viene ammessa nemmeno in caso di pericolo di vita della donna. Che la legge manchi del tutto o sia stata abrogata, le lotte per veder riconosciuto un proprio diritto fondamentale sono ancora in piedi. Dalle statistiche risulta infatti che il 25% della popolazione mondiale viva in Paesi che sono colorati di rosso sulla mappa.


La mappa del Center for riproduttive rights: in rosso i Paesi in cui l’aborto è vietato

A questo proposito, sono giorni importanti quelli che stanno attraversando i democraticissimi Stati Uniti d’America: dopo lo scandalo dei minori migranti separati dalle proprie famiglie appena passato il confine, un altro pericolo potrebbe concretizzarsi. Lunedì 9 luglio, il presidente Trump ha scelto come nuovo giudice della Corte suprema Brett Kavanaugh in sostituzione del dimissionario Anthony Kennedy. Kavanaugh è apertamente conservatore, con posizioni ambigue sul diritto alla Ivg e sulla legittimità della Roe v. Wade, il pronunciamento del 1973 che ha spostato la giurisdizione in merito dal livello statale a quello federale, dando come supporto una interpretazione estensiva del XIV emendamento della Costituzione, quello che riguarda (in parte) la definizione dei diritti civili. Se la sua nomina venisse ratificata dal Congresso, ciò comporterebbe non soltanto la cementificazione della maggioranza conservatrice tra i giudici della Corte suprema, ma anche uno spiraglio di possibilità per gli antiabortisti di vedere abolita la legge che impedisce ai singoli Stati di emanare ed utilizzare leggi più severe in merito alla Ivg. Una possibilità, questa, non così irreale: risale allo scorso maggio il tentativo dello Iowa di anticipare il limite di tempo che sancisce la legalità della procedura intorno alle 6 settimane di gestazione, un periodo in cui spesso la donna in questione non sa neppure di essere incinta. Il movimento prolife dell’Iowa spera che questa legge, che dovrà essere discussa e approvata dalla Corte suprema, rappresenti la scusa necessaria per abolire definitivamente la Roe v. Wade.

Un caso ancora più eclatante è quello riguardante il Nicaragua, segnato in rosso sulla mappa del Center for reproductive rights con la segnalazione di “legge abrogata”. Nel 2007, infatti, il Fronte sandinista di liberazione nazionale (Fsln) ha votato per l’eliminazione della legge precedente, sotto espressa richiesta del neo-rieletto presidente Daniel Ortega. La stampa ha portato in evidenza un diretto coinvolgimento del cardinal Miguel Obando y Bravo, il quale avrebbe barattato una fetta consistente di voti a favore di Ortega in cambio dell’abrogazione della legge sull’aborto terapeutico non appena fosse entrato in carica. Una mossa che ha suscitato indignazione anche nelle fila degli intellettuali nicaraguensi, come ad esempio Gioconda Belli, famosa scrittrice e nota militante sandinista, la quale pur non rinnegando le proprie convinzioni ha deciso di prendere le distanze da un Fsln che viene considerato sotto il controllo di Ortega e sua moglie, l’ennesima coppia-holding della storia della politica.

Sarebbe semplice, tuttavia, relegare il problema ad aree del mondo lontane e che spesso vengono considerate arretrare. La vicinissima Irlanda è stata teatro, lo scorso 25 maggio, di un referendum in cui veniva chiesto alla popolazione se era favorevole o contraria all’abrogazione dell’ottavo articolo della Costituzione, il quale determina che l’Ivg è legale soltanto in casi di pericolo di vita per la madre. Il 66.4% ha votato per l’abrogazione di “The 8th”, con 3.3 milioni di votanti in 6500 seggi.

Il problema, tuttavia, non è soltanto l’esistenza o meno di una legge che permetta allo Stato di essere colorato di verde sulla mappa del Center for reproductive rights, ma l’effettiva possibilità di accedere alla pratica. Molto spesso, infatti, una lunga e contorta burocrazia, moduli estremamente complessi o procedure che richiedono consensi di terzi allungano l’attesa, rendendo difficile esercitare il proprio diritto nei tempi e nei modi previsti dalla legge. The World’s Abortion Laws cita il caso della Polonia, che è stata più volte richiamata perché non stava rispettando i criteri minimi di accessibilità all’Ivg, oppure del Nepal, che imponeva costi elevatissimi per sottoporsi all’aborto terapeutico, rendendolo quindi un privilegio per pochissime. Anche nella più che vicina Italia, accedere all’Ivg, regolamentata dalla legge 194, è diventato sempre più difficile a causa del moltiplicarsi dei ginecologi obiettori di coscienza negli ospedali pubblici. Una situazione non regolamentata, che spesso fa sì che in alcune strutture non sia presente neanche un medico non obiettore, comportando a volte la necessità di dover cambiare regione o addirittura Paese per procedere alla Ivg.