Tra i migranti che cercano di entrare in Grecia attraverso il confine turco c’è anche chi ha subito persecuzioni da parte del regime di Ankara per via delle sue idee liberali. L’ultimo ostacolo verso la libertà sono le acque tumultuose del fiume Evros e le mine antiuomo

Alcuni siedono sui gradini polverosi dei container, altri sui pallet di legno accatastati in disordine in un angolo, quasi tutti – smartphone in mano – provano a mettersi in contatto con familiari e amici, per informarli che sono finalmente in Europa. I volti sono scavati dalla stanchezza, per la notte passata nei campi attorno al fiume Evros. Sono in 35, al di là del reticolato del centro di detenzione di Fylakio, a una manciata di chilometri dal confine con la Turchia. Attendono di essere identificati. Saranno poi trasferiti nel campo container, recintato da reti e filo spinato. Tra loro c’è Selim: «Sono turco. Sono arrivato stanotte attraverso il fiume».

La presenza di cittadini turchi, oppositori di Erdogan, che riparano in Europa, è una novità. Selim è uno di loro, partito col fratello Hakan (i nomi sono di fantasia), e mescolato al gruppo appena arrivato, gente da Pakistan, Afghanistan, Siria e Iraq. Il fenomeno è confermato da più parti, sia in Grecia che in Bulgaria. «Non potevo restare in Turchia. Il regime di Recep Tayyp Erdogan mi sta addosso – dice -, ho subito minacce, così come anche la mia famiglia. A Istanbul facevo l’insegnante. Ma pensano che io sia un simpatizzante di Fetullah Gulen. Non è così: ho solo idee liberali. Così ho deciso di pagare un trafficante che portava altre persone in Grecia, e sono fuggito insieme a mio fratello».

Il fiume Evros, confine naturale tra Turchia e Grecia, è la porta orientale verso l’Europa. Da aprile gli ingressi via terra superano quelli sulle isole dell’Egeo. Qui si tenta il guado a rischio della vita. In alcuni punti la corrente è forte. «È pericoloso – spiega Mohamed Shabbar Hasmi, che in Pakistan ha lasciato moglie e figlia -, l’acqua è torbida e fredda e sul confine turco ci sono le mine antiuomo (residuato della crisi di Cipro del 1974, ndr)». Lo conferma anche Pavlos Pavlidis, medico legale che dal 2000, ad Alexandropoli, dove sfocia il fiume, prova a restituire un’identità a quanti muoiono nell’Evros, corpi sfigurati dall’acqua e dai pesci: «15 cadaveri in 6 mesi. L’anno scorso…

Il reportage di Massimo Lauria dal confine greco-turco prosegue su Left in edicola


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