Un excursus sugli ultimi due anni di politica a sinistra, dal lancio di Sinistra italiana con la kermesse Cosmopolitica alla vittoria del No al referendum costituzionale e all'esperienza del Brancaccio. Per arrivare ai risultati delle elezioni del 4 marzo. Un pamphlet condito da riflessioni, contrappunti autobiografici, e indicazioni per rimettere in discussione idee e pratiche di chi, a sinistra, prova a progettare un diverso futuro possibile. Andrea Ranieri, ex senatore, a lungo dirigente nella Cgil e nei Democratici di sinistra, nel suo nuovo libro La memoria e la speranza. Oltre le macerie della sinistra (Castelvecchi, 2018), analizza i limiti dell'attuale classe politica, e prova a indicare una via per ripartire, e tornare a sperare. Proponiamo qui un estratto dell'opera. La postfazione è a cura di Tomaso Montanari Il libro sarà presentato mercoledì 25 luglio a Roma, presso la libreria Feltrinelli di via Tomacelli. Insieme all'autore, intervengono Antonello Caporale, Francesca Fornario, Tomaso Montanari, Christian Raimo. [divider]La memoria e la speranza[/divider] Al capolinea E rivedere un po’ cosa intendo per popolo. Il popolo per la politica è quella strana entità che insieme si disprezza e si accarezza. Ridotto a statistiche e a sondaggi. A numeri, a cui sfuggono le facce e i pensieri. Da tradurre in slogan e in parole d’ordine che provino ad avere il consenso di quella parte che, per numeri e sondaggi, sembra maggioritaria. Carezze appunto che nascono dal disprezzo. Mi chiedo se anche la sinistra di cui faccio parte non sia dentro la stessa dialettica. Tendiamo a descriverlo come un tutto alienato e sottomesso alla logica spietata della tecnocrazia e del consumismo. In preda, indifeso, di un individualismo amorale in cui scompaiono al nostro stesso sguardo, gli individui. E noi capaci di generosità e altruismo, noi capaci di vedere il mondo oltre il confine delle pratiche quotidiane anche noi, in qualche modo, ci sentiamo e ci siamo sentiti avanguardia. Magari convinti che basti un nuovo discorso, improntato alla libertà e all’uguaglianza, o rivendicare per quel popolo il potere, per spazzare via consumismo, subalternità alla tecnocrazia, individualismo amorale, per costruire un mondo nuovo, o più modestamente per riportarli a votare. Per farli diventare più simili a noi. E ci sfuggono i modi concreti in cui le persone riescono a vivere l’invivibile. A mantenere spazi di autonomia e di socialità anche dove la tecnocrazia sembra ridurre ogni spazio di libertà, anche dove la miseria più nera sembra impedirti ogni vita possibile. Siamo capaci di leggere la microfisica del potere, incapaci di vedere la microfisica della speranza. In un libro che è stato tanto importante nella mia vita, La Gerusalemme rimandata, Vittorio Foa ci mostra i modi in cui gli operai inglesi del primo Novecento inventassero ogni giorno in luoghi di lavoro invivibili i modi per rallentare i tempi di lavoro, di costruire solidarietà, di non mettere la propria vita nelle mani del padrone. Mi piacerebbe pensare la politica come un luogo da cui partire per leggere le pratiche quotidiane...

Un excursus sugli ultimi due anni di politica a sinistra, dal lancio di Sinistra italiana con la kermesse Cosmopolitica alla vittoria del No al referendum costituzionale e all’esperienza del Brancaccio. Per arrivare ai risultati delle elezioni del 4 marzo. Un pamphlet condito da riflessioni, contrappunti autobiografici, e indicazioni per rimettere in discussione idee e pratiche di chi, a sinistra, prova a progettare un diverso futuro possibile. Andrea Ranieri, ex senatore, a lungo dirigente nella Cgil e nei Democratici di sinistra, nel suo nuovo libro La memoria e la speranza. Oltre le macerie della sinistra (Castelvecchi, 2018), analizza i limiti dell’attuale classe politica, e prova a indicare una via per ripartire, e tornare a sperare. Proponiamo qui un estratto dell’opera. La postfazione è a cura di Tomaso Montanari

Il libro sarà presentato mercoledì 25 luglio a Roma, presso la libreria Feltrinelli di via Tomacelli. Insieme all’autore, intervengono Antonello Caporale, Francesca Fornario, Tomaso Montanari, Christian Raimo.

[divider]La memoria e la speranza[/divider]

Al capolinea
E rivedere un po’ cosa intendo per popolo. Il popolo per la politica è quella strana entità che insieme si disprezza e si accarezza. Ridotto a statistiche e a sondaggi. A numeri, a cui sfuggono le facce e i pensieri. Da tradurre in slogan e in parole d’ordine che provino ad avere il consenso di quella parte che, per numeri e sondaggi, sembra maggioritaria. Carezze appunto che nascono dal disprezzo. Mi chiedo se anche la sinistra di cui faccio parte non sia dentro la stessa dialettica. Tendiamo a descriverlo come un tutto alienato e sottomesso alla logica spietata della tecnocrazia e del consumismo. In preda, indifeso, di un individualismo amorale in cui scompaiono al nostro stesso sguardo, gli individui. E noi capaci di generosità e altruismo, noi capaci di vedere il mondo oltre il confine delle pratiche quotidiane anche noi, in qualche modo, ci sentiamo e ci siamo sentiti avanguardia. Magari convinti che basti un nuovo discorso, improntato alla libertà e all’uguaglianza, o rivendicare per quel popolo il potere, per spazzare via consumismo, subalternità alla tecnocrazia, individualismo amorale, per costruire un mondo nuovo, o più modestamente per riportarli a votare. Per farli diventare più simili a noi. E ci sfuggono i modi concreti in cui le persone riescono a vivere l’invivibile. A mantenere spazi di autonomia e di socialità anche dove la tecnocrazia sembra ridurre ogni spazio di libertà, anche dove la miseria più nera sembra impedirti ogni vita possibile. Siamo capaci di leggere la microfisica del potere, incapaci di vedere la microfisica della speranza. In un libro che è stato tanto importante nella mia vita, La Gerusalemme rimandata, Vittorio Foa ci mostra i modi in cui gli operai inglesi del primo Novecento inventassero ogni giorno in luoghi di lavoro invivibili i modi per rallentare i tempi di lavoro, di costruire solidarietà, di non mettere la propria vita nelle mani del padrone. Mi piacerebbe pensare la politica come un luogo da cui partire per leggere le pratiche quotidiane…