Dopo due ore e mezza si conclude la presentazione della 75esima Mostra del cinema di Venezia, che si svolgerà dal 29 agosto all’8 settembre. Caldo fuori, attesa dentro, qualche sorpresa, meno titoli italiani del solito, brusio su chi c’è e chi non c’è, gran climax con i film in concorso, alcuni fiori all’occhiello, di cui giustamente vantarsi, sul rinato rapporto con il cinema americano degli studios, due Leoni alla carriera a Cronenberg e la Redgrave, infine qualche domanda e le risposte in inglese a data destinarsi. Introduce il presidente Baratta, sciorinando numeri e luoghi: incremento del 40% degli universitari accreditati dopo le agevolazioni dell’anno scorso, riqualificazione del Lazzaretto e accesso al magico Des Bains. La società proprietaria concede 1800 mq al primo piano, dove sorge ancora intatta la sala Visconti con la sua boiserie neoliberty e gli arredi neogotici, come luogo deputato per una mostra su immagini e volti che hanno caratterizzato la mostra nel corso della sua storia. La parola passa al direttore Barbera che, dopo aver ringraziato il suo ampio staff di selezionatori e corrispondenti, pacatamente sornione qualifica l’edizione di quest’anno ricca e curiosa – siamo fiduciosi e speranzosi – ma alla motivazione additata, perché porta sullo schermo film di genere che sono film di autori, questi ultimi forse consapevoli di dover ripristinare il patto con il pubblico, lo siamo un po’ meno. O meglio, la piega del genere in termini di autorialità e l’approccio autoriale alla risorsa narrativa ed espressiva del genere è un tema arcinoto, presente nella riflessione critica da circa 10 anni. Comunque, va bene così: repetita iuvant. Da Barbera, che ci porta i Cohen, Cuaron, Audiard e Tsukamoto (che passava per i nottambuli su Fuori Orario di Ghezzi), accettiamo tutto, pure le code sotto il sole, i respingimenti agli ingressi dei film e i gocciolamenti da pioggia (non sfx) durante le proiezioni. Solo all’acqua minerale 0.75 ml a 3.50 euro, a quella no, non ci rassegneremo mai.
I titoli delle sezioni sfilano sullo schermo: c’è il concorso Venice VR, a cui quest’anno, chiunque, su prenotazione, potrà assistere e sarà prolungato per tutto il festival. Include 39 prodotti tra i 10 e i 15 minuti; c’è Venezia classici che include film restaurati, già presentati alla mostra, tra cui La notte di San Lorenzo (1982) di Paolo e Vittorio Taviani, Il posto (1961) di Ermanno Olmi, L’anno scorso a Marienbad (1961, Leone d’oro alla Mostra di Venezia) di Alain Resnais, A qualcuno piace caldo (1959) di Billy Wilder, La strada della vergogna (1956, Segnalazione della Giuria alla Mostra di Venezia) di Kenji Mizoguchi etc e alcuni documentari incentrati sul mondo del cinema. Qui Barbera si sbilancia e indica il migliore ovvero il lavoro di Peter Bogdanovich su Buster Keaton, genio e indimenticabile maschera del cinema muto americano; c’è la sezione Sconfini ( ex Cinema nel giardino) eterogenea e trasversale, comprendente film di diversa fattura e tipologia, tra cui Il banchiere anarchico di Giulio Base ispirato ad un racconto di Pessoa, Arrivederci Saigon su una band toscana femminile coinvolta nella guerra in Vietnam di Wilma Labate e la versione di 180 minuti (mormorii in sala di non difficile interpretazione) del film The Tree of Life approvata da Malick e curata da Criterion; c’è la nobile e vitalissima competizione di Orizzonti, con autori poco conosciuti o sconosciuti, da cui l’anno scorso era emerso un piccolo gioiello come Nico di Susanna Nicchiarelli, che oggi si apre con Sulla Mia Pelle di Alessio Cremonini con un Alessandro Borghi in stato di grazia, Jasmine Trinca e Max Tortora, incentrato sul caso Cucchi, film di grande impegno civile e lucidità intellettuale che diverse voci danno destinato a Netflix, ma anche il lavoro di Alvaro Brechner La noche de 12 años sulla prigionia del presidente uruguayano Pepe Mujica e il film di Emanuele Scaringi La profezia dell’armadillo tratto dalla celebre sulfurea graphic novel di Zerocalcare. Fuori concorso saranno presentati L’amica geniale di Saverio Costanzo tratto dal best- seller di Elena Ferrante; Il diario di Angela di Yarvant Gianikian; A Letter to a Friend in Gaza di Amos Gitai; 1938 – Diversi di Giorgio Treves; l’esperimento di visual art Your Face di Tsai Ming-Liang; Indiana-Monrovia lavoro imperdibile del talento Wisemann, che stavolta mostra in che modo un piccolo luogo apparentemente fuori dalla storia apra una luce sull’elettorato di Trump; il nuovo mistery di Roberto Andò, Una storia senza nome; e il film di ispirazione autobiografica di Valeria Bruni Tedeschi Les Estivants. A Star is born segna il debutto alla regia di Bradley Cooper che ne è protagonista accanto a Lady Gaga. E ancora A Tramway to Jerusalem è lo sguardo di Amos Gitai sui conflitti interni, latenti e dichiarati, alla società israelopalestinese. Viene inoltre presentato l’inedito The Other side of the Wind, dopo 40 anni di difficoltà, portato a termine dal suo storico collaboratore Frank Marshall, che era parte del “famoso pacchetto Netflix” rifiutato da Cannes che include anche Rome di Cuaron.
Arriviamo al concorso. Il film d’apertura è di Damien Chazelle First Man che racconta la storia di Neil Armstron fino all’allunaggio nel 1969. Ci sono poi registi che suscitano profonda curiosità e naturale attesa come Jacques Audiard con The Sister Brothers, un western interamente girato in Europa con attori e tecnici americani, che riflette sui codici e le metodologie del genere; i fratelli Cohen con The Ballad of Buster Scruggs, 6 episodi ispirati al western da Tom Mix ai nostri giorni; Bruno Corbet con Vox Lux; Florian Henckel von Donnersmarck con Werk Ohne Autor che torna a riflettere sulla Germania, tra dittatura nazista, regime comunista e discorso artistico; Paul Greengrass che con 22 July racconta la strage di Utohia, durante la quale molti ragazzi perirono per mano di un folle di nome Breivik; e poi tornano Mike Leigh, Yorgos Lanthimos, l’attesissimo film di Laszlo Nemes, e Carlos Reygadas sottratto a Cannes. Tre gli italiani: Luca Guadagnino con Suspiria, remake di taglio estremamente personale con una Tilda Swinton proteiforme e irriconoscibile; Mario Martone con Capri-Revolution; e il documentarista d’eccezione Roberto Minervini Minervini che, dopo Louisiana e Stop The Pounding Heart con i quali è emerso all’attenzione di pubblico e critica, torna con You Gonna Do When the World’s On Fire?. I grandi registi non mancano e anche il glamour è assicurato dalla presenza di attori e attrici sul red carpet, assicura Barbera. Venezia apre a Netflix e prende le distanze da Cannes sul discorso della distribuzione e il vincolo del grande schermo. Il cinema statunitense è tornato, anche perché la tripletta Venezia, Telluride, Toronto oggi è più allettante che mai visti gli ultimi Academy Awards. Alla domanda come sta il cinema italiano, la risposta è: fase propositiva molto forte, come a dire… work in progress.