Gli immigrati che arrivano in Italia via mare sono molti meno degli italiani che emigrano. Lo abbiamo documentato e scritto molte volte. Ma il governo legastellato, con i ministri Salvini e Toninelli in pole position continua a gridare all’invasione. Che non c’è. Chiamando in causa l’insicurezza percepita dagli italiani, dacché le statistiche che riguardano la criminalità parlano di omicidi in calo (e non solo). La propaganda nazionalista e xenofoba se ne infischia della realtà, come si legge sui giornali, sui social e come vediamo in tv. Lo spauracchio di una inesistente invasione continua ad essere usato dal governo italiano come arma di distrazione di massa. Per cui crediamo di vedere ciò che non c’è (sbarchi in massa di immigrati) e non vediamo cosa invece c’è: lo stillicidio quotidiano di giovani italiani costretti ad andare all’estero in cerca di lavoro e di opportunità che nel Bel Paese non trovano. Nelle pagine che seguono potrete farvi direttamente un’idea dell’entità del fenomeno trovando mappe e leggendo approfondimenti di studiosi, a partire dal J’accuse del ricercatore e giornalista Steven Forti, emigrato a Barcellona. Dopo aver stigmatizzato l’inerzia mortale del governo Gentiloni e le improvvide uscite dell’allora ministro Poletti, ora denuncia l’immobilismo di quello che si è auto proclamato governo del cambiamento. Lascio a Steven Forti e a Shady Hamadi, italiano che un anno fa si è trasferito a Londra, ma anche a Matteo Guidi che vive e lavora a Bruxelles il racconto di quel che sta accadendo. Così come vi invito a leggere la lettera aperta di Vittorio Emiliani al presidente della Repubblica che traccia un quadro dettagliatissimo, cifre alla mano, delle fake news propalate da uomini di governo sugli sbarchi e sulla sicurezza. Qui mi preme rimarcare quanto il cosiddetto popolo invocato da Salvini (e che in realtà è composto solo da chi ha votato Lega e M5s) abbia la memoria corta riguardo alla storia italiana contrassegnata da molteplici e massicce ondate di emigrazione. In primis da sud a nord nel dopoguerra per andare a lavorare nelle fabbriche in cui i meridionali, venuti dalla campagna, erano tacciati di essere pigri e lavativi. Pregiudizi simili e umiliazioni se possibile anche peggiori aspettavano i migranti italiani che approdavano Oltreoceano, ad Ellis island, “l’isola delle lacrime”, dove dopo un viaggio devastante i nostri connazionali venivano sottoposti a umilianti accertamenti e, spesso, respinti. A chi riusciva a sbarcare non andava troppo meglio considerando le violente e odiose discriminazioni che avrebbero dovuto affrontare negli Usa dove la libertà era solo una immobile statua. In tempi in cui il ministro dell’Interno (che vorrebbe imporre crocifissi in ogni palazzo pubblico) sposa tesi negazioniste sui lager per migranti in Libia, giova ricordare che proprio in Libia i fascisti si resero responsabili di un genocidio, e che in Etiopia ed Eritrea il colonialismo italiano, iniziato ancor prima del regime, è reo di crimini atroci. In questo numero, mentre Stefano Galieni torna a fare il quadro delle agghiaccianti violenze a cui sono sottoposti in Libia i migranti respinti dall’Italia, la storica Valeria Deplano riaccende l’attenzione sulle pagine più buie della nostra storia, quelle appunto del colonialismo italiano in Africa. Parlando di italiani migranti, bisogna ricordare anche che allora moltissimi emigrarono in Etiopia. Durante il regime, l’Africa era considerata un paradiso per migranti, specie per quelli alla disperata ricerca di un posto al sole. Siamo stati noi ad invadere l’Africa, in modo violento. È la storia dei petits blancs. Fra loro anche operai italiani illusi di poter lavorare nelle infrastrutture e che ben presto il regime sostituì con mano d’opera locale sfruttata a livello di schiavismo. Tutto il periodo coloniale fu contrassegnato dall’emigrazione forzata delle donne. Benito Mussolini, ossessionato dalla purezza della razza, già nel discorso del 1927 alla Camera disse che per il bene dei funzionari e della patria le mogli dovevano raggiungere i mariti, perché la donna italiana doveva essere prima di tutto madre (l’illusione era anche fermare la rivolta degli indigeni che si erano ribellati alle violenze e agli stupri dei coloni). Sono pagine terribili che dovremmo ricordare. Sono pagine del passato che ci parlano di fascismo e di emigrazione. Solo assonanze beninteso col presente, ma sulle quali val la pena di riflettere. [su_divider style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]

L'editoriale di Simona Maggiorelli è tratto da Left in edicola

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Gli immigrati che arrivano in Italia via mare sono molti meno degli italiani che emigrano. Lo abbiamo documentato e scritto molte volte. Ma il governo legastellato, con i ministri Salvini e Toninelli in pole position continua a gridare all’invasione. Che non c’è. Chiamando in causa l’insicurezza percepita dagli italiani, dacché le statistiche che riguardano la criminalità parlano di omicidi in calo (e non solo). La propaganda nazionalista e xenofoba se ne infischia della realtà, come si legge sui giornali, sui social e come vediamo in tv. Lo spauracchio di una inesistente invasione continua ad essere usato dal governo italiano come arma di distrazione di massa. Per cui crediamo di vedere ciò che non c’è (sbarchi in massa di immigrati) e non vediamo cosa invece c’è: lo stillicidio quotidiano di giovani italiani costretti ad andare all’estero in cerca di lavoro e di opportunità che nel Bel Paese non trovano. Nelle pagine che seguono potrete farvi direttamente un’idea dell’entità del fenomeno trovando mappe e leggendo approfondimenti di studiosi, a partire dal J’accuse del ricercatore e giornalista Steven Forti, emigrato a Barcellona. Dopo aver stigmatizzato l’inerzia mortale del governo Gentiloni e le improvvide uscite dell’allora ministro Poletti, ora denuncia l’immobilismo di quello che si è auto proclamato governo del cambiamento.

Lascio a Steven Forti e a Shady Hamadi, italiano che un anno fa si è trasferito a Londra, ma anche a Matteo Guidi che vive e lavora a Bruxelles il racconto di quel che sta accadendo. Così come vi invito a leggere la lettera aperta di Vittorio Emiliani al presidente della Repubblica che traccia un quadro dettagliatissimo, cifre alla mano, delle fake news propalate da uomini di governo sugli sbarchi e sulla sicurezza. Qui mi preme rimarcare quanto il cosiddetto popolo invocato da Salvini (e che in realtà è composto solo da chi ha votato Lega e M5s) abbia la memoria corta riguardo alla storia italiana contrassegnata da molteplici e massicce ondate di emigrazione. In primis da sud a nord nel dopoguerra per andare a lavorare nelle fabbriche in cui i meridionali, venuti dalla campagna, erano tacciati di essere pigri e lavativi. Pregiudizi simili e umiliazioni se possibile anche peggiori aspettavano i migranti italiani che approdavano Oltreoceano, ad Ellis island, “l’isola delle lacrime”, dove dopo un viaggio devastante i nostri connazionali venivano sottoposti a umilianti accertamenti e, spesso, respinti. A chi riusciva a sbarcare non andava troppo meglio considerando le violente e odiose discriminazioni che avrebbero dovuto affrontare negli Usa dove la libertà era solo una immobile statua.

In tempi in cui il ministro dell’Interno (che vorrebbe imporre crocifissi in ogni palazzo pubblico) sposa tesi negazioniste sui lager per migranti in Libia, giova ricordare che proprio in Libia i fascisti si resero responsabili di un genocidio, e che in Etiopia ed Eritrea il colonialismo italiano, iniziato ancor prima del regime, è reo di crimini atroci. In questo numero, mentre Stefano Galieni torna a fare il quadro delle agghiaccianti violenze a cui sono sottoposti in Libia i migranti respinti dall’Italia, la storica Valeria Deplano riaccende l’attenzione sulle pagine più buie della nostra storia, quelle appunto del colonialismo italiano in Africa. Parlando di italiani migranti, bisogna ricordare anche che allora moltissimi emigrarono in Etiopia. Durante il regime, l’Africa era considerata un paradiso per migranti, specie per quelli alla disperata ricerca di un posto al sole. Siamo stati noi ad invadere l’Africa, in modo violento. È la storia dei petits blancs. Fra loro anche operai italiani illusi di poter lavorare nelle infrastrutture e che ben presto il regime sostituì con mano d’opera locale sfruttata a livello di schiavismo.

Tutto il periodo coloniale fu contrassegnato dall’emigrazione forzata delle donne. Benito Mussolini, ossessionato dalla purezza della razza, già nel discorso del 1927 alla Camera disse che per il bene dei funzionari e della patria le mogli dovevano raggiungere i mariti, perché la donna italiana doveva essere prima di tutto madre (l’illusione era anche fermare la rivolta degli indigeni che si erano ribellati alle violenze e agli stupri dei coloni). Sono pagine terribili che dovremmo ricordare. Sono pagine del passato che ci parlano di fascismo e di emigrazione. Solo assonanze beninteso col presente, ma sulle quali val la pena di riflettere.

L’editoriale di Simona Maggiorelli è tratto da Left in edicola


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