Di fronte all’avanzata di partiti populisti, xenofobi ed euroscettici abbiamo pensato di tornare a leggere il Manifesto di Ventotene. Il filologo e critico letterario Carlo Ossola, che si è molto occupato di Europa, consiglia soprattutto di rileggerne la seconda parte. «È indubbio che la seconda parte del Manifesto (“I compiti del dopo guerra – L’unità europea”) sia oggi la più pertinente», dice il docente del Collège de France. «Specialmente là ove pone l’esigenza di una unità sovranazionale (non già articolata quale somma di nazioni)».
Ecco il passaggio cruciale del Manifesto di Rossi e Spinelli che il professore ci invita a rileggere:
«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in Stati nazionali sovrani».
Ma, aggiunge Ossola, oggi di fronte alla «opacità politica di grandi Paesi quali la Cina e la Russia, e agli ondeggiamenti regressivi degli Usa», torna di attualità anche un ulteriore paragrafo del Manifesto, là dove recita: «E quando, superando l’orizzonte del Vecchio continente, si abbracci in una visione di insieme tutti i popoli che costituiscono l’umanità, bisogna pur riconoscere che la federazione europea è l’unica garanzia concepibile che i rapporti con i popoli asiatici e americani possano svolgersi su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo».
L’unità sovranazionale invocata da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi è, oggi più che mai, un affascinante progetto da riprendere e da realizzare. Forse è un’utopia ma tentare di attuarla significa anche criticare radicalmente l’Europa di oggi, che si è diventata una fortezza chiusa ai migranti. Una feroce contraddizione in termini visto che le migrazioni – come ci ricorda Ossola nel suo nuovo libro Vivaio delle comete. Figure di un’Europa a venire (Marsilio) – sono state una straordinaria leva di crescita culturale.
«Gran parte della storia di Roma, che unì il Mediterraneo e l’Europa continentale, il Medio Oriente e il nord Africa, nel millennio della propria storia, è caratterizzata dalla coscienza della mobilità feconda delle popolazioni e degli individui», dice Carlo Ossola a Left. «Erano previsti gradi diversi (socii, foederati, cives, etc.) di partecipazione alla res publica. In essa, precocemente, osserviamo che Seneca era di Cordova (Spagna). Da lì vicino, Ucubi, proveniva anche la famiglia del più raffinato imperatore romano, Marco Aurelio. Nordafricani furono Apuleio, Tertulliano, Agostino, Frontone, e moltissimi altri che hanno fondato il sapere d’Occidente. È illusorio pensare che l’Europa non sia sempre stata plurale».
Così come non si può accettare che l’Europa dei mercati sia l’ultimo orizzonte della storia, come ci vogliono far credere i neoiberisti.
Da parte sua Carlo Ossola insiste molto su una realtà dell’Europa che oggi viene annullata da euroscettici e sovranisti, ovvero che fin dal medioevo il Vecchio continente è stato unito dalle Università e dai clerici vagantes. «Rispetto al passato va osservato anzi che la mobilità sociale è fortemente diminuita in Europa e questo è un pessimo segno», denuncia l’accademico dei Lincei. Che tuttavia avverte: «Il processo di integrazione attraverso il sapere è comunque irreversibile, se si pensa alla lunga durata degli scambi Erasmus, alla validità dei dottorati internazionali bilaterali, ai progetti Erc, a molte istituzioni europee di ricerca, dal Cern all’Università europea di Fiesole».
Se è pur vero, come scrive Ossola, che per lungo tempo furono i francescani e i domenicani a percorrere in lungo e in largo il territorio europeo, dal suo ultimo libro si evince che anche molti autori hanno contribuito a costruire un’Europa profondamente laica. Fin da Plutarco che combatteva le credenze passando poi per Boccaccio, Leonardo da Vinci, Erasmo, Montaigne, Alfieri, Leopardi e oltre. Autori «tutti di una dignità umana più grande dell’uomo stesso, e anelanti tutti alla pace universale», chiosa lo studioso. Un ruolo chiave nella costruzione di una moderna Europa delle lettere ebbe anche Petrarca. Nella nostra conversazione Ossola sottolinea soprattutto l’aspetto universale della sua lezione. «Petrarca è il primo dei moderni – spiega il professore – poiché nel Secretum prende le Confessioni di Agostino e le trasforma in una drammaturgia del sé; l’uomo può parlare del proprio temperamento e destino calandolo nel tempo, in questo tempo sublunare nel quale viviamo, pieno di turbamenti, illusioni, slanci».
Ma c’è anche un altro aspetto da notare: il petrarchismo fu il primo genere poetico in cui si affermò la scrittura femminile. «La sua scrittura volgare, i suoi sonetti, piani, in una lingua tersa e imitabile – dice Ossola- furono il modello di una creazione al femminile che si sviluppò soprattutto nel Cinquecento, pensiamo per esempio a Vittoria Colonna, a Gaspara Stampa, Veronica Franco». Nel Vivaio delle comete la tradizione italiana innerva quella europea intrecciandosi con molte altre. In questa sua variegata biblioteca europea spiccano i nomi di Cervantes, Shakespeare, Leopardi, Dostoevskij, come autori cardine per l’Europa a venire. La nostra memoria collettiva, sottolinea lo studioso, nasce da una stratificazione di voci che hanno avuto un respiro che va ben al di là dei confini nazionali. «Nessun vero classico è puramente “nazionale”. Ad ogni opera di questi “fari”, come li definì Baudelaire, occorre ripetere, con il Rienzi di Wagner, “a tutto il mondo appartenga Roma”, come a tutto il mondo appartiene l’Iliade o l’Odissea, o l’Eneide, o la Divina commedia», dice Ossola. «Insegno a Parigi – aggiunge – e nel giardino prospiciente al Collège de France, c’è una statua di Dante. È l’unica (eretta a fine Ottocento) che non abbia cartiglio di sorta, mentre ne sono munite le statue vicine di Ronsard e di Montaigne. Perché Dante apparteneva e appartiene alla memoria collettiva dell’umanità. In questo le Lettere hanno un valore politico: abituano alla cittadinanza universale».
In un libro recente che è complemento del Vivaio delle comete, e cioè Europa ritrovata, Carlo Ossola ripercorre «in luoghi piccoli, plurali e universali per il loro lascito, questo grande dono d’Europa: la coscienza di un “oltre” che sia più inclusivo del “qui”: dalla Treviri della romana Porta Nigra e di Karl Marx alla Belém dei sogni del “Quinto impero” alla Lisbona del trattato siglato nel 2007 che – nell’opinione del professore – incrementa i principi di una Costituzione europea». L’identità plurale dell’Europa si è espressa attraverso la lettura, ma anche attraverso l’arte.
La gratuità dell’espressione artistica, dunque, è un altro aspetto che caratterizza la storia d’Europa che non è sempre stata legata solo ad una visione economicista incentrata sull’homo oeconomicus?
«Con i loro studi, Lucien Febvre e Henry Kraus hanno mostrato come l’Europa delle cattedrali sia anche il trionfo del simbolico sopra l’economico, del prestigio sopra la convenienza, del monumento sopra l’emolumento», risponde Ossola. «Le città si raccolgono intorno a un valore che “elevi a tenda” (come dirà nel Novecento Paul Celan), un po’ come oggi prosegue la costruzione della Sagrada familia a Barcellona. Da un lato il forum della merce e della parola condivisa, dall’altro il Palazzo della Ragione – di senno e di giustizia -, appaiono come le arcate portanti dell’identità europea: li visitiamo ancora, in essi convergiamo ancora». «Bisogna pensare al futuro dell’Europa in quei termini – esorta Carlo Ossola – anche se ora le nostra città crescono secernendo bidonvilles e ipermercati che le circondano e soffocano. Molto meglio ripensare a un valore comune da rimettere al centro di una vita sociale condivisa!».