“Migranti: da dove vengono, cosa li spinge a partire, come viaggiano” è l’argomento di approfonditi seminari organizzati nei mesi scorsi dalla Fondazione Basso per gli studenti della Scuola di giornalismo, e aperti al pubblico. Li abbiamo seguiti e dopo il primo racconto sulla Nigeria e il Ciad, ecco il secondo.
Cercando tra le decine di pagine piene di appunti raccolti durante gli incontri, è come se, lo sguardo, diventato più profondo per le tante storie ascoltate, riuscisse a vedere in un solo colpo d’occhio tutti i flussi di esseri umani che, fusi con altri, creano in continuazione un movimento planetario che supera barriere insormontabili per affermare la propria identità e uguaglianza con gli altri esseri umani.
Il Sahel, cuore dell’Africa
Durante un incontro, su una mappa antica del mar Mediterraneo centrale, ho visto infiniti tracciati di rotte conosciute e sconosciute che mi hanno fatto pensare a navi con le vele spiegate al vento. La mente si è incanalata per qualche momento in un sogno, in una storia diversa, fatta di uomini liberi di navigare, e vivere, ovunque. Ma se i sogni vanno sempre custoditi dentro di noi, la realtà deve essere conosciuta così, la voce di un esperto, mi ha riportato alla dura vita di un altro Paese africano: il Mali, Stato del Sahel, nel cuore dell’Africa occidentale, una regione che complessivamente conta circa 19 milioni di abitanti. Tornando al Mali, diverse crisi ambientali hanno aggravato ancora di più le condizioni del territorio che per il 35% è di natura desertica. Nel biennio ‘72/’73, si verificò una gravissima siccità che interessò soprattutto le popolazioni nomadi transumanti che ebbero molti danni. La situazione si aggravò poi, dieci anni dopo, a causa di un’altra fortissima crisi idrica. Le comunità dei Tuareg subirono per prime gli effetti delle violente crisi climatiche … e dell’indifferenza delle elite. Gli aiuti, e l’assistenza internazionale, ‘distrassero’ i fondi che furono impiegati per altre opere e gli shock ambientali provocarono così una massiccia emigrazione. Molti giovani decisero di raggiungere l’Algeria e la Libia e di offrire la propria mano d’opera, mal pagata, mentre altri entrarono nella rete della criminalità. Nel 2011, una crisi alimentare ha causato nuove migrazioni che si sono orientate così, verso il Mediterraneo.
Il Mali, Paese poverissimo
Il Mali è uno dei Paesi più poveri del mondo, soprattutto lo sono i suoi centri rurali, tanto che anche i giovani più istruiti decidono di emigrare. La qualità delle performance statali verso le popolazioni per quanto riguarda i beni e i servizi è scarsa, rafforzando quindi la sfiducia generale verso lo Stato che viene considerato del tutto assente, soprattutto rispetto alla sicurezza mentre la polizia è spesso accusata di collusione con i criminali. Chi è all’estero cerca di accumulare ricchezze fino a che non avrà raggiunto una stabilità economica che gli permetterà di vivere dignitosamente, una volta tornato a casa. Il collasso della Libia di Gheddafi, è stato un altro motivo che ha spinto i maliani verso l’Europa. Il 2012 è stato un anno drammatico, per gli scontri interni, il golpe militare che, nel 2013, aprì la strada a gruppi jihadisti. Da allora il Mali non compare più nell’elenco dei Paesi cosiddetti sicuri e lo Stato del Sahel è diventato quasi un’ossessione per l’Unione europea.
I giovani e le loro speranze
Durante gli incontri alla Fondazione Basso, alcuni giornalisti freelance hanno raccontato le loro esperienze vissute in quell’area dell’Africa, dalla Nigeria al Niger e da altri Stati. Oltre a farci conoscere le difficili realtà umane e sociali incontrate, ci hanno detto che esiste una generazione di giovani che studia e che sogna una vita migliore, nonostante tutto.
L’Africa Occidentale non è povera, è solo molto impoverita. Ma allora, chi l’ha impoverita? La risposta è semplice: le multinazionali. Le grandi imprese mondiali trovano negli Stati del Sahel un terreno molto fertile: vengono dalla Turchia, dall’India e anche e soprattutto, dalla Cina. Si tratta di territori ricchi di materie prime. Nel Niger per esempio ci sono i più grandi giacimenti di uranio del mondo. Ma, ancora, ci domandiamo, che cosa spinge tante persone ad affrontare un viaggio così pericoloso e costoso? Sono i migranti stessi a raccontarcelo, sempre di più, con le loro parole. E sono storie che parlano di povertà e di migrazione causate anche da forti svalutazioni che a metà degli anni 90 hanno colpito la moneta del Mali, come quella di altri Paesi dell’Africa occidentale.
Dall’Africa all’Asia: il Bangladesh
Dal Mediterraneo all’immenso continente africano e, poi da questo, attraversando con il pensiero l’oceano Indiano, siamo arrivati in Bangladesh, per accendere i riflettori su questo grande Stato, nato nel 1971 dalla secessione dal Pakistan. Per i bengalesi, il ‘viaggio’ non è una novità. Ne è la prova un documento, una sorta di “glossario della sopravvivenza” emerso nel 2008 a Lampedusa. Le nove pagine ricomposte raccontano e, forse, nascondono, anche altre storie. Il glossario ci aiuta a capire quello che una persona vive quando si accinge a fare un viaggio. Giovani operatori che lavorano presso l’Amm, Archivio Memorie Migranti, affermano che questo documento si è conservato bene perché era avvolto in un foglio di plastica cucito nei pantaloni come si fa per i soldi, o per gli oggetti sacri, perché senza questi, per un bengalese, tutto perde di valore. Il glossario non è negoziabile con niente e, chi ha avuto l’interesse di aprire quelle pagine, ha potuto leggere parole come “Poeta” … “Amore” … e, allora, si deve occorre trovare uno sguardo diverso, e un sentire, che vada al di là delle stesse parole scritte.
È sempre interessante ripercorrere la storia di mille Paesi, di come sono nati e di come, innumerevoli volte, i loro popoli hanno lottato e sofferto per difendere o riconquistare la propria libertà ma, per ora, mettiamo un po’ da parte queste grandi storie per andare al cuore di questa ricerca, ‘il viaggio ’ di milioni di esseri umani, per ascoltare e conoscere i loro sogni, la loro vita.
Chi è che emigra?
Le migrazioni del Bangladesh sono molto numerose e investono tutti gli strati della società ma coloro che vengono in Italia non sono i poverissimi, bensì appartengono ai ceti medi urbani e rurali. Spasso si tratta di proprietari di terre come quelli che, in passato, emigravano in Inghilterra e in altre parti del mondo.
La comunità migrante bengalese esiste ed è anche una forte comunità politica, con tutte le divisioni all’interno di essa; c’è una componente molto laica ma anche una religiosa. Ci sono anche tante differenze tra chi vive in campagna e chi vive in città e i migranti che provengono dai ceti medi urbani hanno meno difficoltà nell’inviare i soldi alle famiglie di origine, a differenza degli appartenenti ai ceti meno abbienti che devono accettare il primo lavoro disponibile che permetta loro di mandare le rimesse alla fine del mese; per questo, moltissimi migranti indiani vivono in case con famiglie allargate, o con altri parenti e amici.
Fino al 1990, i bengalesi erano quasi del tutto sconosciuti in Italia: non si sapeva niente della loro realtà. Molti di loro partono anche per arricchire la propria identità umana, e perché è bello sentirsi cosmopoliti. Altri ancora hanno studiato o, avendo un patrimonio economico da investire, sono venuti in Italia per cercare di migliorarlo. Per queste persone non c’è urgenza nel trovare un’occupazione perché prevale il fascino della scoperta di mondi e realtà diverse. Può accadere poi, che altri migranti ci raccontino le loro storie con quell’intensità che ci riporta, ancora una volta, a grandi poeti come Shakespeare e Tagore, ma … anche a Marx.
Le donne e il futuro
Durante l’incontro sul Bangladesh, giovani donne originarie di quella terra, ci hanno parlato delle loro vite. Una ha raccontato di essere nata dalla terza generazione di migranti bengalesi presenti nel nostro territorio, quindi ha rivelato di sentirsi completamente italiana per il vissuto e allo stesso tempo anche legata alla cultura della propria terra di origine. L’altra donna ha dovuto lasciare l’India molto giovane, per scegliere una vita diversa da quella che volevano imporle per motivi di religione, casta o altro. Ambedue hanno studiato in Italia, e ora si realizzano lavorando ognuna in campi diversi.
I tempi cambiano lentamente ma profondamente ovunque e ritengo che nessun movimento umano deve essere fermato se nasce da un’esigenza profonda di cambiamento ma, prima di tutto, non deve essere fermato se le persone che lo attuano sono spinte da motivi gravissimi e tragici che mettono a rischio la loro vita e quella della comunità cui appartengono.
Mentre rifletto sulle migrazioni, penso all’Italia, dove sono nata e dove vivo, e all’importanza fondamentale di una politica che trasformi il proprio ‘pensiero’, vecchio e dannoso per intere generazioni di cittadini, in un altro ‘nuovo’ che metta, urgentemente, al centro dell’attenzione l’essere umano nella sua totalità, perché è da qui che inizia la vera trasformazione di una società che, nel cosiddetto ‘straniero’, non veda un pericolo costante ma un arricchimento per tutti.
2-continua
il precedente articolo, pubblicato il 22 agosto 2018, qui