Nessuna rottura con il sistema dell’istruzione dei governi Renzi e Gentiloni. L’esecutivo Lega-M5s continua sulla strada già tracciata di una formazione finalizzata al lavoro e con il nodo dei fondi alle paritarie private. Protestano le maestre e le famiglie degli studenti disabili

Accade sempre d’estate. Quando gli studenti e gli insegnanti sono in vacanza, i governi sfornano le loro riforme scolastiche. La legge 133, primo atto della riforma Gelmini, è del 6 agosto 2008: la cosiddetta finanziaria d’estate firmata dal centrodestra (con la Lega al governo) provocò una catastrofe, 10 miliardi di tagli dalla primaria all’università. La legge 107, la Buona scuola del governo Renzi, è del 15 luglio 2015, e anche questa, come si è verificato negli ultimi tre anni, ha indebolito il ruolo e l’identità degli insegnanti, nonostante le mega assunzioni.

Tanto per ricordare, nell’agosto 2016, entra in azione l’“algoritmo impazzito” del Miur sulle domande di mobilità, facendo precipitare nell’ansia migliaia di docenti. Quest’anno non è arrivata una riforma sistematica, perché, come ha “rassicurato” il presidente del Consiglio – nel suo monologo su Facebook dell’11 agosto -, i provvedimenti d’autunno «non toccheranno settori strategici come l’istruzione». Ma, intanto, il 12 agosto è entrato in vigore il decreto dignità, con alcuni punti che riguardano direttamente il sistema dell’istruzione. È un primo biglietto da visita dei legastellati sulla scuola per la quale Mario Pittoni, responsabile istruzione della Lega e presidente della settima Commissione del Senato, aveva detto prima delle elezioni: «Serve un buon meccanico che faccia ripartire la macchina».

Ma da quello che si è potuto vedere in questi primi mesi, l’“officina” del governo, si muove sostanzialmente…

L’inchiesta di Donatella Coccoli prosegue su Left in edicola dal 24 agosto 2018


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