«Era lei a prendere l’iniziativa». Così don Paolo Glaentzer ha pensato bene di giustificare la presenza nella sua auto di una bambina di 11 anni. Lui con i pantaloni abbassati, lei con la magliettina alzata. E ancora: «È stata una mia stupidata, mi ha fatto lo sgambetto il demonio, uno sgambetto un po’ pesante, ho commesso un errore, questo lo ammetto, ci penserà il nostro Signore. Lui è in grado». Parole fatue e agghiaccianti che non hanno messo al riparo il parroco 70enne, colto in flagrante, dall’arresto con l’accusa di violenza sessuale. «Con» la stessa bambina, stando a quanto il prete ha dichiarato alla stampa locale, era già «capitato altre poche volte». Infine l’ultima “coltellata”: «È stato uno scambio d’affetto, è stato esagerato, a volte le cose vanno in una certa maniera». Avete letto bene. Con una bimba di 11 anni, per un sacerdote, a volte le cose vanno in questa maniera. Ed effettivamente e tragicamente, è vero.
In quei giorni di fine luglio, rimbalzava dal Cile la notizia di un’inchiesta governativa con relativa messa in stato d’accusa di 158 tra vescovi, parroci, sacerdoti e laici dipendenti di associazioni religiose. «La stragrande maggioranza dei fatti riportati corrisponde a crimini “sessuali” commessi da sacerdoti, parroci o persone associate a istituti scolastici», scrive la Fiscalia generale cilena nel documento. Nel mirino dei giudici, con l’accusa di aver sistematicamente insabbiato le denunce ricevute e coperto i responsabili, sono finiti anche due ex capi della Conferenza episcopale cilena, mons. Errazuriz e mons. Ezzati, e l’ex arcivescovo di Osorio, mons. Barros. Non si tratta di ecclesiastici qualsiasi…
Tra i Paesi più sviluppati, l’Italia è l’unico in cui non c’è mai stata un’indagine governativa sulla pedofilia clericale. Eppure, a livello numerico è molto più diffusa che altrove. Un’inerzia che, oltre ai rischi per i bambini, è valsa una denuncia all’Onu per complicità con la Chiesa