Sotto il ponte di Genova è crollato il sistema delle privatizzazioni sostenuto con pervicacia anche dal centrosinistra. Ma i servizi pubblici non gestiti dallo Stato perdono di senso perché conta solo la redditività a scapito dei diritti

I profitti prima delle persone
«Il Cda di Atlantia ha avviato la valutazione degli effetti delle continue esternazioni e della diffusione di notizie sulla società, avendo riguardo al suo status di società quotata, con l’obiettivo di tutelare al meglio il mercato e i risparmiatori». Dentro questa nota, diffusa dal gestore dopo solo nove giorni dal crollo del viadotto Morandi a Genova, che ha provocato 43 morti e centinaia di sfollati, c’è l’evidenza di come le politiche liberiste abbiano mutato in profondità la nostra società.

Saranno le inchieste della magistratura a stabilire le responsabilità penali e civili, ma un dato è tanto certo quanto rimosso: sotto quel ponte è crollato il sistema delle privatizzazioni, che per decenni ha disegnato – dietro l’ideologia della “modernità”- una società interamente affidata al mercato e plasmata nell’orizzonte della solitudine competitiva. Un processo senza pari in Europa per intensità e concentrazione nel tempo, che ha ridisegnato drasticamente la modalità dell’intervento pubblico nell’economia.

Un processo guidato con pervicacia dai governi di centro-sinistra, il cui allora ministro Vincenzo Visco, così significativamente introduceva nel 2001 la presentazione del Libro bianco sulle privatizzazioni: «Questo Libro bianco sulle privatizzazioni vede la luce al termine di una legislatura nel corso della quale tutti gli obiettivi di dismissioni che erano stati stabiliti sono stati raggiunti e superati. La legislatura si conclude, infatti, con la pressoché totale fuoriuscita dello Stato dalla maggior parte dei settori imprenditoriali dei quali, per oltre mezzo secolo, era stato, nel bene e nel male, titolare».

Privato, voce del verbo privare
Oggi, trent’anni dopo e di fronte a una strage eclatante, i sostenitori delle privatizzazioni, pur in difficoltà, si comportano da adepti religiosi, cercando di salvare il dogma di fede – le privatizzazioni – e scagliandosi contro le esperienze “secolarizzate”, attraverso la teoria delle “privatizzazioni fallimentari”. Secondo i cantori del mercato, le privatizzazioni fallite sarebbero quelle fatte solo per “fare cassa”, senza creare una liberalizzazione del settore e il conseguente mercato concorrenziale. Inutile controbattere loro che, in particolare nel caso di monopoli naturali, quali ad esempio il servizio idrico e le autostrade,il passaggio dal pubblico al privato non ne modifica la caratteristica di monopolio. Ma proviamo ad…

L’articolo di Marco Bersani prosegue su Left in edicola dal 31 agosto 2018


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