Se avete soltanto intenzione di informarvi, non comprate questo libro. Perché Non siamo rifugiati. Viaggio in un mondo di esodi, di Agus Morales (Einaudi, traduz. di Sara Cavarero), con le foto di Anna Surinyach e da una prefazione di Martín Caparrós, è un libro per capire, per guardare dentro. Leggetelo subito se invece avete inseguito i temi cari ad Alessandro Leogrande e i suoi modi profondi, il suo non svicolare mai dall’analisi, dall’andare a cercare sul campo la realtà. Sarà il miglior modo di riannodare il filo della sua voce. Osservo Agus Morales per giorni, in attesa del suo arrivo a Festivaletteratura, mentre a sua volta osserva le operazioni di salvataggio lungo la “vecchia nuova rotta” del Mediterraneo; ne scriverà su 5W, il progetto nato da un collettivo di «giornalisti ambulanti con voglia di pensare».
Iniziamo dal lessico, che è il fil rouge del suo libro. Il lessico geografico, che riguarda da vicino l’Italia, perché sta sulla “Frontiera Nord”, come lei la chiama. Ma soprattutto il lessico migratorio, perché definiamo profughi o rifugiati persone che non lo sono, o che non vorrebbero esserlo.
L’ultima crónica che ho scritto (la crónica non è semplice cronaca, e nemmeno reportage; narra il come, ricreando l’atmosfera in cui quel come si svolge, ndr) per Revista 5W, riguarda l’arrivo di persone via mare sulle coste spagnole. Quelle coste, in Spagna, vengono chiamate Frontiera Sud. Ho capovolto la definizione e ho titolato il pezzo “Frontiera Nord”, perché per chi arriva questa è la Frontiera Nord. Credo che cambiare prospettiva sia un esercizio sano. In quanto al lessico migratorio, non abbiamo un nome per definire uno dei grandi protagonisti di questo secolo: il cosiddetto – erroneamente – rifugiato.
O rifugiata, perché la metà di quelle persone sono donne. Volevo scrivere un libro sulle persone rifugiate, e mentre lo scrivevo mi sono reso conto che non lo erano. Innanzitutto perché non diamo loro rifugio, né asilo. In secondo luogo perché molte delle persone che scappano dalla violenza nemmeno escono dai confini del loro Paese, e quindi non possono essere considerate rifugiate. E, infine, perché loro stessi non si riconoscono in quell’etichetta. Non so se il nostro lessico ha bisogno di una revisione; di una riflessione critica senz’altro sì.
In Italia e in altre parti del resto d’Europa, un salvataggio non è più un atto umanitario ma un negoziato politico durante il quale la società si spacca.
Negli ultimi tre anni il numero di persone arrivate in Europa via mare è…