"Punito" Maassen, che aveva negato la caccia al migrante nella cittadina di Chemnitz: ora sarà segretario di Stato al ministero degli interni. Sconcerto a sinistra che chiede le dimissioni di Seehofer, l'alleato di Salvini

Ha mentito, dicendo che erano false le immagini della caccia all’immigrato a Chemnitz da parte di attivisti di estrema destra, e forse ha simpatie per AfD, il partito neonazista. Così, da stasera, Hans-Georg Maassen non è più il capo del Bundeamt fuer Verfassungschutz, i servizi di sicurezza interna della Germania. Ma non sarà sanzionato, solo promosso a un altro incarico quello di segretario di Stato al ministero dell’Interno: la decisione controversa del governo durante un vertice di coalizione cui hanno preso parte la cancelliera Angela Merkel, il suo ministro dell’Interno e presidente della Csu, Horst Seehofer e la presidente del Spd, Andrea Nahles. Ironia in rete: «Hans-Georg Maaßen lo sa: nella sua nuova posizione non deve più lasciarsi andare incautamente. Altrimenti sarà Ministro degli Interni», si legge sui social antifa dove decine di commenti si chiedono come sia possibile che un funzionario accusato di aver passato informazioni riservate a un leader nazista non venga mandato a casa.
A volere la testa di Maassen sia la cancelliera Merkel sia la leader socialdemocratica Nahles. Maassen gode invece dell’appoggio del ministro dell’Interno Seehofer, quello che vorrebbe fare “asse” con Salvini e il collega austriaco e di cui la Linke chiede le dimissioni. Dopo i fatti di Chemnitz, in un’intervista alla Bild, Maassen ha contestato che vi fosse stata una “caccia al rifugiato” nella cittadina della Sassonia, dove i noenazisti hanno provocato tumulti, sostenendo fra l’altro che i video pubblicati da mediattivisti fossero fake concepiti per distogliere l’opinione pubblica dalla morte del 35enne tedesco, deceduto in una rissa con migranti. Parole con cui il capo dei Servizi, tra l’altro, ha messo in discussione le affermazioni della cancelliera: e dunque un affronto. Successivamente ha ridimensionato le sue dichiarazioni, affermando anche di essere stato frainteso. Il vero capo d’accusa che lo colpisce sono però le presunte simpatie per AfD tirate fuori da una trasmissione tv (Aspekte), che avrebbe anticipato dei dati sugli islamisti pericolosi in Germania al partito di Alexander Gauland. Se è vero che ha incontrato tre volte Gauland, come lui stesso ha ammesso, Dpa scrive che sono 237 i colloqui avuti con esponenti politici di tutti i partiti.
Intanto, è di oggi la notizia che verrà rilasciato il richiedente l’asilo iracheno arrestato dopo l’uccisione di un cittadino tedesco il 26 agosto a Chemnitz, in Sassonia. I leader delle due formazioni politiche sorelle, Cdu e Csu, avevano avuto prima un incontro per tentare di trovare un compromesso.
La polemica su Chemnitz è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, in una Germania dove i servizi di sicurezza sono stati accusati in varie occasioni di contiguità o eccessiva indulgenza con l’estrema destra. Maassen aveva pubblicamente criticato la politica di apertura ai rifugiati abbracciata dalla Merkel nel 2015, tanto che la cancelleria lo aveva sollecitato a moderare le sue parole. Il leder dell’intelligence interna si era poi sentito rafforzato dall’arrivo al ministero dell’Interno del bavarese Seehofer, deciso sostenitore di una stretta sui migranti. Ma nuove polemiche erano sorte quando erano emersi suoi incontri con leader del partito populista anti immigrati Alternativa per la Germania (AfD). Maassen si era difeso dicendo che incontrava esponenti di tutte le formazioni politiche. Massen aveva assunto nel 2012 la guida dei servizi del BfV – il cui nome significa Ufficio federale per la protezione della Costituzione – dopo che la reputazione di questo organismo era stata gravemente danneggiata dalla vicenda dei delitti del kebab. Allora era emerso che negli archivi del BvF erano stati distrutti alcuni files relativi alla serie di assassini di immigrati, di cui fu poi trovata colpevole una cellula neonazista rimasta a lungo ignorata dai servizi.
A maggio dello scorso anno un altro scandalo negli ambienti militari con ispezioni in tutte le caserme ordinate dai comandi tedeschi in seguito alla scoperta dell’esistenza di una presunta rete neonazista, al sequestro di cimeli del Terzo Reich in due caserme e soprattutto all’arresto, a Illkirch, vicino al confine francese, di un ufficiale, Franco A., accusato di aver ordito un piano per colpire, fra gli altri, l’ex presidente della repubblica Joachim Gauck e l’attuale ministro federale della Giustizia, Heiko Maas. «L’ispettore capo della Bundeswehr (l’esercito federale, ndr) ha ordinato questa ispezione di tuttgli immobili dell’esercito per verificare se vi si trovino reliquie della Wehrmacht (l’esercito ai tempi del nazismo, ndr) e di farle eventualmente sequestrare». La ministra delle Difesa ancora in carica, Ursula von der Leyen ha ordinato il massimo rigore nei confronti delle manifestazioni di simpatia per il nazismo nelle forze armate.
Le tendenze neo-nazi non rappresentano un caso isolato nelle forze armate teutoniche: tra il 2012 e il 2016 sono stati 18 i militari accusati e sospesi dal servizio ma ben 280 sarebbero sotto indagine. “ Che ci fossero problemi di sottocultura nazista nella polizia era stato chiaro, in Italia, quando la Germania ha deciso – proprio per dare un segnale – di ritirare l’onorificenza proposta per Cristian Movio e Luca Scatà, i due poliziotti italiani che il 23 dicembre 2016 bloccarono e uccisero in un conflitto a fuoco a Sesto San Giovanni Anis Amri, l’attentatore che quattro giorni prima a Berlino si era lanciato con un tir sulla folla uccidendo 12 persone e ferendone 55. I saluti romani e le foto di Mussolini sui profili social dei due agenti italici sono stati considerati un’apologia imbarazzante per un paese che, a differenza dell’Italia, cerca di sradicare quella subcultura piuttosto che incoraggiarla.

Franco A. conduceva una «doppia vita»: in una, era sottotenente dell’esercito tedesco, nell’altra, un finto profugo siriano. 28 anni, di Offenbach, l’uomo è stato arrestato, per il sospetto di voler commettere un attentato, insieme a un complice, un ragazzo di 24. I due sarebbero stati spinti dall’odio xenofobo. L’arresto del sottotenente è avvenuto a Hammelburg, dove stava partecipando ad un corso, collegato alla sua professione ufficiale. Nella Bundeswehr, dovranno chiarire come sia possibile che un militare potesse essere stazionato in Francia, ad Illkirch nella brigata franco-tedesca, e riuscire regolarmente a sparire, per recitare il ruolo di richiedente asilo in Baviera. Difficile spiegare come sia potuto accadere che un uomo, che neppure parla arabo, sia stato ritenuto credibile, quando ha affermato di essere un profugo siriano ed aver ricevuto un riconoscimento ufficiale e tutti gli aiuti del caso. Il primo fermo di Franco A. è avvenuto a Vienna il 3 febbraio: in un bagno dell’aeroporto, il soldato aveva nascosto una pistola, la security se n’è accorta e gli ha teso una trappola. Così è stato colto sul fatto mentre la recuperava. Un’arma posseduta senza autorizzazione: e quindi la prima accusa che lo ha colpito è la detenzione illegale. Inoltre il ventottenne dovrà rispondere di frode, per essersi appunto spacciato come profugo. Nella casa del complice, invece, sono state trovate altre armi, e perfino dell’esplosivo. Nel corso delle perquisizioni di 16 appartamenti, avvenute tra Francia, Germania e Austria – 90 gli agenti impegnati complessivamente nell’operazione – sono stati sequestrati anche laptop, telefonini e documenti. Proprio dallo scambio di messaggi fra i due arrestati, che erano in contatto per mail, è emerso il movente dell’attacco violento che avevano in programma: l’odio per gli stranieri. Nei loro scambi, nel mirino, stando alla Welt, c’erano richiedenti asilo arabi. Già in passato è trapelato il timore fra gli addetti alla sicurezza, in Germania, che fra i militari tedeschi potesse essersi infiltrato anche qualche aspirante attentatore.
Il caso di Franco A. arrivò dopo una serie di scandali emersi nei mesi precedenti di mobbing e maltrattamenti a sfondo sessuale alle reclute. Von der Leyen parlò di «problemi di atteggiamento» nella Bundeswehr, di «spirito di corpo mal interpretato» e di «scarse capacità di comando». Situazione complessa quella tedesca dove il rigore antinazista delle istituzioni si scontra con decisioni della Corte federale tedesca che ha respinto più volte la richiesta proveniente dai Länder di messa al bando del Npd, la principale formazione nazi.
Tornando all’oggi, l’attuale crisi istituzionale e politica è uno scoglio da non sottovalutare per la tenuta del governo a Berlino, che ha già vacillato prima della pausa estiva, a causa dell’impuntatura di Seehofer sul respingimento al confine dei migranti. Neanche due mesi dopo, ricomincia il film già visto dei vertici per sanare gli strappi.