Qualche giorno fa su queste pagine avevo raccontato della moderna segregazione razziale di cui scodinzola fiera la sindaca leghista di Lodi Sara Casanova. Per sintetizzare: la giunta comunale ha deciso che per usufruire di alcuni servizi scolastici (tra cui la mensa) i cittadini stranieri (sia chiaro: regolari) che abitano a Lodi devono presentare documenti aggiuntivi rispetto agli italici lodigiani che attestino di non avere proprietà immobiliari (o presunti depositi di lingotti d’oro) nei Paesi di provenienza. Che le stesse ambasciate dichiarino praticamente impossibile ottenere quei documenti da Paesi in cui il demanio e la burocrazia siano praticamente inesistenti perché affossati dalle guerra sembra non interessare alla sindaca. E così, da qualche giorno, nelle scuole lodigiane ci sono alcuni bambini che mangiano separati dagli altri, con ciò che portano da casa.
I dirigenti scolastici e gli insegnanti ancora una volta attutiscono come possono le miopie della politica (anche questo è un classico, ormai) ma la città si è rivelata migliore della sua amministrazione. Riccardo Cavallero (lodigiano ex manager della Mondadori) ha rinunciato all’onorificenza cittadina ricevuta nel 2014 spiegando in una bella lettera alla sindaca che «in un momento di particolare difficoltà e di crescenti tensioni sociali, questa misura ha il solo effetto di esacerbare ulteriormente gli animi e di vessare ancora, casomai ce ne fosse bisogno, i più disagiati» e sottolineando come «la cosa ancora più grave è che a farne le spese sono dei bambini che, inevitabilmente, si ritroveranno a vivere un’ulteriore esperienza di emarginazione senza capirne il motivo»,
Un coordinamento dal nome bellissimo (“Uguali doveri”) sta raccogliendo fondi e preparando il ricorso alla determina del sindaco. Molti genitori hanno sottoscritto una lettera che si conclude così: «Chiediamo quindi che a tutti i bambini sia garantito l’accesso alla mensa e, se non è possibile dare loro un pasto, chiediamo che siano condivisi con loro i pasti dei nostri figli».
Il gesto di dividere il pane con chi ne ha bisogno è l’evento politico più profumato (e più d’opposizione) di questi giorni persi a discutere di biglietti aerei, di bullismo di strapagati portaborse e dei soliti strafalcioni incompetenti. Dividere il pane significa mettere in atto la compassione nel suo senso più rotondo: superare le difficoltà insieme. È quel comune sentire che nei suoi incastri più riusciti accende l’amore, addirittura, tra le persone.
A una pessima decisione si contrappone l’emersione (e la congiunzione) di chi pensa che sia un dovere uscire insieme dalla tribolazione. Ed è politica, questa. La politica.
Buon lunedì.