La denuncia riguarda 46 cittadini nigeriani espulsi dall'Italia. Senza nessuna informazione, senza cibo per molte ore, senza la tutela dei loro effetti personali. E fatti tornare in un Paese in cui non c'è il reato di tortura

Un volo charter diretto a Lagos per rimpatriare forzatamente quarantasei cittadini nigeriani, espulsi dall’Italia. Il nostro Paese, in collaborazione con l’agenzia europea Frontex, ha organizzato l’operazione di allontanamento, avvenuta lo scorso 19 gennaio, trascurando l’applicazione di non poche misure a tutela dei diritti umani. Che il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale ha messo in evidenza in un Rapporto di monitoraggio dell’operazione congiunta per il rimpatrio forzato di cittadini nigeriani organizzata dall’Italia e coordinata da Frontex – diffuso qualche giorno fa – e sulla cui violazione chiede risposte puntuali alle autorità competenti.

La prima, e più significativa, ha riguardato la mancanza di informazioni circa la destinazione del viaggio, contravvenendo, così, ai principi di correttezza e trasparenza, e calcando, piuttosto, quello di arbitrarietà di una misura restrittiva della libertà personale della cui applicazione non era stata data alcuna comunicazione preventiva, impedendo loro di organizzarsi per tempo, anche relativamente alla conoscenza delle posizioni giuridiche personali. E men che meno erano stati edotti di tutte le varie fasi del viaggio, inclusi orari e scali. Cosicché l’inaspettata comunicazione ha sorpreso alcuni di loro mentre dormivano ignari nei Cpr di Roma e Bari, generando preoccupazioni e paura che hanno sortito l’effetto di tacere sulla propria identità. Spesso soggetta a essere scambiata, per la presenza di un elenco dei rimpatriandi, in mano agli operatori, senza foto e con pochi dettagli. Nemmeno quelli relativi alle posizioni giuridiche dei richiedenti asilo da (non) rimpatriare: è il caso di M.P., per la quale il provvedimento di rigetto, da parte dell’autorità giudiziaria, della richiesta di asilo poteva ancora essere sospeso.

Già in via preliminare, dunque, le infrazioni hanno avuto il loro peso, gravato, poi, dalle modalità operative tenute a bordo dell’aeromobile sul quale, sebbene il personale impiegato indossasse un fratino riconoscibile, non aveva esposto alcun elemento identificativo, trasgredendo l’orientamento 18.4 delle Venti linee guida sul rimpatrio forzato, adottate, nel 2015, dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, che prevede l’esposizione del nome dell’operatore.

Di più, nel corso dei voli, era del tutto assente la figura del mediatore culturale, in grado di interloquire in una lingua comprensibile che, non solo costituisce «il necessario presupposto dell’effettività di tutti i diritti di cui il cittadino straniero è titolare, ma è fondamentale per la messa in atto di tecniche verbali di descalation indispensabili per smorzare i momenti di tensione evitando l’uso della forza e dei mezzi di contenimento», scrive il Garante. Il quale ha potuto rilevare, anche, come un carente coordinamento fra gli attori coinvolti nelle diverse fasi del rimpatrio forzato ha avuto come conseguenza diretta la non somministrazione del pasto per più di quindici ore (tamponato, solo, dalla spontanea generosità di qualche operatore).

Carenti sono state, pure, le garanzie relative alla tutela degli effetti personali: imbustati in sacchi di plastica, deputati generalmente all’immondizia, sono stati etichettati con un foglietto scritto a mano, fermato con un nastro adesivo, e perciò senza la possibilità di rilascio di alcuna ricevuta di consegna. L’assenza di un riscontro documentato, all’arrivo in Nigeria – un Paese che, per inciso, non ha ancora adottato il reato di tortura – è stato motivo di particolare agitazione tra i rimpatriati, mossi dal timore della non restituzione dei propri beni, oltre che di vedersi violata la tutela del diritto alla proprietà privata. Uno di quei diritti fondamentali, sfregiati nel corso del rimpatrio, per i quali sarebbe possibile rivolgere reclamo – previsto dall’articolo 72 del Regolamento Ue 2016/1624 – a Frontex, ché in questa operazione (monitorata a campione) non ha predisposto le misure per l’accesso alle procedure e il materiale divulgativo da parte dell’agenzia. A lamentarlo, non i rimpatriati (a forza) ma i responsabili della scorta italiana.