«Fu un'azione combinata. Cucchi prima iniziò a perdere l'equilibrio per il calcio di D'Alessandro poi ci fu la violenta spinta di Di Bernardo che gli fece perdere l'equilibrio provocandone una violenta caduta sul bacino. Anche la successiva botta alla testa fu violenta, ricordo di avere sentito il rumore. Spinsi Di Bernardo ma D'Alessandro colpì con un calcio in faccia Cucchi mentre questi era sdraiato a terra. Gli dissi "basta, che cazzo fate, non vi permettete" (…) "colpiva Cucchi con uno schiaffo violento in volto" e l'altro "gli dava un forte calcio con la punta del piede"». Ecco alcuni stralci del verbale di interrogatorio di Francesco Tedesco, nato a Brindisi meno di tre mesi prima di Stefano Cucchi, nel 1981. Nove anni dopo la morte di quest'ultimo Tedesco ha vuotato il sacco. «Processo Cucchi. Udienza odierna ore 11.21. Il muro è stato abbattuto. Ora sappiamo e saranno in tanti a dover chiedere scusa a Stefano e alla famiglia Cucchi», commenta in un post Ilaria Cucchi. Dice il suo avvocato, Francesco Petrelli, a Left che è l'esito di «un percorso molto faticoso», scaturito dall'idea di «ricostruire i fatti per com'erano andati... Lui ha interrotto un'azione aggressiva». Mentre gli stralci del verbale già facevano il giro del web, in aula, un agente della Penitenziaria, ispettore Bruno Mastrogiacomo (già sentito nel corso del primo processo, quello che vide sul banco degli imputati sei medici, tre infermieri e tre agenti), ha confermato indirettamente la versione di Tedesco. Quando Cucchi, dopo la convalida del suo arresto, entrò in carcere gli disse «che lo avevano pestato per droga e che era stato menato all'atto dell'arresto. Gli chiesi il perché e lui mi disse "per un pò di roba"». La scena era quella di uno che, da pugile, prova a parare i primi colpi però poi cade e a terra fu oggetto di altra feroce violenza. Due anomalie furono notate: «Il volto era tumefatto, e aveva un segno rossastro all'altezza dell'osso sacro». Per l'altro legale di Tedesco sarebbe addirittura il riscatto dell'Arma: «Gli atti dibattimentali e le ulteriori indagini - ha detto Eugenio Pini - individuano nel mio assistito il carabiniere che si è lanciato contro i colleghi per allontanarli da Stefano Cucchi, che lo ha soccorso e che lo ha poi difeso. Ma soprattutto è il carabiniere che ha denunciato la condotta al suo superiore ed anche alla Procura della Repubblica, scrivendo una annotazione di servizio che però non è mai giunta in Procura, e poi costretto al silenzio contro la sua volontà. Come detto, è anche un riscatto per l'Arma dei Carabinieri perché è stato un suo appartenente a intervenire in soccorso di Stefano Cucchi, a denunciare il fatto nell'immediatezza e a aver fatto definitivamente luce nel processo». In realtà nell'Arma non solo «fu scientificamente orchestrata una strategia finalizzata a ostacolare l’esatta ricostruzione dei fatti e l’identificazione dei responsabili per allontanare i sospetti dei carabinieri appartenenti al comando stazione Appia», nella ricostruzione decisa dai carabinieri «non si diede atto della presenza dei carabinieri Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo nella fase dell’arresto di Cucchi. Il nominativo dei due militari infatti non compariva nel verbale di arresto, pur essendo gli stessi pacificamente intervenuti già al momento dell’arresto e pur avendo partecipato a tutti gli atti successivi». Infine l'inchiesta interna fu quanto mai blanda e, dai resoconti in aula dei carabinieri, sembrerebbe più funzionale alla strategia di cui sopra piuttosto che ad accertare i fatti: uno dei carabinieri testimoni, Riccardo Casamassima (quello che ha confermato che i verbali furono falsificati per minimizzare le condizioni di salute di Cucchi), ha riferito delle «pressioni del comando generale». Forse non bastano le tardive rivelazioni di Tedesco per riscattare l'Arma. Ilaria, sconvolta, scriverà su Facebook: «Ci chieda scusa chi ci ha offesi in tutti questi anni. Ci chieda scusa chi in tutti questi anni ha affermato che Stefano è morto di suo, che era caduto. Ci chieda scusa chi ci ha denunciato. Sto leggendo con le lacrime agli occhi quello che hanno fatto a mio fratello. Non so dire altro. Chi ha fatto carriera politica offendendoci si deve vergognare. Lo Stato deve chiederci scusa. Deve chiedere scusa alla famiglia Cucchi». Dovrebbe farlo Giovanardi, che sarà ricordato invece per una crimogena legge sulle droghe e per le sue dichiarazioni choc su Ustica e contro i familiari di vittime di abusi di polizia. L'ex carabiniere e ex ministro e parlamentare disse: «La sorella Ilaria dice che è morto per fratture? Io non credo agli asini che volano». Oppure Stefano Maccari (leader di un sindacatino di polizia noto solo per le parole forti contro le vittime dei suoi colleghi, fu quello che manifestò a due passi dalle finestre di Patrizia Aldrovandi): «Stefano Cucchi non è morto per un presunto pestaggio. È stata l’epilessia a causare la morte improvvisa ed inaspettata dell’uomo fermato per droga, che soffriva da anni di patologia epilettica ed era in trattamento con farmaci anti-epilettici». Indimenticabile Ignazio La Russa, all'epoca ministro della Difesa nel II governo Berlusconi: «Quindi non ho strumenti per accertare, ma di una cosa sono certo: del comportamento assolutamente corretto da parte dei carabinieri in questa occasione». Sembrò il segnale perché i carabinieri entrassero in un cono d'ombra che li avrebbe coperti nella prima inchiesta. Ma soprattutto dovrebbe chiedere scusa il ministro degli interni Matteo Salvini: «Ilaria Cucchi? Capisco il dolore di una sorella che ha perso il fratello, ma mi fa schifo. E’ un post che mi fa schifo. Mi ricorda tanto il documento contro il commissario Calabresi», tuonò il 5 gennaio del 2016 quando cominciava a prendere corpo l'inchiesta bis, quella che avrebbe portato a questo processo. «Io sto sempre e comunque con polizia e carabinieri - disse ancora il leader leghista nel contesto di una nota trasmissione serale di Radio24 - Se l'un per cento sbaglia deve pagare, anche il doppio. Però mi sembra difficile pensare che ci siano poliziotti o carabinieri che hanno pestato per il gusto di farlo». «Nove anni dopo abbiamo la conferma delle nostre accuse dalle parole di uno degli imputati, fu un pestaggio terribile», dice Ilaria Cucchi a Left uscendo dall'ennesima udienza. E Fabio Anselmo, legale della sua famiglia e parte civile in altri processi per malapolizia osserva con il cronista come sia «inquietante» la rivelazione di stamattina: «Tedesco parla di un contesto interno finalizzato a coprire, spero che emergano le responsabilità». Oggi, di fronte all'evidenza, il vicepremier non rinuncia ai luoghi comuni della nota teoria delle "poche mele marce": «Sorella e parenti sono i benvenuti al Viminale. Eventuali reati o errori di pochissimi uomini in divisa devono essere puniti con la massima severità, ma questo non può mettere in discussione la professionalità e l'eroismo quotidiano di centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi delle forze dell'ordine». Quando il pm Giovanni Musarò ha annunciato il colpo di scena presentando l'integrazione di indagine, le 18 pagine di interrogatorio di Tedesco, «in aula è calato il silenzio, sembrava che tutti sapessero», dice Rossella S., una delle attiviste di Acad, l'associazione contro gli abusi in divisa, che segue questo e altri processi. Leggiamo ancora qualche stralcio: «Iniziai ad avere paura anche per un'altra ragione e cioè perché quando ero in ferie fui contattato da D'Alessandro e Di Bernardo i quali mi dissero che avrei dovuto farmi i c... miei». D'Alessandro e Di Bernardo sono i due carabinieri accusati da quest'ultimo di essere gli autori del pestaggio di Cucchi. «Il D'Alessandro, inoltre, mi aveva detto di aver cancellato quanto lui aveva scritto sul registro del fotosegnalamento». Tedesco ha anche parlato del suo rapporto con il maresciallo Mandolini, allora comandante della stazione Appia dove fu portato Cucchi che, secondo quanto sostiene Tedesco, sapeva di ciò che era accaduto. «Quando dovevo essere sentito dal Pm, il maresciallo Mandolini non mi minacciò esplicitamente ma aveva un modo di fare che non mi faceva stare sereno», mette a verbale Tedesco. E riferisce che prima di recarsi a Piazzale Clodio per il primo interrogatorio del Pm, Mandolini gli disse: «Tu gli devi dire che stava bene, gli devi dire quello che è successo, che stava bene e che non è successo niente... capisci a me, poi ci penso io, non ti preoccupare». L'attività di indagine integrativa con la testimonianza di Francesco Tedesco formalmente non fa ancora parte del fascicolo dibattimentale del processo. La comunicazione fatta oggi in aula dal pm è stata solo per informare le altre parti processuali della nuova e integrativa attività d'indagine al fine di consentire a tutti prendere visione degli atti. In una prossima udienza ci sarà formalmente la richiesta di acquisizione di tutti agli atti, con la richiesta di ulteriori e nuove prove testimoniali. «Oggi mi sono emozionato nell'apprendere questa notizia... tutti i dubbi su di me sono stati cancellati. Signora Ministro io sono un vero carabiniere... Io ho mantenuto fede al giuramento. Io sono degno di indossare la divisa. E io e la mia famiglia abbiamo e stiamo pagando la nostra scelta. Io e la mia famiglia da oggi abbiamo centinaia di italiani con noi», scrive sui social anche Riccardo Casamassima, l'appuntato dei carabinieri che con la sua testimonianza aveva fatto riaprire l'inchiesta sul decesso di Stefano Cucchi. Lo scorso giugno Casamassima si era rivolto al primo ministro Giuseppe Conte, al vicepremier e ministro dell'Interno Matteo Salvini e al vicepremier e ministro del Lavoro Luigi Di Maio: «Per aver fatto il mio dovere, come uomo e come carabiniere per aver testimoniato nel processo relativo a Stefano Cucchi, morto perché pestato dai miei colleghi, mi ritrovo a subire un sacco di conseguenze - aveva detto su Facebook -. Avevo manifestato le mie paure prima del processo del 15 maggio, paure che si sono concretizzate perché mi è stato notificato un trasferimento presso la scuola allievi ufficiali. Sarò allontanato e demansionato e andrò a lavorare a scuola dopo essere stato per 20 anni in strada. È scandaloso. Ho subito minacce, nessuno mi ha aiutato. Mi appello alle cariche dello Stato, ai ministri Salvini e Di Maio e al presidente del Consiglio Conte: è giusto che una persona onesta debba subire questo trattamento? Mi stanno distruggendo». Sono stati sei i testimoni ascoltati in aula oggi nell'ambito del processo ai cinque carabinieri, tre dei quali accusati di omicidio preterintenzionale, per la morte di Stefano Cucchi, il giovane romano arrestato nell'ottobre 2009 per droga e morto una settimana dopo in ospedale. Oltre a Mastrogiacomo, hanno testimoniato i suoi colleghi Michele Fiore, Roberto Latini, Massimo Furiglio e Alessia Forte ripercorrendo le difficoltà, anche burocratiche, precedenti al trasporto di Cucchi dal Pronto soccorso dell'ospedale Fatebenefratelli di Roma, al Reparto detenuti dell'Ospedale Sandro Pertini dove poi mori dopo sei giorni di calvario. Successivamente, è stato sentito anche Alaya Tarek, un detenuto che, tramite un senatore, fece pervenire alla procura una lettera (ricopiata da un altro detenuto) nella quale erano contenute delle confidenze di Cucchi mentre entrambi erano ristretti nel Centro clinico del carcere di Regina Coeli. «Ho conosciuto in quell'occasione Cucchi - ha detto Tarek - arrivò con infermieri, camminava male, zoppicava, era rosso in viso e sul corpo. Si coricò e dopo qualche minuto urlò di dolore. Gli chiesi cos'era successo e lui mi disse che aveva preso tante botte dai carabinieri per tutta la notte per un pezzo di fumo. La mattina dopo ha chiamato un dottore, l'hanno visitato e poi l'hanno portato via». Il 24 ottobre, prossima udienza per l'audizione di ulteriori testimoni.

«Fu un’azione combinata. Cucchi prima iniziò a perdere l’equilibrio per il calcio di D’Alessandro poi ci fu la violenta spinta di Di Bernardo che gli fece perdere l’equilibrio provocandone una violenta caduta sul bacino. Anche la successiva botta alla testa fu violenta, ricordo di avere sentito il rumore. Spinsi Di Bernardo ma D’Alessandro colpì con un calcio in faccia Cucchi mentre questi era sdraiato a terra. Gli dissi “basta, che cazzo fate, non vi permettete” (…) “colpiva Cucchi con uno schiaffo violento in volto” e l’altro “gli dava un forte calcio con la punta del piede”». Ecco alcuni stralci del verbale di interrogatorio di Francesco Tedesco, nato a Brindisi meno di tre mesi prima di Stefano Cucchi, nel 1981. Nove anni dopo la morte di quest’ultimo Tedesco ha vuotato il sacco. «Processo Cucchi. Udienza odierna ore 11.21. Il muro è stato abbattuto. Ora sappiamo e saranno in tanti a dover chiedere scusa a Stefano e alla famiglia Cucchi», commenta in un post Ilaria Cucchi.

Dice il suo avvocato, Francesco Petrelli, a Left che è l’esito di «un percorso molto faticoso», scaturito dall’idea di «ricostruire i fatti per com’erano andati… Lui ha interrotto un’azione aggressiva». Mentre gli stralci del verbale già facevano il giro del web, in aula, un agente della Penitenziaria, ispettore Bruno Mastrogiacomo (già sentito nel corso del primo processo, quello che vide sul banco degli imputati sei medici, tre infermieri e tre agenti), ha confermato indirettamente la versione di Tedesco. Quando Cucchi, dopo la convalida del suo arresto, entrò in carcere gli disse «che lo avevano pestato per droga e che era stato menato all’atto dell’arresto. Gli chiesi il perché e lui mi disse “per un pò di roba”». La scena era quella di uno che, da pugile, prova a parare i primi colpi però poi cade e a terra fu oggetto di altra feroce violenza. Due anomalie furono notate: «Il volto era tumefatto, e aveva un segno rossastro all’altezza dell’osso sacro».

Per l’altro legale di Tedesco sarebbe addirittura il riscatto dell’Arma: «Gli atti dibattimentali e le ulteriori indagini – ha detto Eugenio Pini – individuano nel mio assistito il carabiniere che si è lanciato contro i colleghi per allontanarli da Stefano Cucchi, che lo ha soccorso e che lo ha poi difeso. Ma soprattutto è il carabiniere che ha denunciato la condotta al suo superiore ed anche alla Procura della Repubblica, scrivendo una annotazione di servizio che però non è mai giunta in Procura, e poi costretto al silenzio contro la sua volontà. Come detto, è anche un riscatto per l’Arma dei Carabinieri perché è stato un suo appartenente a intervenire in soccorso di Stefano Cucchi, a denunciare il fatto nell’immediatezza e a aver fatto definitivamente luce nel processo».

In realtà nell’Arma non solo «fu scientificamente orchestrata una strategia finalizzata a ostacolare l’esatta ricostruzione dei fatti e l’identificazione dei responsabili per allontanare i sospetti dei carabinieri appartenenti al comando stazione Appia», nella ricostruzione decisa dai carabinieri «non si diede atto della presenza dei carabinieri Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo nella fase dell’arresto di Cucchi. Il nominativo dei due militari infatti non compariva nel verbale di arresto, pur essendo gli stessi pacificamente intervenuti già al momento dell’arresto e pur avendo partecipato a tutti gli atti successivi». Infine l’inchiesta interna fu quanto mai blanda e, dai resoconti in aula dei carabinieri, sembrerebbe più funzionale alla strategia di cui sopra piuttosto che ad accertare i fatti: uno dei carabinieri testimoni, Riccardo Casamassima (quello che ha confermato che i verbali furono falsificati per minimizzare le condizioni di salute di Cucchi), ha riferito delle «pressioni del comando generale». Forse non bastano le tardive rivelazioni di Tedesco per riscattare l’Arma.

Ilaria, sconvolta, scriverà su Facebook: «Ci chieda scusa chi ci ha offesi in tutti questi anni. Ci chieda scusa chi in tutti questi anni ha affermato che Stefano è morto di suo, che era caduto. Ci chieda scusa chi ci ha denunciato. Sto leggendo con le lacrime agli occhi quello che hanno fatto a mio fratello. Non so dire altro. Chi ha fatto carriera politica offendendoci si deve vergognare. Lo Stato deve chiederci scusa. Deve chiedere scusa alla famiglia Cucchi». Dovrebbe farlo Giovanardi, che sarà ricordato invece per una crimogena legge sulle droghe e per le sue dichiarazioni choc su Ustica e contro i familiari di vittime di abusi di polizia. L’ex carabiniere e ex ministro e parlamentare disse: «La sorella Ilaria dice che è morto per fratture? Io non credo agli asini che volano». Oppure Stefano Maccari (leader di un sindacatino di polizia noto solo per le parole forti contro le vittime dei suoi colleghi, fu quello che manifestò a due passi dalle finestre di Patrizia Aldrovandi): «Stefano Cucchi non è morto per un presunto pestaggio. È stata l’epilessia a causare la morte improvvisa ed inaspettata dell’uomo fermato per droga, che soffriva da anni di patologia epilettica ed era in trattamento con farmaci anti-epilettici». Indimenticabile Ignazio La Russa, all’epoca ministro della Difesa nel II governo Berlusconi: «Quindi non ho strumenti per accertare, ma di una cosa sono certo: del comportamento assolutamente corretto da parte dei carabinieri in questa occasione». Sembrò il segnale perché i carabinieri entrassero in un cono d’ombra che li avrebbe coperti nella prima inchiesta.

Ma soprattutto dovrebbe chiedere scusa il ministro degli interni Matteo Salvini: «Ilaria Cucchi? Capisco il dolore di una sorella che ha perso il fratello, ma mi fa schifo. E’ un post che mi fa schifo. Mi ricorda tanto il documento contro il commissario Calabresi», tuonò il 5 gennaio del 2016 quando cominciava a prendere corpo l’inchiesta bis, quella che avrebbe portato a questo processo. «Io sto sempre e comunque con polizia e carabinieri – disse ancora il leader leghista nel contesto di una nota trasmissione serale di Radio24 – Se l’un per cento sbaglia deve pagare, anche il doppio. Però mi sembra difficile pensare che ci siano poliziotti o carabinieri che hanno pestato per il gusto di farlo».

«Nove anni dopo abbiamo la conferma delle nostre accuse dalle parole di uno degli imputati, fu un pestaggio terribile», dice Ilaria Cucchi a Left uscendo dall’ennesima udienza. E Fabio Anselmo, legale della sua famiglia e parte civile in altri processi per malapolizia osserva con il cronista come sia «inquietante» la rivelazione di stamattina: «Tedesco parla di un contesto interno finalizzato a coprire, spero che emergano le responsabilità». Oggi, di fronte all’evidenza, il vicepremier non rinuncia ai luoghi comuni della nota teoria delle “poche mele marce”: «Sorella e parenti sono i benvenuti al Viminale. Eventuali reati o errori di pochissimi uomini in divisa devono essere puniti con la massima severità, ma questo non può mettere in discussione la professionalità e l’eroismo quotidiano di centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi delle forze dell’ordine».

Quando il pm Giovanni Musarò ha annunciato il colpo di scena presentando l’integrazione di indagine, le 18 pagine di interrogatorio di Tedesco, «in aula è calato il silenzio, sembrava che tutti sapessero», dice Rossella S., una delle attiviste di Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa, che segue questo e altri processi.

Leggiamo ancora qualche stralcio: «Iniziai ad avere paura anche per un’altra ragione e cioè perché quando ero in ferie fui contattato da D’Alessandro e Di Bernardo i quali mi dissero che avrei dovuto farmi i c… miei». D’Alessandro e Di Bernardo sono i due carabinieri accusati da quest’ultimo di essere gli autori del pestaggio di Cucchi. «Il D’Alessandro, inoltre, mi aveva detto di aver cancellato quanto lui aveva scritto sul registro del fotosegnalamento». Tedesco ha anche parlato del suo rapporto con il maresciallo Mandolini, allora comandante della stazione Appia dove fu portato Cucchi che, secondo quanto sostiene Tedesco, sapeva di ciò che era accaduto. «Quando dovevo essere sentito dal Pm, il maresciallo Mandolini non mi minacciò esplicitamente ma aveva un modo di fare che non mi faceva stare sereno», mette a verbale Tedesco. E riferisce che prima di recarsi a Piazzale Clodio per il primo interrogatorio del Pm, Mandolini gli disse: «Tu gli devi dire che stava bene, gli devi dire quello che è successo, che stava bene e che non è successo niente… capisci a me, poi ci penso io, non ti preoccupare».

L’attività di indagine integrativa con la testimonianza di Francesco Tedesco formalmente non fa ancora parte del fascicolo dibattimentale del processo. La comunicazione fatta oggi in aula dal pm è stata solo per informare le altre parti processuali della nuova e integrativa attività d’indagine al fine di consentire a tutti prendere visione degli atti. In una prossima udienza ci sarà formalmente la richiesta di acquisizione di tutti agli atti, con la richiesta di ulteriori e nuove prove testimoniali.

«Oggi mi sono emozionato nell’apprendere questa notizia… tutti i dubbi su di me sono stati cancellati. Signora Ministro io sono un vero carabiniere… Io ho mantenuto fede al giuramento. Io sono degno di indossare la divisa. E io e la mia famiglia abbiamo e stiamo pagando la nostra scelta. Io e la mia famiglia da oggi abbiamo centinaia di italiani con noi», scrive sui social anche Riccardo Casamassima, l’appuntato dei carabinieri che con la sua testimonianza aveva fatto riaprire l’inchiesta sul decesso di Stefano Cucchi. Lo scorso giugno Casamassima si era rivolto al primo ministro Giuseppe Conte, al vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini e al vicepremier e ministro del Lavoro Luigi Di Maio: «Per aver fatto il mio dovere, come uomo e come carabiniere per aver testimoniato nel processo relativo a Stefano Cucchi, morto perché pestato dai miei colleghi, mi ritrovo a subire un sacco di conseguenze – aveva detto su Facebook -. Avevo manifestato le mie paure prima del processo del 15 maggio, paure che si sono concretizzate perché mi è stato notificato un trasferimento presso la scuola allievi ufficiali. Sarò allontanato e demansionato e andrò a lavorare a scuola dopo essere stato per 20 anni in strada. È scandaloso. Ho subito minacce, nessuno mi ha aiutato. Mi appello alle cariche dello Stato, ai ministri Salvini e Di Maio e al presidente del Consiglio Conte: è giusto che una persona onesta debba subire questo trattamento? Mi stanno distruggendo».

Sono stati sei i testimoni ascoltati in aula oggi nell’ambito del processo ai cinque carabinieri, tre dei quali accusati di omicidio preterintenzionale, per la morte di Stefano Cucchi, il giovane romano arrestato nell’ottobre 2009 per droga e morto una settimana dopo in ospedale. Oltre a Mastrogiacomo, hanno testimoniato i suoi colleghi Michele Fiore, Roberto Latini, Massimo Furiglio e Alessia Forte ripercorrendo le difficoltà, anche burocratiche, precedenti al trasporto di Cucchi dal Pronto soccorso dell’ospedale Fatebenefratelli di Roma, al Reparto detenuti dell’Ospedale Sandro Pertini dove poi mori dopo sei giorni di calvario. Successivamente, è stato sentito anche Alaya Tarek, un detenuto che, tramite un senatore, fece pervenire alla procura una lettera (ricopiata da un altro detenuto) nella quale erano contenute delle confidenze di Cucchi mentre entrambi erano ristretti nel Centro clinico del carcere di Regina Coeli. «Ho conosciuto in quell’occasione Cucchi – ha detto Tarek – arrivò con infermieri, camminava male, zoppicava, era rosso in viso e sul corpo. Si coricò e dopo qualche minuto urlò di dolore. Gli chiesi cos’era successo e lui mi disse che aveva preso tante botte dai carabinieri per tutta la notte per un pezzo di fumo. La mattina dopo ha chiamato un dottore, l’hanno visitato e poi l’hanno portato via». Il 24 ottobre, prossima udienza per l’audizione di ulteriori testimoni.