Una cinquantina di persone che a gennaio protestarono pacificamente contro Forza nuova nel capoluogo siciliano risultano indagate per vari illeciti. Anziché arginare i fascismi, si colpisce chi difende la Costituzione

«Zecche rosse tornate nelle fosse», questi i cori che hanno intonato alcuni militanti di Forza nuova durante una manifestazione organizzata lo scorso 7 gennaio a Ragusa, in  Piazza del Popolo. Gli attivisti di estrema destra si erano radunati per la commemorazione dei fatti di Acca Larentia. E gli insulti erano diretti contro attivisti locali, membri di associazioni antimafia, politici e esponenti dell’Anpi che, non appena saputo del raduno neofascista, hanno deciso di organizzare una contestazione, esprimendo pacificamente il loro dissenso.

Oggi, a dieci mesi di distanza, circa cinquanta tra coloro che protestarono contro quel corteo sono indagati dalla Digos per radunata sediziosa, vilipendio alla bandiera o altro emblema dello Stato e oltraggio a corpo politico, amministrativo e giudiziario. In attesa del responso del Gip, il Procuratore Capo D’Anna ha chiesto l’archiviazione.

Tra gli indagati, oltre a personaggi di spicco delle politica locale e del mondo della magistratura come l’ex Presidente del Tribunale di Ragusa Michele Duchi, ci sono anche giornalisti (iscritti all’albo e freelance) che stavano semplicemente documentando l’accaduto con video e foto. Simone Lo Presti, storico fondatore del magazine Generazione zero, era presente a quella manifestazione e pochi giorni fa ha ricevuto la lettera con i capi d’accusa sopra citati.

«Non è ammissibile – chiarisce Lo Presti – che le denunce colpiscano anche giornalisti locali, presenti sui luoghi per documentare i fatti. Sono convinto che si tratti di un semplice errore, che la polizia con questa azione giudiziaria non volesse intimidire né la stampa, né liberi cittadini che sostengono i principi antifascisti su cui si fonda il nostro Stato di diritto. Se, però, così non fosse, sarebbe un problema che le istituzioni dovrebbero affrontare».

Gianni Battaglia, Presidente Provinciale Anpi ed ex parlamentare, si dice sorpreso dell’azione intrapresa dalla Questura. In quanto rappresentante Anpi era sul posto perché preoccupato del fatto che nella sua città «si tenesse una manifestazione di un’organizzazione le cui simpatie per il disciolto partito fascista sono inequivocabili». In risposta ai capi d’accusa, l’ex parlamentare afferma: «Se l’obiettivo è quello di impedire che una contestazione di questo tipo accada di nuovo è un obiettivo fallito, perché è del tutto evidente che la natura democratica di questa città non si piegherà. Ragusa non facilmente tollererà in futuro che ci siano manifestazioni di chi inneggia al partito fascista». E si dice pronto, una volta conclusasi la faccenda giudiziaria, a chiedere se ci sono i margini per intraprendere un’interrogazione parlamentare e fare chiarezza sull’accaduto.

Nel registro degli indagati della Questura c’è anche Peppe Scifo, Segretario Generale Cgil Ragusa, il quale afferma: «Non comprendo questo risvolto giudiziario, perché è stato un raduno spontaneo e pacifico per protestare contro lo spazio concesso a queste forze politiche che di democratico non hanno niente. Oltre ad essere dichiaratamente fasciste, fomentano l’odio razziale e creano le condizioni per una situazione generale di insicurezza. Il problema – conclude Scifo – è la legittimazione che queste forze hanno all’interno del Paese ed è paradossale e preoccupante che chi protesta contro questa degenerazione si ritrovi denunciato».

In tutta questa vicenda, si fa notare il silenzio della giunta a cinque stelle dell’allora sindaco Piccitto, che ha preferito tacere piuttosto che condannare il corteo di neofascista. Perché la questione, ancor prima che giuridica, è politica. In un periodo di crisi come quello che stanno vivendo le nostre istituzioni democratiche, sarebbe opportuno impedire a forze che si ispirano ai valori del fascismo di seminare odio e intolleranza tra le strade delle nostre città. Invece, attraverso operazioni come questa,  si finisce con l’intimidire chi fa dell’antifascismo il suo valore portante.