Nel nuovo millennio i conflitti sono diventati strumenti per “esportare la democrazia” e si uccide con le bombe “intelligenti”. Ma è guerra anche quella dichiarata dai sovranisti ai migranti che solo nel Mediterraneo ha prodotto 40mila vittime

Cambiano le armi, le modalità di uccidere, la tipologia e la quantità delle vittime, ma in un secolo di storia sembra di non aver appreso nulla dalla lezione della cosiddetta Grande guerra, di aver unicamente sofisticato ed esteso gli spazi in cui si combatte. Oggi una Unione europea che continua ad imporre vincoli e torsioni basate solo sul neoliberismo come religione, trova, non solo in Italia, forme di opposizione e di resistenza che si collocano a destra. Non si difende una giustizia sociale che anzi si continua a negare e neanche la possibilità di elaborare strategie di crescita in grado di salvaguardare una intera collettività. Ci si rifà alla “nazione” da difendere, un concetto onnicomprensivo, come spesso abbiamo purtroppo ripetuto, in cui il “noi” e “gli altri” sono definiti da confini statuali, spesso anche artificiali, da identità costruite alla bisogna, fondate sulla lingua, sulla presunta omogeneità religiosa, culturale, quasi etica. Tornano in voga, come 100 anni fa, messaggi protezionistici, in economia, e di chiamata all’isolamento nella vita quotidiana, tanto che parole come “sovranismo” insieme a quelle di “patria”, “razza”, “orientamento sessuale” diventano l’impianto ideologico di dominio riconosciuto.

Eppure nei cento anni trascorsi dalla fine del primo conflitto esteso in Europa dell’era moderna, che abbiamo ormai comunemente definito “mondiale” molte cose sono cambiate. Ieri si confrontavano eserciti nelle trincee e a cadere erano soprattutto i combattenti. Già nella seconda guerra mondiale, l’utilizzo dei bombardieri portò la morte indiscriminata fra i civili, come a Dresda, Coventry, gli assalti armati si riversarono sulle città distruggendole, dall’allora Stalingrado a Berlino, Amburgo fino al terrore nucleare di Hiroshima e Nagasaki. Ed è stato in nome della “nazione”, di un presunto “spazio vitale” come delle “legittime pretese” di una Italia raccontata dal regime fascista come “grande proletaria”, che si sono compiute invasioni, occupazioni coloniali, che sono state promulgate le leggi razziali, fino alle sistematiche logiche che hanno portato ai campi di sterminio.

E le guerre di ora? Il conflitto non si è mai interrotto. Oggi si combatte soprattutto in…

L’articolo di Stefano Galieni prosegue su Left in edicola dal 2 novembre 2018


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