Il musicista e compositore romano che ha ottenuto una nomination per la migliore colonna sonora racconta dei suoi nuovi progetti e delle possibilità professionali che gli artisti italiani trovano solo all'estero

A poche ore dalla cerimonia del Premio Fénix 2018 che si terrà il 7 novembre a Città del Messico, dove è in nomination per la migliore colonna sonora, Giorgio Giampà, musicista e compositore romano, ha solo una certezza: non dovrà portare con sé lo smoking perché pare che l’occasione sia meno ingessata di quella hollywoodiana. Artisticamente attivo sia in Italia che all’estero, con una serie di lavori recenti, Giampà adora lavorare fuori dal nostro Paese e nel 2017 è stato premiato al Kinotavr Oper Russia Film Festival per le musiche originali del film di Guillaume Protsenko, Wake Me Up. Non disdegna casa nostra, dove ha concorso ai Ciak d’Oro, per Fraulein di Caterina Carone e Il padre d’Italia di Fabio Mollo. È per aver composto le musiche originali di Tiempo compartido, in lingua inglese “Time share”, di Sebastian Hofmann, uscita su tutte le piattaforme digitali lo scorso 12 ottobre che l’artista è pronto di nuovo a partire. La pellicola, presentata lo scorso gennaio al Sundance Film Festival, ha in quell’occasione ricevuto il premio speciale della giuria per la migliore sceneggiatura, poi è uscito in Messico, in Olanda, in Belgio e Lussemburgo a settembre, e piano piano arriverà un po’ ovunque, anche in Italia. L’artista romano andrà alla volta del Sud America, per poi far tappa a Los Angeles, dove ha sede l’etichetta della colonna sonora, la mitica Varèse Sarabande, quella di Taxi driver o Ghost , ma anche di altri tra i maggiori successi mondiali. Giampà ha già in mano il biglietto di ritorno, che sarà però il prossimo il 31 marzo. Ha voglia di continuare a viaggiare, trovare ispirazione, arricchire le sue conoscenze per poi portarle con sé in Italia.
Da Roma, al Messico, passando per l’Olanda perché il film di Hofmann è una co-produzione olandese-messicana, proprio a Rotterdam hai avuto l’ispirazione per la musica del film?
Eravamo lo scorso anno a Rotterdam con il regista, anche se ci eravamo conosciuti a Roma, alcuni mesi prima. Lui era lì per fare delle revisioni al montaggio, io l’ho raggiunto per parlare della musica, gli ho proposto di andare a vedere un museo per pensare di fronte ai quadri. I fiamminghi sono, come dire, molto pertinenti con il film che esprime bene il sadismo del capitalismo, con tutta la loro visione di divinità sadiche. Quello di Hofmann è un film dark comedy con venature horror.
Tu, quindi, avevi già visto il suo film?
Sì e quando ci siamo trovati di fronte a La torre di Babele di Brueghel, gli ho detto che il quadro era il suo film perché c’è gente che cammina su questa torre, probabilmente la stanno costruendo; è una torre gigante, piramidale: le persone sono insignificanti e c’è il punto di vista di qualcuno che guarda dall’alto. Gli ho spiegato che vedevo molto il senso del tuo film dove il capitalismo diventa un organismo a se stante, non si capisce più chi c’è alla fine della torre, probabilmente non c’è più neanche un essere umano perché diventa un gioco e noi umani diventiamo dei criceti che corrono intorno a una ruota, che cercano di ascendere a questa torre, ma chi ascende al controllo della piramide perde umanità.
Non poteva quindi esserci espressione realistica più incisiva di quella di Brueghel e anche il titolo del film un po’ lo è, questa “multiproprietà” che ci fa essere padroni di tutto e di niente e Hofmann ha ambientato il suo film in un luogo che è di per sé metaforico.
Il film si svolge dentro a un Resort a  cinque stelle, uno di questi paradisi tropicali che potrebbe trovarsi ovunque, ma anche qui ci sono due costruzioni a forma di piramide. La piramide torna in continuazione dentro il film. Lui voleva dipingere questa critica dei finti sorrisi, del finto dirti benvenuto quando poi l’interesse è semplicemente mettere le mani nel portafoglio e passare sopra chiunque per salire, acquistare potere.
Proviamo a capire come sei arrivato fino a oggi, fino a questo aereo importantissimo che ti porterà fino agli Oscar latinoamericani. In te è nata prima la passione per la musica o quella per il cinema?
La passione per il cinema c’è da vario tempo, addirittura a un certo punto è diventata anche più importante della musica perché io ho studiato direzione della fotografia. Poi dal punto di vista di formazione è un percorso un po’ strano: ho studiato al Conservatorio, ma non mi sono trovato molto con i percorsi che c’erano, anche se adesso si sta modernizzando; prima non c’era una grande attenzione per la musica per il cinema, anzi la musica per il cinema era vista come una cosa minore, però queste cose stanno cambiando. La mia è stata una formazione molto sul fare: quando ero ragazzino suonavo tanto, a 16 anni suonavo la batteria, la chitarra, suonavo con gente più grande. A venti anni ero già stato in tour in Giappone, negli Stati Uniti con band italiane. Dopo mi sono messo a studiare cose più classiche e lì mi è venuta l’idea di mettermi a fare le colonne sonore. Da bambino mi hanno appassionato la colonna sonora di Blade Runner e quelle di Nicola Piovani. Quando ho iniziato a fare colonne sonore, non ho mai pensato che si dovesse agire soltanto nel confine nazionale, anche perché il confine nazionale è molto stretto, mentre dovremmo ragionare a livello europeo se non di più. A me piace molto sentire lingue differenti, anche se a volte non le capisco, per esempio ho fatto vari lavori in Svezia, sentivo parlare svedese, non sono mai riuscito a capire una parola una! Conosco l’inglese e lo parlo. Dopo aver visto Benigni da Letterman, ho capito che parlare in inglese con delle venature italiane fa sempre piacere a tutti. Sto imparando lo spagnolo, avevo imparato qualche parola di russo, ma non sono poliglotta.
La tua però non è una semplice esterofilia, hai soltanto allargato i tuoi orizzonti professionali.
Automaticamente, dopo aver fatto le prime cose, ho cercato lavoro all’estero. Io ho fatto cortometraggi negli Emirati Arabi, in Germania, in Francia, è davvero tutto molto interessante e stimolante. Penso che viaggiare, che è una cosa che mi piace fare anche per cercare i lavori, apra la mente. Io ho sempre avuto una passione per la Russia, per la letteratura e la musica russa, quindi volevo fare qualcosa lì e sono rimasto in contatto con persone che avevo conosciuto e abbiamo fatto altri lavori insieme. Per questa esperienza, invece, posso dire che la cinematografia messicana ha avuto un grande impatto su di me, a partire da film come Battaglia nel cielo di Carlos Reygadas, che poi ho anche conosciuto, che mi ha dato una grande opportunità, quella di andare a cercare nella cinematografia latino/americana, che è molto coraggiosa.
In Italia hai, comunque, sempre lavorato e di recente hai composto la musica per La profezia dell’Armadillo e per la serie tv Il Cacciatore. Ci sono differenze, però, tra lavorare qui da noi e fuori?
Io in Italia sono stato fortunato perché ho fatto lavori belli, ho conosciuto belle persone, mi è piaciuto  lavorare con Fabio Mollo. Detto questo, in Italia c’è un problema con il lavoro ed è una cosa che sta diventando sempre più lampante. C’è un problema grave, e non solo nel cinema, ma in molte attività lavorative. Ci sono molte categorie che vengono spinte verso il livello di hobby; soprattutto, ci sono problematiche di rispetto del lavoro: è una cosa che si sa, che si vede, il discorso è esteso. Io appartengo alla generazione del 1980/1985 che dicono sia quella devastata, che non abbia speranze, ma credo sia un problema, ormai, intergenerazionale in intere categorie, come gli architetti, i fotografi, ma anche gli avvocati. Si torna al discorso di Tiempo compartido  con il discorso del capitalismo, dell’accumulo, il lavoro viene deprezzato, svalutato, le cose vengono fatte a casaccio, senza cura. Così facendo, la gente appassionata perde la passione e si crea una società arrabbiata, che si muove in maniera mediocre. Poi si trovano i baluardi che resistono, che vogliono fare le cose per bene, io ne conosco tanti che non vogliono perdere la passione. In questo Paese c’è un tentativo moto grave di far perdere alla gente la passione nel fare il proprio lavoro e porla in situazioni complicate da un punto di vista economico. All’estero, in paesi dove la moneta è meno forte dell’euro, comunque sia, il rispetto per il lavoro c’è e i salari in proporzione sono molto alti. Quindi, da noi, da qualche parte, ci deve essere un inghippo. Forse i soldi vengono distribuiti male?
Di chi è la responsabilità?
È una cosa bipartisan! E poi, il senso della sinistra si è perso nel fatto che la sinistra stessa, o meglio persone di sinistra si comportano in una maniera di destra. Lavorare all’estero mi permette di non essere ricattabile e di alimentare la mia passione.
Il tuo discorso è tanto amaro quanto realista purtroppo, e tu per primo, che sei un baluardo, devi fare di tutto per mantenere alta la tua passione. Mi torna in mente quando hai portato Hofmann davanti ai quadri per pensare…In te come nasce poi l’ispirazione?
Dipende anche dal tipo di lavoro. Alcuni film richiedono alla musica una funzionalità, in altri devi fare un’operazione che a me interessa molto, che è quella che mi appassiona di più, ovvero realizzare una sorta di “strato” che può andare a braccetto con la storia o aggiunge qualche cosa alla storia. Per esempio, su “Tiempo compartido” quello che abbiamo fatto dopo aver visto il quadro ed esserci appassionati a questo occhio che vede, è stato pensare ad aggiungere con la musica qualcosa che nel film non c’era. Abbiamo pensato che la musica poteva rappresentare una visione un po’ panteistica, in modo che dalla natura gli umani potessero essere visti e derisi, e anche giudicati. Umani che corrono a destra e a manca, che hanno risparmiato per buttare i soldi in questo posto che è uguale a ovunque e si stanno autodistruggendo.