"La difesa dei diritti delle donne e dei bambini è una battaglia di civiltà, ed è per questo che il 10 novembre scendiamo in piazza", dicono le attiviste dell'Unione donne italiane (Udi)

Sabato 10 novembre l’Italia antirazzista e anti oscurantista scende in piazza. Due mobilitazioni nazionali distinte, una a Roma contro il decreto sicurezza fortemente voluto da Matteo Salvini e l’altra, da Milano a Palermo passando per Bologna, Firenze, Genova, Bari, Roma, Napoli, contro il disegno di legge del senatore leghista Simone Pillon sulla riforma del diritto di famiglia, unite dalla volontà di ribadire che esiste un Paese diverso da quello immaginato dal Governo giallonero. Approvato con il voto di fiducia il decreto sicurezza, le donne scendono in piazza per chiedere il ritiro del ddl Pillon e degli altri tre disegni di legge ad esso collegati. Tante le associazioni che hanno aderito: Unione donne in Italia, Cgil, Uil, Arci, Centro ascolto maltrattanti, Casa Internazionale delle donne, Coordinamento maltrattamento all’infanzia, Non Una di Meno, Telefono Rosa e altre ancora. Le Donne in rete contro la violenza (Di.Re) hanno anche promosso una petizione online raggiungendo finora più di centomila sottoscrizioni.
“Donne e migranti sono le due categorie che da sempre sono, o sono considerate, le più deboli e quindi da sopraffare”, dice Ilaria Scalmani presidente dell’Unione donne in Italia (UDI) di Roma. Quanto al disegno di legge Pillon torniamo indietro di cinquant’anni. È una riforma che non presenta alcun aspetto positivo. Deve essere ritirata”. Scalmani non usa mezzi termini per dichiarare la contrarietà al testo Pillon, definito un “disegno di legge confusionario che crea molti problemi alle donne e ai figli in quanto non prende in considerazione il punto di vista dei bambini in caso di separazione dei genitori e, anzi, questi sono visti come strumento di rivendicazione contro le madri. Il testo relega il coniuge economicamente più debole, che ancora oggi risulta essere la donna, in una condizione di sudditanza realizzando una vera e propria vendetta nei confronti di tutti i diritti e le libertà conquistate negli ultimi cinquant’anni dalle donne e, in quanto tale, si pone come primo tassello verso quella restaurazione reazionaria della società che pare essere l’obiettivo di chi sostiene questa riforma”.
“È bene ribadire anche – precisa Giulia Potenza, avvocata e attivista dell’UDI – che non è un disegno di legge necessario, perché una legge sull’affido condiviso esiste già, ma con tutta evidenza gli scopi della riforma sono altri, di natura utilitaristica e ideologica. È utilitaristico in quanto, su un tema così importante e controverso, i primi articoli della legge, che si pone l’obiettivo ambizioso di porre al centro della riforma il minore, si preoccupano al contrario di disciplinare la figura del mediatore familiare, le sue qualifiche e soprattutto i suoi compensi. È una figura non meglio definita, piuttosto aleatoria ma al contempo obbligatoria anche nel caso di separazione consensuale. Fa sorridere pensare- continua Potenza- che il primo firmatario della legge è un mediatore familiare, e non sembra affatto casuale. È inoltre una riforma ideologica perché si fonda sul preconcetto che le donne utilizzino le denunce di maltrattamento per ricevere un assegno di mantenimento più consistente dai mariti e ottenere l’esclusiva responsabilità genitoriale dei figli”. La questione più rilevante disciplinata dal disegno di legge “Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità” riguarda infatti l’obbligatorietà della mediazione familiare sia nei casi di separazione consensuale sia in quelli di violenza nei confronti del coniuge: “Nel primo caso la mediazione è inutile se non addirittura dannosa in quanto i coniugi, d’accordo nel volersi separare, devono tuttavia sottoporsi alla pratica della mediazione allungando i tempi per la sentenza e aumentando i costi complessivi della separazione; nei casi di violenza la mediazione familiare è espressamente vietata dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulla donna, ratificata dall’Italia, in quanto è impensabile chiedere ad una donna vittima di abusi o maltrattamenti di riconciliarsi con il coniuge”.
Un altro aspetto fortemente contestato della riforma è l’istituzionalizzazione della cosiddetta sindrome di alienazione parentale (PAS), una teoria elaborata da un medico statunitense, non scientificamente riconosciuta, che consisterebbe nell’insorgenza di disturbi psicologi nei bambini contesi nelle controversie di separazione e riconducibile ad una sorta di “programmazione” dei figli da parte di un genitore patologico, definito “alienante” a discapito dell’altro, nei confronti del quale il bambino sarebbe così indotto a provare astio e disprezzo ingiustificato. ”La PAS sarebbe una sorta di lavaggio del cervello dei figli da parte della madre, per cui se il bambino si rifiuta di frequentare il padre è perché ha subito delle pressioni psicologiche dalla madre. Oltre ad essere una teoria non scientificamente provata, ed essere stata sconfessata dalla Cassazione,- precisa ancora Potenza- è una pratica che si basa su una logica meschina in quanto non riconosce al bambino una capacità decisionale autonoma. Non vengono indagati i motivi del rifiuto del figlio, che magari ha paura di incontrare un padre violento, si sposta semplicemente l’attenzione sulla madre etichettandola come “alienante”. In questo caso il pericolo della riforma è duplice: in primis istituzionalizza la PAS e in secondo luogo viene codificato il falso mito delle denunce strumentali, impedendo l’emersione della violenza ”. Nella nota diffusa dalle Donne in rete contro la violenza si legge in proposito: “Con questo articolo il ddl Pillon minaccia apertamente le donne che osano denunciare o anche solo parlare di violenza. Le donne che denunciano sono meno del 20% e la Commissione Femminicidio ha lanciato l’allarme per l’aumento delle archiviazioni dovute all’inadeguatezza del sistema giustizia a riconoscere la violenza, accogliere e supportare la vittima”. Gli altri punti contestati della riforma sono il cosiddetto “mantenimento diretto” e la bigenitorialità: “Con l’introduzione del mantenimento in forma diretta viene chiesto ai genitori di contribuire in maniera paritaria al sostentamento dei figli, eliminando in quel caso l’attuale assegno di mantenimento, e tale meccanismo è proposto come migliore attuazione del principio di bigenitorialità, ipotizzando che ciascun genitore sia lavoratore, dal reddito equivalente e in grado di provvedere direttamente ai bisogni del minore. Anche alla base di tali disposizioni- aggiunge l’avvocata Potenza- si nasconde l’idea che il genitore economicamente più debole, di solito le madri, utilizzi il contributo economico al mantenimento del figlio per finalità personali, ignorando la realtà italiana contraddistinta dagli elevatissimi tassi di disoccupazione femminile e la differenza salariale tra uomini e donne, oltre al fatto che le madri continuano a essere espulse dal mercato del lavoro per la carenza di servizi in grado di conciliare scelte genitoriali e professionali”. Infine, con la pratica della bigenitorialità “che può sembrare al primo sguardo un’idea accattivante, si costringono in realtà i bambini a cambiare continuamente casa indipendentemente dalle valutazioni dei genitori trasformandoli in piccoli migranti settimanali senza tener conto del fatto che la stabilità della propria stanza e della casa è un bisogno fondamentale per ogni essere umano, in particolare per i bambini” precisa Potenza.
“Il disegno di legge Pillon è un testo irricevibile, anche se emendato, e anacronistico- conclude Potenza- e deve essere ritirato. Chi lavora nei tribunali o a contatto con la violenza di genere, dagli assistenti sociali agli avvocati, sa che è una riforma estremamente sbagliata e dannosa. La difesa dei diritti delle donne e dei bambini è una battaglia di civiltà, ed è per questo che sabato scenderemo tutte in piazza”.