Immaginate di non poter invitare amici a casa o stendere i panni. Sono gli effetti dei miasmi del Tmb che devono sopportare 215mila abitanti della Capitale

Da tre mesi faccio l’assessore alla cultura al terzo municipio di Roma, in una giunta indipendente di sinistra (a giugno scorso si sono svolte delle elezioni suppletive perché la giunta Cinquestelle locale è andata in crisi; io non ho la tessera di nessun partito). Per chi non lo conosce, il terzo municipio è un’area a nordest di Roma, ampia quanto una città di media grandezza e abitata quanto e più di un grosso capoluogo di regione: 215mila abitanti (Trieste ne ha 205 mila, Cagliari 170mila).

In questa città nella città c’è in pratica un solo cinema (Taranto, 200mila abitanti, ne ha sei), un solo teatro con una programmazione stagionale (Parma, 195mila abitanti, ne ha sedici), una sola biblioteca (Perugia, 165mila abitanti, ne ha sei comunali). Però, nello stesso territorio, in mezzo a questo gigantesco vuoto, ci sono due pieni, due specie di mostri: un centro commerciale immenso, Porta di Roma, dove ogni anno entrano 14 milioni di persone (al Colosseo ne entrano 8); e un impianto di lavorazione dei rifiuti – un Tmb, trattamento meccanico-biologico in gergo tecnico – dove ogni giorno vengono portate mille tonnellate di rifiuti indifferenziati, ossia quasi un terzo di quelli che produce tutta la città.

Si può partire da questi semplici dati per capire che il disastro con cui ormai anche sui media viene rappresentata Roma non è un fenomeno recente né di superficie. Non si tratta di una questione di degrado, di caos dei trasporti, di malamministrazione; parliamo invece di una clamorosa emergenza culturale e sociale da una parte, ambientale e sanitaria dall’altra. Chi l’ha progettata una città così? Chi ha pensato di costruire un centro commerciale elefantiaco in una zona che negli anni si è deprivata di una vera rete sociale e culturale? Chi ha deciso di piazzare quella che è di fatto una discarica, dove sono accatastate 5mila tonnellate di immondizia indifferenziata in modo permanente, a cinquanta metri dalle case e a cinquanta da un asilo nido?

Se vent’anni fa mi fosse stato chiesto, da politico o amministratore, cosa avrei voluto fare per il municipio, avrei avuto una risposta semplice: non dare…

L’articolo di Christian Raimo prosegue su Left in edicola dal 9 novembre 2018


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