Dal 1996 il deposito di rifiuti speciali ammassati a Ischia di Crociano, tra il mare, due fiumi e un’oasi Wwf, è oggetto di denunce. Ora vogliono raddoppiarlo sebbene l’area sia sottoposta a sequestro parziale per rischi sanitari e ambientali. E Left segnala il caso al ministro Costa

Per decenni avvolta nei fumi di una monocultura dell’acciaio, Piombino rischia di passare a una monocultura dei rifiuti. Rifiuti speciali, soprattutto, quelli derivanti dalle industrie e che possono essere spediti ovunque. A incombere, infatti, l’ipotesi di un raddoppio della discarica di Ischia di Crociano, appena fuori città, incastonata tra il mare, due fiumi e un’oasi del Wwf, in un’area a rischio idraulico. E ad appena 150 metri in linea d’aria dalle case del quartiere Colmata, un toponimo che svela come qui una volta fosse tutta palude colmata, anche dai residui delle lavorazioni dell’acciaio. Dove una discarica sarebbe fuorilegge però esiste dal ’96 con buona pace del giornale di Confindustria che non perde occasione per diagnosticare la “sindrome Nimby” a chiunque abbia l’ardire di mettersi di traverso. Perché quello dei rifiuti speciali, quelli che non vuole nessuno, è un piatto ricco e che non crea occupazione.

«Solo riempiendo 200mila metri cubi è stato dimezzato un debito di una ventina di milioni, figuriamoci dieci volte tanto», spiega Renzo Carletti del Csp, il Comitato di salute pubblica. Nell’area, intanto, stanno insediandosi imprese del ramo (Creo, trasformazione dei rifiuti in lignite-carbone; Wecologistic che stocca e spedisce rifiuti speciali pericolosi; Tyrebirth che fonderà pneumatici) e Rfi ha in programma lavori di ampliamento dello scambio ferroviario per 5,2 milioni. Nimby è un’etichetta che il Csp respinge con sdegno: «La Regione Toscana aveva definito la zona ad alto rischio ambientale già negli anni 90 – ricorda il presidente Alessandro Dervishi – ma la discarica fu fatta ugualmente, malgrado si possa documentare un criterio escludente. Non vogliamo bloccare lo sviluppo, vogliamo che siano tutelate la salute e l’ambiente».

Italsider, poi Lucchini e ora Jindal: la storia di Piombino ha ruotato intorno ai grandi marchi della siderurgia. Pagando un prezzo alto, durante e dopo. Se ci fosse un registro tumori pubblico si potrebbe anche misurare il costo umano dell’acciaio «ma

 

 

L’inchiesta di Checchino Antonini prosegue su Left in edicola dal 9 novembre 2018


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