Ci sono due correnti di pensiero in giro tra quelli che si ostinano a non sopportare la bruttura che infondono alcuni atti di questo governo: c’è chi dice che non bisogna cadere nella tentazione di rispondere alle provocazioni per non dare più risalto del dovuto ai provocatori e c’è chi invece ritiene alcune pessime decisioni (e azioni) di questo governo ben più di semplici provocazioni e ritiene necessario ribattere. Sempre. Colpo su colpo. Senza cedere alla fatica. Personalmente non amo la tanatosi degli opossum, fingersi morti aspettando che passi, e allora tocca parlare di Stefania Pucciarelli, eletta ieri presidente della commissione per la tutela dei diritti umani con i voti, badate bene, di Lega e 5 Stelle.
Le competenze, innanzitutto, in tema di meritocrazia: Stefania Pucciarelli (il suo curriculum è qui) è in possesso di licenza media e si dichiara casalinga. Nessun elitarismo, per carità, ma su un tema così spesso, vasto e impegnativo sarebbero molti ad avere le vertigini ritrovandosi in ruolo di tale responsabilità. Lei no. Stefania Pucciarelli si dichiara orgogliosa e emozionata, pronta a lavorare “pancia a terra”.
Ma chi è Stefania Pucciarelli? È una leghista appassionata di ruspe (ma va?) che esultava lo scorso 8 novembre per l’abbattimento di un campo nomadi abbattuto “finalmente – scrive Pucciarelli – per ristabilire la legalità”. Poco male, direte voi. Aspettate. La scorsa estate sul suo profilo Facebook aveva pensato bene di mettere un mi piace su un commento di un suo fan sui migranti che recitava testualmente così: «Certe persone andrebbero eliminate dalla graduatoria dal tenore di vita che hanno. E poi vogliono la casa popolare. Un forno gli darei». È indagata per odio razziale. Poi ovviamente (come è loro abitudine) ha detto di essersi sbagliata. Come al solito. Benissimo. È famosa per le sue battaglie contro i “finti profughi” (chissà come li riconoscerà poi, quali abilità d’indagine nascosta): “spreco di soldi per i migranti” aveva dichiarato fiera lo scorso 23 agosto meritandosi addirittura un articolo su “Città di Sarzana”.
E poi. Il 23 settembre scorso ha applaudito le ronde di Casa Pound parlando di “isteria e ipocrisia antifascista segno di una sinistra finita”. E poi. Ha definito un “palese atto di egoismo e inaccettabile pretesa” il dibattito sulla genitorialità degli omosessuali. Ha applaudito le azioni di polizia contro “i questuanti” nella città di Sarzana. Non è finita: nel luglio 2012 scrisse che “se uno deve pagare per essersi difeso, è meglio che la mira la prenda per bene” riferendosi alla vicenda di Ermes Mattielli, il cittadino veneto condannato per avere sparato a dei ladri.
Ne ha anche per gli alleati grillini: “Ora capisco perché le zecche dei centri sociali non vanno a tirar sassi nei comizi del Pd e dei 5 Stelle: in loro hanno trovato chi li tutela” scrisse nel 2015 quando il Movimento 5 Stelle si dichiarò a favore dell’introduzione del reato di tortura (ah, bei tempi andati).
Cos’è la nomina di una persona così in una commissione del genere? Vilipendio ai diritti umani. Vilipendio alla dignità delle cariche pubbliche. Una schifezza perpetrata in un lurido tempo con il colpevole assenso degli alleati. E forse sarebbe il caso di chiamare le cose con il loro nome: questo non è populismo, questo è letame che puzza dello stesso odore di altri pessimi tempi.
Come scrisse Arthur Schnitzler «Quando l’odio diventa vile si mette in maschera, va in società e si fa chiamare giustizia». Oppure presidente di commissione.
Buon giovedì.