Da oltre 70 anni il popolo palestinese tutto, sia quello che vive nella Palestina occupata, sia quello che vive fuori la Palestina, sia quello della diaspora, ovunque, vive sulla sua pelle il peso dell’occupazione israeliana che si è fatta sempre più cruenta, spietata e strisciante, forte del sostegno dell’imperialismo degli Usa e del silenzio e l’omertà tifosa di gran parte della comunità internazionale. Nonostante questo il popolo palestinese, sebbene ferito fino nel profondo della sua anima, ha lottato e lotta per affermare la sua esistenza e per strappare i suoi diritti affrontando qualsiasi difficoltà ed ostacolo, forte della sua ragione e della sua causa giusta. Il popolo palestinese ha lottato e lotta per affermare la sua esistenza che i sionisti volevano e vogliano cancellare.
Infatti, all’indomani della nascita dello stato di Israele il progetto di pulizia etnica israeliano si è palesato: l’esercito sionista e le sue bande criminali invasero la Palestina terrorizzando i suoi abitanti, bruciando i villaggi e le coltivazioni, uccidendo e massacrando, provocando decine di migliaia di morti e feriti, oltre 800 mila persone sfollate dalle loro case, più di 480 i villaggi palestinesi completamente evacuati e distrutti. Tutto ciò con l’obiettivo di annullare l’esistenza del popolo palestinese. E dal 1948 a oggi la politica di occupazione ha avuto solo ed unicamente questo obiettivo.
Ben Gurion, il padre fondatore di Israele, disse: «I vecchi rifugiati moriranno, i giovani dimenticheranno» ma le cose non sono andate secondo i suoi piani. È vero i vecchi sono morti ma i giovani palestinesi non hanno dimenticato, il popolo palestinese non può dimenticare perché ogni giorno, tutti i giorni continuano a lottare e morire non solo vecchi ma anche giovani nel fiore degli anni, donne e bambini.
Dal 2000 al 2017 (secondo DCIP Defence for Children Inernational Palestine) 2.022 bambini palestinesi hanno perso la vita per mano delle forze di occupazione israeliana, in media 25 bambini al mese, tutti in modo atroce come il piccolo Alì Saad Daubasha di appena 18 mesi arso vivo nell’incendio della sua casa appiccato da coloni nel luglio del 2015. Dal 2000 ad oggi oltre 8.500 bambini palestinesi sono stati arrestati con l’accusa più ricorrente del lancio di sassi, quindi processati davanti a tribunali militari ed incarcerati, sottoposti anche a torture e maltrattamenti. Nel solo mese di settembre 35 minori palestinesi sono stati arrestati e alle famiglie sono state imposte multe superiori a 12.600 dollari. Di questi, 14 minori sono stati picchiati durante la detenzione, 20 condannati a pene da 31 giorni a 9 mesi e 2 trattenuti in detenzione amministrativa.
La violenza cieca israeliana in 70 anni di occupazione non ho conosciuto tregua e si è manifestata e si manifesta in tutta la Palestina occupata, in Cisgiordania come nella Striscia di Gaza.
In Cisgiordania continua incessante la costruzione di nuove colonie e l’espansione di quelle già esistenti. Negli ultimi 25 anni il numero degli insediamenti israeliani e dei coloni che li abitano è quadruplicato, passando dai 105.000 coloni nel 1992 agli oltre 413.000 nel 2017 nonostante gli insediamenti siano considerati illegali dal diritto internazionale e perché tali condannati in numerose risoluzioni ONU. Israele, però, ha sempre considerato il diritto internazionale come lettera morta e così nel mese di giugno il governo di Netanyahu ha annunciato la creazione di altre 2.800 unità abitative che verranno costruite in 30 colonie della Cisgiordania e che saranno ultimate entro la fine dell’anno.
Per la costruzione degli insediamenti israeliani vengono ogni giorno confiscate terre palestinesi, demolite case, sradicati alberi. Infatti, sono migliaia gli alberi di ulivo, molti dei quali secolari, che ogni anno vengono abbattuti soprattutto in prossimità della raccolta, come è accaduto quest’anno a metà ottobre agli abitanti di Turmusayya, un villaggio palestinese tra Ramallah e Nablus, nella parte centrale della Cisgiordania occupata, che dopo aver ricevuto il permesso delle autorità israeliane per andare a raccogliere le olive dei loro alberi, una volta arrivati nei loro campi hanno trovato gli alberi abbattuti e squarciati con i rami carichi di olive lasciati marcire a terra. Senza dimenticare che questo permesso di andare nei loro terreni viene concesso ai palestinesi solo due volte all’anno: due giorni in primavera per coltivare la loro terra e due giorni in autunno per raccogliere le olive.
Quotidiano è anche il furto delle risorse palestinesi, in particolare quelle idriche. Mentre ai palestinesi della Cisgiordania dal 1967 non è consentito lo scavo di nuovi pozzi e quelli vecchi molti sono oramai non più operativi, gli israeliani continuano a scavare pozzi molto profondi che hanno già da tempo causato una forte riduzione del livello idrico della falda e svuotato alcuni pozzi e sorgenti vicine palestinesi. Inoltre, dal 1982 per il volere dell’allora ministro della Difesa Ariel Sharon, il sistema di rifornimento idrico di tutta la Cisgiordania è stato trasferito alla compagnia idrica nazionale israeliana, la Mekorot, per la cifra simbolica di uno shekel israeliano. La Mekorot garantisce un consumo domestico palestinese di circa 70 litri pro capite al giorno (contro i 100 litri pro capite raccomandati dell’ Organizzazione Mondiale della Sanità) mentre il consumo domestico israeliano è in media di 300 litri pro capite al giorno. Questo perché gli insediamenti israeliani vengono riforniti da ampie condutture ad alta pressione, le città palestinesi, invece, nonostante molto più popolate, sono fornite da condutture dal diametro molto ridotto che limita il flusso d’acqua. Ed inoltre la Mekorot riduce regolarmente la distribuzione/quantità di acqua fornita alle comunità palestinesi durante i caldi mesi estivi, quando il consumo dei coloni raddoppia.
Il 5 settembre la Corte suprema israeliana ha autorizzato la demolizione dell’intero villaggio palestinese di Khan Al Ahmar, e, quindi, anche la demolizione della famosa scuola di gomme costruita dalla ong italiana Vento di terra per i bambini di cinque piccole comunità beduine della zona. La distruzione del villaggio palestinese di Khan al Ahmar è stata autorizzata per consentire così ampliamento degli insediamenti illegali di Maale Adumim e Kfar Adumim autorizzando così un crimine di guerra. Infatti, la quarta Convenzione di Ginevra e l’art. 8 dello Statuto di Roma del Tribunale Penale Internazionale considerano crimine di guerra la deportazione o trasferimento, totale o parziale, della popolazione di un territorio occupato. Khan Al Ahmar però,è solo una delle 46 comunità palestinese della Cisgiordania centrale che lo stato ebraico vuole trasferire per posto ai suoi insediamenti illegali e realizzare così il progetto di espansione coloniale nella zona E1, una striscia di terra da Gerusalemme fino verso Gerico, un progetto maledetto che spaccherebbe la Cisgiordania a metà, impedendo così definitivamente la nascita di uno Stato palestinese con un territorio continuo .
Nella Striscia di Gaza la situazione non è diversa: Gaza che dal 2000 ad oggi ha vissuto 4 guerre e tantissime incursioni ed operazioni militare, dopo 12 anni di assedio è oramai considerata la più grande prigione del mondo a cielo aperto e tutta la popolazione civile vive una drammatica e disumana crisi umanitaria e sociale: razionate le ore di energia elettrica e la quantità di acqua potabile molto al di sotto ai livelli minimi raccomandato dall’Organizzazione mondiale della Sanità (la media delle 6 ore di energia al giorno nei primi 6 mesi del 2018 è scesa negli ultimi due mesi 4 ore, 70 litri di acqua procapite al giorno contro i 100 raccomandati), azzerate le scorte di cibo e di medicinali ed il ministro della sanità palestinese ha annunciato la chiusura nei prossimi giorni degli ospedali per l’imminente esaurimento del combustibile utilizzato per far funzionare i generatori durante le interruzioni di energia elettrica, ospedali che in questi mesi sono stati chiamati a curare gli oltre 22.000 feriti delle marce di ritorno che dal 30 marzo ogni venerdì migliaia di palestinesi stanno facendo lungo il confine con Israele e che puntualmente le forze di occupazione ed i cecchini israeliani soffocano sangue con oltre 220 morti fino ad oggi.
Per i palestinesi che vivono in Israele le cose non cambiano, da sempre considerati cittadini di serie Z in quello stato che ipocritamente è considerato il solo esempio di democrazia nel Medio Oriente e che finalmente si è palesato anche agli occhi di chi per anni ha finto di non vedere. Infatti, il 18 luglio il parlamento israeliano ha approvato una legge che stabilisce che Israele è solo per gli ebrei, gli arabi sono cittadini di seconda classe e che gli abitanti palestinesi non esistono. Comunque, questa è una legge molto importante perché mette la parola fine alla farsa di uno stato israeliano “ebraico e democratico” perché questa combinazione non è possibile non solo nella pratica , per quello che Israele ha fatto in questi 70 anni in termini di politiche di occupazione, discriminazione ed apartheid, ma ora anche nella teoria. Infatti, la Knesset ha stabilito che Israele è ebraica, è lo stato nazione del popolo ebraico ma una democrazia non può basarsi sull’origine etnica dei suoi cittadini. Questa legge dice esplicitamente che la terra biblica di Israele è la patria storica degli ebrei e al suo interno è stato fondato lo stato d’Israele e che “il popolo ebraico ha un diritto particolare all’autodeterminazione”. Inoltre “lo Stato considera lo sviluppo dell’insediamento ebraico come valore nazionale ed agirà per promuovere il suo consolidamento” per cui la nuova legge afferma che lo Stato promuoverà l’immigrazione ebraica e a sancire anche formalmente questo regime di apartheid stabilisce che l’arabo non sarà più lingua ufficiale di Israele. Una legge pericolosa, dunque, perché apertamente e spudoratamente razzista e discriminatoria che però non suscitato nessuna reazione ufficiale da parte dei governi ed istituzioni internazionali, sebbene sia anche in netto contrasto con quanto stabilito con la risoluzione 181 .
Nonostante tutto questo, in questi 70 anni di brutale occupazione il popolo palestinese ha sempre lottato e resistito per affermare la sua esistenza e rivendicare i suoi diritti , dal 1987 ad oggi ha conosciuto 3 Intifada con circa 7.000 morti, scioperi e manifestazioni quotidiane e ogni altra possibile forma di protesta dal lancio di pietre contro carri armati e soldati armati fino ai denti, al bruciare copertoni di gomme, al lancio di aquiloni incendiari …. Tutto questo perché in questi 70 anni i sionisti hanno potuto rubare terra e risorse palestinesi , demolire case, sradicare alberi, costruire muri ed insediamenti, uccidere uomini donne vecchi e bambini ma non potuto rubare ed uccidere la dignità del popolo palestinese.
La dignità del popolo palestinese che Trump con le sue decisioni e mosse di politica estera quotidianamente ignora e calpesta, e lo ho fatto ancor prima di diventare presidente quando all’indomani dell’ennesima risoluzione del Consiglio di Sicurezza di condanna degli insediamenti israeliani, del 23 dicembre 2016, approvata però questa volta senza il veto USA, affermò che con lui alla Casa Bianca le cose sarebbero andate diversamente. E così è stato … Oggi Trump, con la sua scellerata decisione di trasferire l’ambasciata americana a Gerusalemme riconoscendo Gerusalemme come capitale di Israele e con il suo incondizionato appoggio alla politica di occupazione ed aggressione israeliana, dimostra a parola e nei fatti non solo di non rispettare la causa palestinese ma anche gli altri stati che nel corso di questi anni hanno condannato l’occupazione israeliana ed anche dimostra di non rispettare il diritto internazionale.
Infatti, i nordamericani, oltre a riconoscere Gerusalemme come capitale d’Israele nonostante quella stessa risoluzione che sancisce la nascita dello stato israeliano accanto a quello palestinese ne riconosca lo status internazionale, hanno tagliato i fondi all’agenzia delle Nazioni Unite UNRWA per i profughi palestinesi, si sono ritirati dal Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU ipocritamente accusato di un “pregiudizio cronico” nei confronti di Israele, hanno chiuso gli uffici dell’OLP a Whashington. Inoltre, gli americani che non hanno mai ratificato il trattato istitutivo della Corte Penale Internazionale dell’Aja, hanno minacciato di sanzioni esemplari i giudici della Corte Penale Internazionale qualora decidessero di indagare su gli Usa, Israele o i loro alleati …
Tutto questo mentre sempre meno ascoltata è la voce di quelle poche diplomazie ufficiali che osano prendere la distanza, però solo a parole, dalla insensata politica di Trump. Infatti, l’Assemblea Generale dell’ONU ha approvato con il voto favorevole di ben 128 paesi una risoluzione per condannare la decisione di Trump di trasferire l’ambasciata ma la sua cerimonia di inaugurazione è stata trasmessa in diretta come un evento epocale per la pace in Medio Oriente anche dalla televisione italiana. Anche il mondo arabo che aveva detto che l’attacco a Gerusalemme e allo status dei profughi avrebbe portato a una guerra mondiale resta a guardare mentre le conseguenze delle scelte americane ricadono solo ed unicamente sui palestinesi. Infatti, paesi arabi, come Arabia Saudita ed Egitto, hanno oramai apertamente voltato le spalle alla dirigenza palestinese in quanto troppo interessati a non compromettere i loro rapporti con l’amministrazione Trump ed avvicinarsi ad Israele.
La dirigenza palestinese ha dimostrato di essere incapace a fronteggiare la drammatica evoluzione che ha avuto la causa palestinese in questo ultimo anno. Infatti, Abu Mazen in questi mesi ha girato in lungo e largo per mezzo mondo, è andato anche all’Onu a condannare la decisione di Trump e a richiedere la convocazione di una conferenza internazionale senza ottenere però nulla se non strette di mano e sorrisi di circostanza.
Ecco perché di fronte alla quotidiana drammatica conta di morti e feriti palestinesi, ai quotidiani soprusi e alle continue sistematiche violazioni dei più elementari diritti umani, noi che ancora riusciamo ad indignarci di fronte a tutto ciò non possiamo stare in silenzio ma ora non basta solo esprimere la nostra indignazione dobbiamo reagire, abbiamo il dovere di reagire …
Oggi più che mai c’è la necessità di costruire una solidarietà internazionale forte per tutelare quel poco che rimane dei diritti del popolo palestinese che nonostante sia consapevole di essere più che mai solo a combattere contro la continua occupazione israeliana e l’oramai sistematica aggressione dell’amministrazione americana che con Trump sta cercando di smantellare i diritti inalienabili e le tutele giuridiche riconosciute ai palestinesi da organismi internazionali, continua appunto a lottare per difendere la sua dignità di popolo fiero e forte.
Solo costruendo una reale solidarietà internazionale forte, capace di incidere e fermare l’occupazione israeliana e l’aggressione americana possiamo stare realmente vicini al popolo palestinese, un popolo che da oltre 70 anni continua a lottare e a morire per i suoi diritti di libertà e di dignità che alla fine sono diritti di tutti. Perciò , facciamo in modo che quest’anno il 29 novembre, giornata istituita nel 1977 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite come giornata internazionale della solidarietà con il popolo palestinese, non sia solo una sterile giornata celebrativa ma il punto di partenza per costruire una consapevole ed incisiva solidarietà internazionale a difesa dei diritti di libertà e dignità del popolo palestinese.
Infatti, nel 1977 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (risoluzione 32/40 B) ha individuata questa data per il significato che essa riveste per il popolo palestinese:il 29 novembre del 1947 l’Assemblea Generale approvò la Risoluzione n. 181 che prevede l’istituzione di uno Stato ebraico e di uno Stato palestinese e Gerusalemme corpus separatum sotto un regime internazionale speciale. Con l’istituzione di questa giornata l’Assemblea Generale ha voluto ricordare che purtroppo ancora oggi la questione palestinese non è risolta e che i Palestinesi devono poter godere di quei diritti inalienabili che l’Assemblea Generale ha loro riconosciuto: diritto all’autodeterminazione senza interferenze esterne, il diritto all’indipendenza e alla sovranità nazionale, il diritto di poter far ritorno alle case e proprietà che i palestinesi hanno dovuto abbandonare.. .
Quest’anno la giornata internazionale della solidarietà con il popolo palestinese ricorre in un momento molto difficile perché c’è la ferrea determinazione da parte della amministrazione americana di Trump di far passare il suo progetto , il cosiddetto progetto del secolo che si propone di trovare una soluzione, di mettere un tappo alla questione palestinese al netto di Gerusalemme, della soluzione dei profughi e di tutti i diritti fondamentali dei palestinesi e di ridurre la questione palestinese a semplice problema di carattere umanitario e minoranza etnica all’interno dello stato ebraico.
Infatti, con la già ricordata legge sullo stato-nazione approvata lo scorso 18 luglio dalla knesset Israele è diventato ufficialmente “la casa nazionale del popolo ebraico” così come già più di 100 anni la Gran Bretagna con la Dichiarazione di Lord Balfour si impegnò a trasformare la Palestina in un “National home “per il popolo ebraico nonostante la popolazione della Palestina all’epoca fosse costituita da oltre il 90 % di arabi, una scellerata dichiarazione e giuridicamente illegittima (perché all’epoca la Palestina come gran parte del medio Oriente era sotto il controllo dell’impero ottomano) di appena 67 parole che però ha cambiato il corso della storia per ebrei, palestinesi e resto del mondo.
Dunque, oggi che la dichiarazione di Balfour, grazie al sostegno complice dell’amministrazione americana di Trump, è divenuta purtroppo ufficiale possiamo dire che la ricorrenza quest’anno della celebrazione della giornata della solidarietà con il popolo palestinese cade in un momento particolarmente difficile perché le condizioni oggettive e soggettive sono favorevoli per Israele e per americani e perché la causa palestinese non può contare più sul sostegno dei paesi arabi, troppo impegnati a non compromettere i loro rapporti con gli americani e a normalizzare i loro rapporti con Israele.
Occorre costruire una reale rete di solidarietà internazionale, dunque, non solo di piazza e movimenti, ma ciascuno con i mezzi a sua disposizione, anche cominciando dal boicottaggio dei prodotti israeliani, deve aver il coraggio di schierarsi tra un popolo che da 70 anni lotta per la sua libertà e la difesa dei suoi diritti ed uno stato che quotidianamente quei diritti calpesta.