In un articolo apparso su Left il 20 dicembre 2018 dal titolo “Tutta colpa di Satana” Emanuela Provera e Federico Tulli riportano la convinzione di Cristiano Ceresani il capo di gabinetto del ministro della Famiglia, secondo il quale «c’è Satana dietro il riscaldamento globale». Quella che potrebbe sembrare una battuta con allusione alle fiamme dell’inferno, in realtà va considerata una «interpretazione delirante» come insegna la psicopatologia.
“Interpretazione” in quanto l’entità sovrannaturale, Satana, viene scoperta nell’ambito del rapporto uomo-natura e non nel rapporto con gli esseri umani nel qual caso sarebbe stata «percezione delirante». Più volte Massimo Fagioli nella sua rubrica “Trasformazioni” proprio su Left si è intrattenuto, in un recente passato, su questi temi. Quello che a noi interessa è che in questo momento storico in Italia accanto alle fake news (come quella di chi paventa un’invasione dei migranti), costruite ad arte a scopo di manipolazione dell’opinione pubblica compaiono, nello stesso ambito culturale e politico che produce le prime, falsi giudizi, contrari al buon senso e impermeabili alla più elementare delle critiche, ai quali qualcuno crede davvero e che suscitano interesse tanto da guadagnare le prime pagine dei giornali. È l’occasione per cercare di rispondere alla domanda: Che cos’è il delirio?, e proporre una riflessione e un approfondimento su di un tema che attualmente travalica l’ambito strettamente specialistico ma assume una valenza culturale più vasta dato l’atteggiamento persecutorio e paranoicale presente in alcuni ambiti della politica.
Delirio è un termine difficile da comprendere e definire in modo univoco e esatto: esso si riferisce a una modalità di pensiero che prescinde dalla realtà e la cui origine non è razionale esprimendo contenuti non verosimili fino al punto di apparire strani e incomprensibili, immodificabili dalla critica e dall’esperienza. Tutte le definizioni, fra le tante proposte, rischiano di essere generiche e incomplete data la grande varietà e complessità di significati che storicamente il delirio ha assunto, che gli hanno conferito una natura sfuggente allargandone a dismisura l’alone semantico. Anche nella “normalità” infatti sono presenti credenze erronee largamente diffuse, come dimostra il caso di Cristiano Ceresani, per cui contenuti patologici, riconducibili a una vera e propria malattia mentale in atto, sono considerati dagli psichiatri quelli irreali relativi a presunti vissuti non solo sovrannaturali ma strani non tanto nel contenuto ma nella forma con cui vengono comunicati.
Il delirio infatti non è solamente un falso giudizio verbalmente espresso dal paziente ma un modo di vivere, di annullare e esperire i rapporti interumani ed estensivamente poi quelli con il mondo, che entra in gioco nella relazione terapeutica e più in generale nelle relazioni fra le persone. I criteri con cui viene valutata nella pratica clinica l’irrealtà, la bizzarria e la comprensibilità delle idee deliranti le quali costituiscono fattori diagnostici e prognostici, rimangono comunque ampiamente discrezionali poiché c’è una grande disparità di teorie e ipotesi sulla loro origine. C’è chi ha creduto – come Emil Kraepelin, Karl Jaspers, Eugen Bleuler, Eugene Minkowsky, Ludwig Binswanger, Hans Grüle, Horatius Cornelius Rümke, Henry Ey per citare solo alcuni fra i più importanti psichiatri del Novecento – in una genesi organica e ereditaria , c’è chi come Ernst Kretschmer ha sostenuto una origine reattiva e multifattoriale insieme costituzionale, ambientale e psicologica di alcune forme deliranti. L’opera di Kretschmer del 1918 Il delirio di riferimento sensitivo (la cui edizione italiana è stata curata per L‘Asino d’oro dagli psichiatri Eva Gebhardt e Andrea Raballo) è un punto di partenza imprescindibile per comprendere lo sviluppo successivo delle concezioni psicopatologiche come quella di Ferdinando Barison e di Massimo Fagioli.
Quest’ultimo in particolare con la sua teoria della nascita ha aperto una nuova prospettiva consentendo di mettere in discussione e abbandonare il mito ampiamente diffuso della analogia fra sogno e delirio che ha una lunga tradizione storica. «L’errore non è che il sogno di un uomo sveglio: ad un certo punto esso diviene delirio…» aveva detto Baruch Spinoza. Famosa è la formula di Kant: «Il pazzo è uno che dorme da sveglio». Schopenhauer esprimeva un concetto simile quando sosteneva che «il sogno è una breve follia, e la follia un lungo sogno». Gli stessi processi che portano alla dissoluzione della coscienza durante il sonno e presiedono alla formazione del sogno avrebbero fatto irrompere il delirio nello stato di veglia della psicosi. Anche la psicoanalisi freudiana si è allineata a questa concezione concependo il sogno e il delirio come fenomeni regressivi entrambi caratterizzati dalla dissociazione e da una mancanza di una struttura logica come i processi primari dell’inconscio.
Freud aveva paragonato la psicosi al sogno e aveva definito il sogno una forma legale di psicosi. Secondo Fagioli non esiste, come si è sempre ritenuto, una gerarchia delle funzioni psichiche con al vertice quelle che garantiscono la coscienza e la razionalità. Il sogno in quanto emanazione della vita irrazionale non è allora espressione di una paleologica, di una forma di pensiero primitiva e immatura legata all’annullamento della realtà umana: esso è invece un linguaggio dotato di senso, altamente sofisticato che si svolge per immagini (e non per allucinazioni) e ci consente, una volta verbalizzato e correttamente interpretato, di comprendere in profondità i problemi che emergono nella relazione terapeutica. Esso non ha necessariamente caratteristiche negative, autistiche dovute ad una dissoluzione patologica della coscienza e a un distacco del soggetto dalla realtà come aveva teorizzato la psicologia evoluzionistica nella seconda metà dell’Ottocento.
L’idea di uno schizofrenico introverso e “sognatore” in quanto delirante e allucinato è stato un gigantesco fraintendimento dovuto ad una impostazione razionalistica, che ha coinvolto quasi tutti gli alienisti e gli psichiatri (salvo rare eccezioni) a partire dalla fondazione stessa della psichiatria durante la rivoluzione francese. L’altro grande contributo di Fagioli è stato quello di aver messo a punto una serie di strumenti concettuali che rendono possibile non solo la critica ma il superamento della mentalità religiosa che è il vero terreno di incubazione delle tematiche deliranti. Come non ricordare che nell’antichità la forma più diffusa di delirio era quella profetica-mistica che ritroviamo in tutte le religioni? Platone affermava il carattere divinatorio del delirio e il carattere sacro della follia, contraddicendo così Ippocrate, per l’influsso che Apollo e altri dei esercitavano talora sugli uomini. Anche Socrate aveva il suo demone che gli faceva vedere il futuro e talvolta lo gettava in uno stato allucinatorio.
Provera e Tulli nel loro articolo citato all’inizio mettono in luce come l’episodio della esternazione di Cesaroni si situi in un contesto come la società italiana nella quale operano un numero iperbolico di esorcisti e la credenza nella possessione demoniaca è largamente diffusa. Nell’idea di possessione da parte di spiriti maligni convergono e si scontrano due sistemi deliranti, in una lotta di potere e di assoggettamento fra il bene e il male: quello di coloro che si credono posseduti e quello degli esorcisti che credono nella realtà degli spiriti demoniaci. L’impressionante rinascita dell’esorcismo in Europa negli ultimi decenni, documentata da uno studioso come Francis Young, è dovuta al venir meno della contrapposizione fra psichiatria e esorcismo che aveva raggiunto il suo apice ai tempi del Concilio Vaticano II. Sicuramente la confusione delle lingue, l’incertezza delle categorie diagnostiche e l’aleatorietà delle pratiche terapeutiche, l’incapacità di definire con chiarezza un fenomeno fondamentale come il delirio che affligge certa psichiatria favorisce l’attecchimento e la perpetuazione di false credenze e giudizi erronei, che coniugandosi con la fede diventano dogmi, certezze immodificabili e condivise. La diffusione della vulgata psicoanalitica e di una psicopatologia incapaci di affrancarsi dalla loro derivazione fenomenologica e heideggeriana ha favorito il permanere e il proliferare di una mentalità religiosa implicita nell’equazione sogno=delirio. Alla realtà della vita irrazionale e non cosciente viene attribuito un significato di inferiorità e di negatività che pur in un linguaggio apparentemente scientifico e laico come quello della psicoanalisi o della psichiatria equivale ad una demonizzazione.
Viene in mente un commento attribuito a Francisco Goya ad una celebre acquaforte del 1797 la numero 43 della serie Los Caprichos pubblicata pochi anni dopo la liberazione dei folli dalle catene e la fondazione della psichiatria da parte di Philippe Pinel «La fantasia priva della ragione genera impossibili mostri (…)». È davvero così che nasce il delirio?