I temi chiave della campagna per le elezioni europee, invece di vertere sulle modalità di uscita dalla crisi, saranno centrati sulle spinte sovraniste e le strategie per respingere o cacciare migranti non funzionali al ciclo produttivo. E ad aprile c’è da rinnovare la Direttiva rimpatri

Quale Europa per chi arriva nell’angolo più opulento del pianeta in cerca di futuro? Il pessimismo è d’obbligo. Non basta che gran parte dei Paesi Ue si siano pronunciati a favore prima a Marrakech del Global compact for migration e poi a New York per il Global compact for refugee. Si tratta di documenti pieni di buone intenzioni ma che non hanno alcun valore vincolante per i singoli Paesi. Il voto ostile di Usa e Ungheria, in materia di rifugiati e quello riservato agli immigrati, a cui si è aggiunta la posizione dell’Italia, del “gruppo Visegrad”, di altri Paesi europei e del Brasile, che o non hanno partecipato all’incontro o hanno dato parere contrario, ha soprattutto un valore simbolico e connesso alle campagne elettorali. Testi nati con la Carta di New York ma che difficilmente troveranno applicazione in Europa.

I due temi su cui si incentrerà la campagna per le elezioni del Parlamento europeo a maggio, invece che vertere sulle modalità di uscita dalla crisi si caratterizzeranno sulle spinte sovraniste (il recupero di un ruolo degli Stati nazionali rispetto all’Unione) e le modalità per respingere o cacciare migranti non funzionali al ciclo produttivo. Questioni legate che trovano un punto di snodo nella revisione, che dovrebbe definirsi ad aprile, della cosiddetta Direttiva rimpatri (115/2008). È deprimente constatare che, alla sua approvazione, negli ambienti più determinati a non far divenire l’Europa una fortezza, la si chiamava “Direttiva della vergogna”, per come riduceva i diritti dei migranti. Ogni Stato l’ha recepita a modo suo. In Italia, solo dopo tre anni e con una interpretazione restrittiva è stata applicata, con l’incremento della detenzione amministrativa negli allora Cie (oggi Cpr), costringendo sempre più persone alla irregolarità forzata, facilitando espulsioni con accordi bilaterali a volte neanche discussi in Parlamento.

Per comprendere i peggioramenti previsti bisogna partire dal discorso sullo stato dell’Unione fatto dal presidente Jean-Claude Juncker il 12 settembre scorso. Lì sono state presentate…

L’articolo di Stefano Galieni prosegue su Left in edicola dal 4 gennaio 2019


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