La preghiera del muezzin si leva alta dal minareto della Grande moschea di Khartoum, risuona placida e armoniosa lungo Al Khalifa road. La accompagna il gorgoglio del fluire delle acque calme del Nilo Azzurro che si estende da Est fino ad abbracciare il Nilo Bianco nel punto di confluenza tra i due corsi nel più importante fiume dell’Africa. La capitale del Sudan si sveglia così, lentamente, ogni giorno. Con il passare delle ore, il traffico caotico tipico delle metropoli gonfia l’arteria che attraversa il blocco principale della città. I pescatori ritirano le reti, il mercato si anima, il business nei palazzi del potere riprende e continua come ogni giorno a dispetto dell’instabilità crescente. L’immagine che mostra la quotidianità della città simbolo del Paese africano è falsata da una calma apparente. L’ho provato sulla mia pelle. Nelle ore in cui mi apprestavo a seguire l’ennesima protesta, sono stata fermata da agenti dei servizi di sicurezza mentre scattavo fotografie a un assembramento di persone davanti a un edificio governativo e mi hanno cancellato il materiale raccolto intimandomi di non scattare altre foto.
Mi hanno lasciata andare via certi che non avrei continuato a testimoniare quanto stia avvenendo nel Paese. Non è così. Ed eccomi a voi a raccontarvi delle tre settimane di proteste contro il governo e della gravità della situazione. La polizia non ha esitato a reprimere con la forza le manifestazioni, iniziate pacificamente il 19 dicembre. Almeno 40 le vittime, anche se le autorità sudanesi ammettono “solo” 19 morti durante gli scontri. Quasi mille gli arresti. Gli ultimi domenica 6 gennaio quando in centinaia si sono ritrovati in quattro diversi punti della città per poi incamminarsi verso i palazzi governativi. Dura la reazione delle forze di sicurezza, con il consueto lancio di lacrimogeni e l’uso delle armi da fuoco. I dimostranti raccontano che…