Se internet ha migliorato la qualità della nostra vita ed accresciuto le nostre capacità, occorre assolutamente sviluppare un pensiero critico dell’uso che se ne fa e aumentare la nostra conoscenza.

Eravamo in una bella biblioteca romana per presentare due volumi sulle dipendenze patologiche (Internet l’amico pericoloso e Droga, uso, abuso e dipendenza, entrambi a cura di Ludovica Costantino, Luguori ndr). Avevamo raccontato molte storie: dalla drammatica vicenda di Carolina Picchio, al racconto di una vicenda personale da parte di una ragazza che invece era riuscita a difendersi da un brutto episodio di cyberbullismo. Avevamo raccontato come occorre utilizzare i videogiochi, alcuni utili per la formazione dei ragazzi, altri pericolosi. Avevamo parlato per ben due ore e raccontato le ultime novità in materia di uso del digitale con bambini piccolissimi. Tutti ricordiamo la vicenda di Carolina, diffamata su internet da “amici” che con una inaudita fatuità e violenza psicologica, la tradirono ignobilmente, proprio nell’amicizia Caterina aveva lasciato scritto: “Le parole fanno più male delle botte…”.
Tutti sappiamo come finì questa drammatica storia che portò al suicidio della ragazza ma anche ad un risveglio generale sulla potenziale pericolosità di internet. E grazie all’interessamento della insegnante di musica di Carolina, la senatrice Elena Ferrara e alla volontà del padre di Carolina, nacque finalmente la legge sul cyberbullismo. Fu davvero un risveglio della legislazione in materia di internet, almeno su certi episodi particolarmente distruttivi. Quella mattina nella biblioteca Nelson Mandela a Roma, fu particolarmente fortunata: si respirava una forte emozione e due ore erano trascorse velocemente, quando si avvicinò a noi una gentile e distinta signora, che ci chiese se potevamo andare nella scuola dove lei lavorava a parlare di tutte queste cose così importanti per gli allievi. Quella signora era la coordinatrice pedagogica della scuola media Svizzera che si trova a Roma. Emerse un racconto che ci sorprese: “Dottoressa, i ragazzini piccoli, quelli dai 11 ai 13 anni arrivano a scuola pieni di sonno. Si addormentano sui banchi. Passano gran parte della notte a giocare con i videogiochi. I genitori non sanno come fare dovreste venire e realizzare incontri con i ragazzi, i genitori e gli insegnanti”. Mentre preparavano i due incontri sui videogame e sulle dipendenze da internet, (sui quali già pubblicammo un articolo su Left ( Gaming addiction, la guerra nella testa, left  18 maggio, 2018) è arrivata una notizia drammatica: un bambino di appena undici anni, la notte del primo gennaio avendo ricevuto il permesso dai suoi genitori di restare alzato un pò di più per giocare ai videogame, viene trovato avvolto in una sciarpa appeso ad un armadio, con il rischio di morire soffocato. Il grave incidente avviene avviene a San Pietro Mussolino nel Vicentino. Il fratello allarmato e disperato allerta i genitori e il bambino viene urgentemente portato al pronto soccorso ma dopo qualche giorno non ce la fa e muore, il suo cuore cessa di battere alle 10.45 dell’8 gennaio scorso. La notizia cosi come velocemente è apparsa nelle cronache così altrettanto velocemente è sparita dalle cronache. E ci ha lasciato tramortiti costringendoci ad approfondire ulteriormente questo mondo dei videogiochi e in generale di internet che per noi adulti è ancora sconosciuto, per certi versi misterioso. Noi lo utilizziamo per fare ricerche, per il nostro lavoro, per comunicare con amici e parenti lontani. Noi adulti lo usiamo in un certo modo, stiamo parlando di adulti sani di mente ovviamente e con la testa al suo posto! E ci sembra davvero incomprensibile come sia possibile rischiare di morire per un video gioco.
Studiando l’argomento a fondo apprendiamo che ci sono giochi che sono delle vere e proprie sfide rischiosissime, in cui vengono cimentati e spronati i giocatori. Apprendiamo che le sfide si spingono fino a portare il giocatore che troppo spesso è poco più che un ragazzino a rischiare la vita per vincere un punteggio. Pensiamo che forse quell’episodio di quel bambino sia stato una tragico epilogo di un “invischiamento” in un gioco che proponeva una sfida pericolosa. Non sappiamo nulla di più della vicenda, ma approfondendo la materia, istintivamente ci viene in mente che occorre proteggere i ragazzini da certi videogame: ma come fare? Studiando studiando i videogiochi veniamo a sapere che ci sono videogiochi di simulazione, di avventura, di azione , i giochi di ruolo , nei quali vi è un combattimento continuo, e il giocatore deve continuamente difendersi senza poter riflettere. In quelli di avventura poi sono intrisi di mistero , di inquietudine per chi gioca. Poi vi sono giochi di strategia nei quali il giocatore costantemente deve attaccare il nemico e le ambientazioni spaziano dal fantasy al medioevo. Insomma abbiamo compreso che da una parte esistono dei videogiochi appassionanti ed utili come narra la nostra pubblicazione e come suggerisce il ricercatore e creatore di videogame utilissimi Ivan Venturi, dall’altra parte e nella maggior parte dei casi, per poter vendere con successo i videogiochi è necessario un elemento anzi più elementi che sono fatti apposta per creare una video dipendenza. Così funzionano le multinazionali che investono sui videogiochi che ormai sono diventati una miniera d’oro.

La dipendenza da internet ormai viene riconosciuta da parecchi anni tanto che ormai tutti gli psichiatri, psicologi e psicoterapeuti in generale conoscono bene la IAD 3 sigla con cui viene denominata tale patologia Fu lo psichiatra. Ivan Golberg nel 1995 ad avviare la ricerca su questa nuova patologia legata all’uso improprio delle tecnologie. In seguito la dottoressa Kimberly Young direttrice del Center for Internet Addiction negli Stati Uniti approfondì la ricerca e divenne una guida per tanti ricercatori . Nel 2013 quando venne pubblicato il DSM-5  si tematizzò la patologia da internet e si avvicinò il quadro sintomatologico a quello di chi fa uso improprio di sostanze: si parla dunque di una equivalenza dei quadri clinici con le tossicodipendenze da sostanze chimiche. E andando avanti apprendiamo che a breve verrà introdotta nell’ ICD-11 4 da parte dell’OMS il Gaming disorder .
Stiamo parlando dell’uso improprio di questi videogiochi che producono purtroppo una dipendenza patologica, che si manifesta con la mancanza di controllo nell’atto di giocare, il continuare a giocare nonostante l’emergenza di conseguenze negative e la assoluta priorità rispetto alle altre attività quotidiane. Compreso dunque il sonno che è fondamentale per i ragazzi Dunque ci siamo: ormai anche l’uso dei videogame può diventare una patologia come l’uso di cocaina e di altre sostanze chimiche
La tecnologia ed in particolare l’uso del computer, può diventare una malattia della mente se ne diventiamo schiavi: è stato lo psichiatra Massimo Fagioli a suggerire che noi dobbiamo dominare la tecnologia e non diventarne dipendenti!
Se il nostro rapporto con tale tecnologia diventa compulsivo: per fare sesso, per fare il gioco d’azzardo , per trascorrere il nostro tempo immersi nei videogiochi, anche il videogame nato per giocare può diventare una trappola insidiosa. E studiando i videogiochi apprendiamo che essi per essere un prodotto di successo, dunque una merce che favorisce il mercato delle multinazionali che investono moltissimo sui videogame, come abbiamo accennato, devono avere alcune caratteristiche come la immersività, la presenza sociale, l’esperienza del flusso , tutte caratteristiche che rendono appetibile ed appassionante il videogioco. Ma anche pericolosamente seduttivo. E sono proprio queste caratteristiche che poi ne favoriscono la dipendenza. E’ paradossale ma siamo immersi in una realtà che può produrre dei danni , come abbiamo visto dal caso del piccolo che si è completamente perso…, forse possiamo ipotizzare che sia stato travolto da un videogioco particolarmente affascinante per la sua realtà, non sappiamo…Non possiamo fare affermazioni ma dobbiamo pensare fortemente che egli abbia perduto la sua piccola mente che si era immersa in qualcosa di molto più grande di lui.

Orwell e il grande fratello.  Sappiamo che sui social spesso appaiono video e videogiochi con contenuti decisamente violenti. E che spesso istigano abbondantemente alla violenza anche se in molti casi non esplicitamente . Leggiamo nel volume Internet l’amico pericoloso: “Siamo venuti a conoscenza di un gioco on line interattivo complicatissimo la cui trama sembra generata da una mente molto malata, si chiama Killer 7,e in Thailandia il ministro della Salute lo ha inserito sul sito governativo tra i dieci videogame più pericolosi per i bambini… una misteriosa organizzazione criminale chiamata Heaven Smile, minaccia l’intero globo e i Killer 7 un gruppo antagonista ha l’incarico di salvare il pianeta. Il loro capo è un personaggio che è il vero protagonista, Harman Smith, il killer più famoso del ventunesimo secolo”. Ed in una recensione questo videogioco è descritto nel seguente mondo: “Tutto è studiato ad arte per regalare emozioni, coinvolgere, turbare e incollare il giocatore al monitor dalla prima all’ultima scena del gioco … Non si fa fatica ad essere calamitati nell’assurdo futuro in cui vivono Harman Smith e soci e la voglia di comprendere fino in fondo le trame segrete… sono un fortissimo stimolo a proseguire nell’interpretazione degli eventi di questo gioco. E poi c’è un senso di inquietudine così intenso raramente si è provata una simile angoscia in un vide gioco la paura dell’incomprensibile”.
Sembrerebbe che sia la possibilità di sentire l’angoscia e la paura dell’incomprensibile il mistero dell’invisibile e dell’inafferrabile a rendere irresistibile questi videogiochi agli occhi dei ragazzi”.“Nella prima metà del secolo scorso ed esattamente nel 1948 George Orwell scrisse un libro intitolato 1984 e tra i vari personaggi del romanzo significativa è la figura del grande fratello. Si tratta di un personaggio che nessuno vede mai e ch esercita un controllo sulle menti e le emozioni delle persone facendole precipitare in un mondo senza passato e senza futuro, dove ogni giorno è uguale ad un altro, nella più completa assenza di fantasia e creatività. Orwell crea questo personaggio per poter parlare del potere che controlla e manipola le persone, privandole dell propria umanità le rende fragili e facilmente assoggettabili. Dipendenti. Il romanzo di Orwell ed il videogioco Killer7 apparentemente sembrano avere delle similitudini. Il grande fratello e Harman Smith entrambi invisibili e misteriosi esercitano un potere alienante e distruttivo, anche se in modo diverso, ed entrambi agiscono in una ambientazione che si svolge in un ipotetico ed agghiacciante futuro. Ma Orwell vuole raccontarci qualcosa, renderci consapevoli di un vuoto a cui la società può essere assoggettata propone un confronto e ci invita alla riflessione. Nel videogioco invece l’obiettivo sembra quello di far vivere questo vuoto in assenza di un pensiero critico. Il confronto è con il nulla.”Ci sembrano importanti queste osservazioni e proseguendo :
“ Come Orwell tanti artisti hanno raccontato di questa dimensione che a quanto pare è sempre esistita nelle società: il ” vuoto” come perdita del senso della propria esistenza, dove nulla è mai veramente importante e con la perenne sensazione di non esistere. In epoche diverse e con storie diverse gli artisti hanno sempre ben saputo rappresentare questa “sofferenza” umana ma non ne hanno mai compreso l’origine né hanno saputo darle un nome. Ma perché parliamo di questo romanzo?
Che legame ha con internet? Nella nostra società non esiste (per ora almeno) una dittatura, ma con tutta evidenza stiamo assistendo ad un vuoto culturale affettivo e relazionale spaventoso, si osserva una sorta di frattura fra il passato e il presente, esattamente come viene avviene nel romanzo; le nuove generazioni hanno perso il rapporto con quelle che le hanno precedute e con esso validi punti di riferimento e di confronto. Ed è in questa assenza che internet va ad innestarsi, conquistando una posizione e un valore eccessivo, diventando un vero e proprio pericolo non solo per la mente degli individui ma anche una minaccia per la propria esistenza”. Aggiungiamo a questa importante riflessione che se internet ha migliorato la qualità della nostra vita ed accresciuto le nostre capacità, occorre assolutamente sviluppare un pensiero critico dell’uso che se ne fa e aumentare la nostra conoscenza.
Stare accanto ai ragazzi . Era questa la richiesta di aiuto di quella signora, quel giorno così bello. Sono proprio loro che sono più in pericolo: entrano nella pubertà, stagione già delicatissima e complessa nella quale vi è uno sconvolgimento per il grande cambiamento fisico e psichico: l’adolescenza è alle porte con tutti i suoi sconvolgimenti, fisici e psichici. E’ necessario allora aumentare il rapporto, come sempre quando vi sono grandi cambiamenti come quello che stiamo vivendo e che a volte ci trova del tutto impreparati. E noi andremo nella scuola a parlare con i ragazzi e cercheremo colmare quel distacco generazionale che ci rende inconsapevoli e lontani da loro, che sono il nostro futuro e che occorre amare in un modo più intenso per riuscire a comprenderli.

Gli incontri

I due incontri  si tengono il 14 gennaio ( via Malpighi 14, ore 19,30) e il 21 gennaio (via Nomentana 335 ore 14) alla scuola svizzera di Roma. Oltre alla curatrice dei due volumi, la psichiatra e psicoterapeuta Ludovica Costantino partecipano Manuela Atzori (psicologa e psicoterapeuta), Susanna Baldini (educatrice), Concetta Guarin (avvocato), Fina Rumore (logopedista), Antonino Scordo ( esperto web),  Pier Polo Tinto (matematico), Emanuela Rampelli (psicologa in formazione), Arielle Bowden Smith, Vittoria Cappellani ( studentesse).