L’Unione democratica è una federazione di cinque partiti insieme con organizzazioni per i diritti umani. Con un obiettivo preciso: essere un’alternativa a Fatah e Hamas e ridare forza alla lotta politica, sociale ed economica

Undici anni fa un infarto si portava via «la coscienza della rivoluzione palestinese», il leader politico che più di altri ha incarnato la spinta popolare verso una lotta comprensiva, di liberazione nazionale e di liberazione degli oppressi. Ai funerali di George Habash, fondatore del partito marxista-leninista Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Pflp), una folla immensa sventolava le bandiere rosse, mentre la bara avvolta nel vessillo palestinese fendeva la gente fino in chiesa.
Habash, nato a Lod nel 1926, medico, cristiano, rifugiato, è ancora oggi il volto della sinistra palestinese. Che c’è ancora, seppur sepolta sotto le macerie di una crisi strutturale e globale. A undici anni dalla sua scomparsa, qualcosa si muove. Alla fine di dicembre cinque partiti hanno deciso di mettersi sotto un unico ombrello, una nuova federazione battezzata Unione democratica, che si pone come alternativa credibile ai due pesi massimi (o, viste le crisi di visione e consenso, sarebbe meglio dire pesi piuma) di Fatah e Hamas. Ne fanno parte anime diverse della sinistra palestinese: Pflp e Dfpl (Fronte democratico per la liberazione della Palestina), entrambi di estrazione marxista; Fida, socialdemocratica; il Partito del popolo palestinese, ex comunista; e la riformista Iniziativa popolare. Accanto, una galassia di organizzazioni per i diritti umani e associazioni della società civile. Un passo verso la ricostituzione di un movimento di idee e strategie che ha avuto il suo apice nel secolo scorso e che ha…

L’articolo di Chiara Cruciati prosegue su Left in edicola dal 18 gennaio 2019


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