L'Italia non è un Paese per lavoratori. Specie se giovani. I giovani italiani costretti ad emigrare ogni anno per cercare un lavoro all’estero sono molti più degli immigrati che approdano nella penisola dove sono costretti ad accettare lavori massacranti, senza diritti, per pochi spicci.
Nonostante il tanto sbandierato reddito di cittadinanza che ancora nei fatti non c’è (per adesso abbiamo solo il portale) la realtà che le nuove generazioni si trovano ad affrontare, specie al Sud, è fatta di disoccupazione, lavoretti, lavoro povero, precario, a chiamata, senza alcuna possibilità di organizzare il poco tempo libero, dovendo sacrificare gli affetti, le relazioni, le esigenze di realizzazione di sé. All’epoca della gig economy, che comprime il costo del lavoro e le tutele, lavorare è tornato ad essere un inferno. Nel medioevo cristiano era imposto dalla condanna biblica: «Con il sudore del tuo volto mangerai il pane», e tu donna «partorirai con dolore». Nella attuale società secolarizzata a renderlo un inferno è il dogma del neoliberismo, è la religione del profitto a tutti i costi e a vantaggio di pochi (come documenta anche il rapporto Oxfam). È la legge del capitalismo a cui la religione protestante ha offerto supporto ideologico come ha scritto Max Weber.
Dalla Cgil guidata da Maurizio Landini, che il 9 febbraio scende in piazza insieme a Cisl e Uil, certo non ci aspettiamo una rivoluzione anti capitalista, ma di sicuro ci aspettiamo che lotti concretamente contro le disuguaglianze, per l’affermazione dei diritti dei lavoratori, per chi il lavoro non ce l’ha. La speranza in questa situazione di afasia dell’opposizione è che il sindacato non si impegni solo sul piano della contrattazione ma che dia un serio contributo per ripensare il mondo del lavoro e il modello di sviluppo, mettendo al centro donne e uomini in carne ed ossa, nella loro complessità di esseri umani e non solo come forza lavoro. Dalla sua relazione al congresso di Bari e da tutte le interviste che il neo segretario generale Cgil ha rilasciato fin qui, come dall’intervista alla sua vice Gianna Fracassi in questo sfoglio, traspare l’idea di un sindacato soggetto attivo sulla scena politica, sganciato dai partiti, ma in cerca di una interlocuzione critica; balena l’immagine di una Cgil che non accetta più di essere messa in un angolo dalla disintermediazione imposta da Renzi come da Salvini.
In tutte queste occasioni pubbliche Landini ha scandito le stesse parole chiave. Fra queste, alcune particolarmente importanti: democrazia partecipata, antifascismo, antirazzismo, lotta alle disuguaglianze, inclusione. «“Prima gli italiani” è uno slogan che distoglie dai problemi. Gli asili nido in Italia sono pochi, non perché ci sono gli stranieri, la precarietà nel lavoro non è colpa degli stranieri, l’evasione non è colpa degli stranieri, nemmeno la corruzione o la mancanza di lavoro sono colpa degli stranieri; la colpa è di scelte politiche sbagliate in questi anni, la colpa è di politiche che hanno messo al centro il mercato, il profitto, non le persone», ha detto Landini in tv intervistato da Formigli. Parole semplici, chiare, dirette.
Tralasciando, per ora, la questione dell’unità sindacale che poco ci convince (meglio la dialettica fra prospettive culturali e politiche molto diverse fra loro che l’unitarismo a tutto i costi) riconosciamo a Landini il coraggio di prospettare un’idea di sindacato non più ancella dei partiti, adattato ai sacrifici e alle compatibilità, ma che lavora per trasformare la società. Landini cita spesso Di Vittorio, figura carismatica che tenne testa a Togliatti con una netta presa di posizione della Cgil contro i carri armati sovietici in Ungheria. Figlio di braccianti, impegnò il sindacato nella lotta contro rapporti primitivi di dominio nel sud pre-industriale ma anche per il sapere e la conoscenza, pensando che la cultura fosse un potente strumento di riscatto.
Landini parla oggi di formazione continua dei lavoratori. Fondamentale anche come strumento di prevenzione per gli infortuni. I dati Istat ci dicono che le morti sul lavoro sono in aumento, specie fra gli under 20 senza una adeguata formazione e fra gli over 60, come leggerete nella nostra storia di copertina. In un Paese civile chi ha più di 60 anni ha il diritto di non dover andare a rischiare la vita nei cantieri. Ma tutti i recenti provvedimenti che hanno ridotto le tutele, Jobs act compreso, hanno reso il lavoro meno sicuro. E come raccontano le nostre inchieste anche il governo giallonero, lungi dall’introdurre politiche d’investimento, ha “risparmiato” sulla prevenzione. Ci aspettiamo che anche su questo la Cgil di Landini dia battaglia, ci auguriamo che non si accontenti di Quota 100 e di inefficaci e inconsistenti politiche assistenziali come il reddito di cittadinanza che su questo numero Giuseppe Allegri torna a criticare puntualmente, da sinistra. Ci aspettiamo che la Cgil di Landini non si dimentichi di lottare per l’abolizione della Fornero e per il ripristino dell’articolo 18 di cui non sentiamo più parlare.
[su_divider style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]L'editoriale di Simona Maggiorelli è tratto da Left in edicola dall'8 febbraio 2019
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[su_divider text=" " style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]L’Italia non è un Paese per lavoratori. Specie se giovani. I giovani italiani costretti ad emigrare ogni anno per cercare un lavoro all’estero sono molti più degli immigrati che approdano nella penisola dove sono costretti ad accettare lavori massacranti, senza diritti, per pochi spicci.
Nonostante il tanto sbandierato reddito di cittadinanza che ancora nei fatti non c’è (per adesso abbiamo solo il portale) la realtà che le nuove generazioni si trovano ad affrontare, specie al Sud, è fatta di disoccupazione, lavoretti, lavoro povero, precario, a chiamata, senza alcuna possibilità di organizzare il poco tempo libero, dovendo sacrificare gli affetti, le relazioni, le esigenze di realizzazione di sé. All’epoca della gig economy, che comprime il costo del lavoro e le tutele, lavorare è tornato ad essere un inferno. Nel medioevo cristiano era imposto dalla condanna biblica: «Con il sudore del tuo volto mangerai il pane», e tu donna «partorirai con dolore». Nella attuale società secolarizzata a renderlo un inferno è il dogma del neoliberismo, è la religione del profitto a tutti i costi e a vantaggio di pochi (come documenta anche il rapporto Oxfam). È la legge del capitalismo a cui la religione protestante ha offerto supporto ideologico come ha scritto Max Weber.
Dalla Cgil guidata da Maurizio Landini, che il 9 febbraio scende in piazza insieme a Cisl e Uil, certo non ci aspettiamo una rivoluzione anti capitalista, ma di sicuro ci aspettiamo che lotti concretamente contro le disuguaglianze, per l’affermazione dei diritti dei lavoratori, per chi il lavoro non ce l’ha. La speranza in questa situazione di afasia dell’opposizione è che il sindacato non si impegni solo sul piano della contrattazione ma che dia un serio contributo per ripensare il mondo del lavoro e il modello di sviluppo, mettendo al centro donne e uomini in carne ed ossa, nella loro complessità di esseri umani e non solo come forza lavoro. Dalla sua relazione al congresso di Bari e da tutte le interviste che il neo segretario generale Cgil ha rilasciato fin qui, come dall’intervista alla sua vice Gianna Fracassi in questo sfoglio, traspare l’idea di un sindacato soggetto attivo sulla scena politica, sganciato dai partiti, ma in cerca di una interlocuzione critica; balena l’immagine di una Cgil che non accetta più di essere messa in un angolo dalla disintermediazione imposta da Renzi come da Salvini.
In tutte queste occasioni pubbliche Landini ha scandito le stesse parole chiave. Fra queste, alcune particolarmente importanti: democrazia partecipata, antifascismo, antirazzismo, lotta alle disuguaglianze, inclusione. «“Prima gli italiani” è uno slogan che distoglie dai problemi. Gli asili nido in Italia sono pochi, non perché ci sono gli stranieri, la precarietà nel lavoro non è colpa degli stranieri, l’evasione non è colpa degli stranieri, nemmeno la corruzione o la mancanza di lavoro sono colpa degli stranieri; la colpa è di scelte politiche sbagliate in questi anni, la colpa è di politiche che hanno messo al centro il mercato, il profitto, non le persone», ha detto Landini in tv intervistato da Formigli. Parole semplici, chiare, dirette.
Tralasciando, per ora, la questione dell’unità sindacale che poco ci convince (meglio la dialettica fra prospettive culturali e politiche molto diverse fra loro che l’unitarismo a tutto i costi) riconosciamo a Landini il coraggio di prospettare un’idea di sindacato non più ancella dei partiti, adattato ai sacrifici e alle compatibilità, ma che lavora per trasformare la società. Landini cita spesso Di Vittorio, figura carismatica che tenne testa a Togliatti con una netta presa di posizione della Cgil contro i carri armati sovietici in Ungheria. Figlio di braccianti, impegnò il sindacato nella lotta contro rapporti primitivi di dominio nel sud pre-industriale ma anche per il sapere e la conoscenza, pensando che la cultura fosse un potente strumento di riscatto.
Landini parla oggi di formazione continua dei lavoratori. Fondamentale anche come strumento di prevenzione per gli infortuni. I dati Istat ci dicono che le morti sul lavoro sono in aumento, specie fra gli under 20 senza una adeguata formazione e fra gli over 60, come leggerete nella nostra storia di copertina. In un Paese civile chi ha più di 60 anni ha il diritto di non dover andare a rischiare la vita nei cantieri. Ma tutti i recenti provvedimenti che hanno ridotto le tutele, Jobs act compreso, hanno reso il lavoro meno sicuro. E come raccontano le nostre inchieste anche il governo giallonero, lungi dall’introdurre politiche d’investimento, ha “risparmiato” sulla prevenzione. Ci aspettiamo che anche su questo la Cgil di Landini dia battaglia, ci auguriamo che non si accontenti di Quota 100 e di inefficaci e inconsistenti politiche assistenziali come il reddito di cittadinanza che su questo numero Giuseppe Allegri torna a criticare puntualmente, da sinistra. Ci aspettiamo che la Cgil di Landini non si dimentichi di lottare per l’abolizione della Fornero e per il ripristino dell’articolo 18 di cui non sentiamo più parlare.