Il processo si apre il 12 febbraio presso la corte suprema spagnola che ha convocato circa 500 testimoni. Le audizioni dovrebbero durare circa tre mesi e tra i testimoni ci saranno l’ex primo ministro Mariano Rajoy, la sindaca di Barcellona Ada Colau e il presidente del parlamento catalano Roger Torrent

Dopo aver subito una detenzione arbitraria preventiva di quattordici mesi, i nove prigionieri politici catalani (sei ex ministri regionali, l’ex presidente del Parlamento della Catalogna e due leader delle associazioni indipendentiste più grandi) devono affrontare oggi un lungo processo alla Corte suprema spagnola. Affrontano una serie accuse gravissime: ribellione, disobbedienza e appropriazione indebita di fondi pubblici.
Il loro crimine? Aver organizzato o sostenuto un referendum di autodeterminazione, seguendo il mandato democratico ricevuto nelle urne dal popolo catalano. Rischiano una pena di fino a 25 anni in carcere, dal momento in cui il crimine di ribellione, che implica una “rivolta violenta e pubblica” secondo la legge spagnola, è uno dei più gravi all’interno del codice penale spagnolo.

Tuttavia, l’innegabile verità è che non hanno né incitato né usato violenza, come affermato anche dal tribunale tedesco dello Schleswig–Holstein, che ha negato con questa motivazione l’estradizione del presidente del Governo catalano, Carles Puigdemont. In realtà, l’unica violenza esercitata proveniva dalla risposta violenta della polizia spagnola contro migliaia di elettori. Nessuna/o di noi ha dimenticato le immagini degli agenti di polizia che picchiavano le persone nei seggi elettorali, intenzionate soltanto a votare pacificamente: questa è un’immagine che non avremmo mai voluto vedere nell’Unione europea.

Insieme ai membri della piattaforma di dialogo Ue–Catalogna del Parlamento europeo, di cui faccio parte, deploriamo la risposta repressiva e giudiziaria delle autorità spagnole a un conflitto politico. Ci rammarichiamo per la falsa narrativa dietro le accuse e denunciamo che sì, si tratta di un processo politico. Il dialogo e la negoziazione, e non la reclusione e la persecuzione politica, dovevano essere gli strumenti per incanalare il dibattito sul legittimo diritto all’autodeterminazione della Catalogna.

Questo non è solo un affare interno spagnolo. Ha una chiara dimensione europea perché quanto accaduto si scontra con i valori fondamentali della nostra Unione, come la democrazia, la libertà di espressione, la libertà di riunione e la libertà di partecipazione politica. Anche il diritto a un processo equo è in pericolo, dal momento che i prigionieri politici hanno denunciato numerose irregolarità durante la fase preliminare al giudizio. Ad esempio, molti dei ricorsi depositati presso la Corte costituzionale spagnola sono ancora pendenti e ciò blocca il loro accesso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo.

Seguiremo questo processo politico da vicino. Ci recheremo a Madrid per assistere come osservatori alle udienze, consci del fatto che le autorità spagnole stanno cercando di impedire il nostro accesso alle aule del tribunale. Lo faremo perché siamo fermamente convinti che i conflitti politici che coinvolgono i diritti fondamentali non siano un problema giuridico o magari di ordine pubblico. I catalani hanno il legittimo diritto di decidere democraticamente il loro futuro politico, e Madrid e Bruxelles hanno bisogno di politici con il coraggio di risolvere i conflitti politici non con accuse penali, ma con gli strumenti della democrazia.

Questo processo, che andrà in diretta tv, potrebbe calmare la sete di vendetta dei nazionalisti spagnoli più radicali, ma certamente non contribuirà a una soluzione ragionevole delle tensioni storiche tra la Catalogna e le istituzioni spagnole. È necessario che le istituzioni europee continuino a fare pressione per raggiungere una soluzione politica e democratica.

*L’europarlamentare Gue/Ngl Eleonora Forenza firma questo articolo a nome della piattaforma di dialogo Eu-Catalogna