Nella comunicazione di oggi, non solo quella che riguarda la politica ma, più in generale, l’attualità, la ricerca costante del “momento comunicativo”, della frase o dell’immagine che in un solo attimo rimane impressa nella mente di chi assiste passivamente allo “show”, definendo in tal modo l’attribuzione che lo spettatore darà nel futuro a quel soggetto, è un elemento costante della nostra società.
Il simbolismo immediato definisce non solo la natura prima di chi si intesta tale “fotografia immaginaria e immaginifica”, ma, in alcuni casi, agisce nel tempo come “correttore” della cultura di massa, portandosi dietro effetti a lungo termine spesso distorsivi della realtà.
Tale ragionamento nasce in virtù di un processo che dall’inizio degli anni Novanta ha composto, in modo maggiore o minore a seconda dei casi, il nostro Paese, soprattutto avuto riguardo alle varie personalità politiche succedutesi in questi 30 anni.
Da ultimo, non se ne dispiaccia, protagonista di questa ricerca della “fotografia di massa” è certamente il nostro ministro degli Interni, Matteo Salvini.
Quando per la prima volta è apparso con la divisa della polizia di Stato, molti media hanno riportato la notizia con la consueta superficialità, riconoscendone (chi con sarcasmo, chi con simpatia) una naturale prosecuzione dello stile “salviniano” (tutti ricordiamo le variopinte magliette o felpe con il nome dei luoghi dove l’attuale ministro svolgeva i suoi comizi – tale abbigliamento fu un significativo simbolo di come la Lega Nord riconoscesse anche il meridione all’interno del suo processo di crescita e inclusione dell’elettorato).
Eppure, a livello più specifico, alcuni sindacati, rappresentativi dei vari corpi dello Stato che il ministro intendeva “onorare” indossandone la divisa, non hanno visto di buon grado quella rappresentazione feticista, probabilmente preoccupati per un processo di appropriazione che rischia di svuotare il “senso di Stato” e il ruolo che quella divisa riveste nel nostro ordinamento.
E a ben vedere una simile fattispecie viene regolata dal nostro ordinamento penale dall’art. 498 del Codice Penale, articolo titolato come “Usurpazione di titoli o di onori”. Il testo della norma appare chiaro*, nella sua parte punitiva, ma, come spesso accade nelle norme penali, le ragioni stesse per cui il comportamento di usurpazione sia penalmente rilevante non è ben rilevabile dall’articolo.
Analizzando i precedenti della giurisprudenza (le decisioni dei vari giudici che nel corso degli anni hanno applicato questa norma, narrandone nella sentenza i motivi per cui veniva applicata), da tutti viene identificato come bene giuridico protetto la pubblica fede, quella generale fiducia che viene (o dovrebbe essere riposta) dai cittadini nei confronti delle istituzioni pubbliche e di chi ne fa le veci, secondo i compiti e i doveri prescritti dalla legge. Una fiducia che nasce proprio dall’elemento di identificazione della divisa con il potere-dovere di chi la “abita”, formalmente incaricato dal nostro ordinamento di specifiche funzioni, che obbligano il pubblico ufficiale a tenere un comportamento adeguato al suo incarico.
La divisa della polizia di Stato rappresenta quindi un corpo che “dovrebbe” identificare un ruolo ben specifico e alimentare quel generale senso di pubblica fede negli organi costituzionali.
La domanda, a questo punto, appare chiara: può un ministro dell’Interno indossare in modo costante la divisa di un corpo dello Stato?
La polizia di Stato è una diretta appendice (quella operativa e connotata dei poteri di – per l’appunto – polizia e controllo) del potere esecutivo, quindi di governo, facendo direttamente capo al ministero dell’Interno. Ma il ministro dell’Interno è una carica politica, incaricato, a seguito della nomina di un governo, per un periodo di tempo delimitato. Esso quindi, è un cittadino incaricato di un potere rappresentativo di un voto espresso, con poteri certamente ampi ma ben delimitati. Insomma, Salvini non è un poliziotto e la divisa, che definisce il poliziotto, non dovrebbe indossarla.
Ma a seguito di questo distorto simbolismo comunicativo, perché la divisa dovrebbe essere protetta. Ciò che preoccupa chi scrive è la fuoriuscita del simbolo “divisa” dai canoni di comune comprensione e interpretazione della stessa. Se la divisa la indossa un cittadino oggi il pericolo è che il cittadino diventi poliziotto, o si senta poliziotto. Con l’aumento delle regolamentazioni comunali dei c.d. fenomeni delle “ronde di cittadini”, la prossima modifica della legge sulla legittima difesa, i continui tentativi da parte di un ministro dello Stato di mostrarsi in pubblico nelle vesti del poliziotto intento a riportare ordine e sicurezza nel nostro paese, appare chiaro come vi sia il rischio effettivo che, dietro la motivazione di onorare i corpi di Stato, possa verificarsi una pericolosa immedesimazione del cittadino-elettore o simpatizzante in un organo di Stato cui sono delegate specifiche funzioni per legge.
E tale messaggio, in una fase storica nella quale le riforme repressive e securitarie tendono alla marginalizzazione sociale degli ultimi, alla ricerca costante di un nemico invasore (identificato nello straniero) e nell’elevazione della forma apparente (il decoro, le città vetrina con i conseguenti fenomeni di gentrification che svuotano il centro delle nostre città) in danno della forma sostanziale (quella della cultura, della ricerca, dell’innovazione additata come perversione e che viene attaccata da programmi di legge retrogradi e di matrice simil-medievale – il Ddl Pillon ne è un esempio evidente), potrebbe costituire a tutti gli effetti un diretto attacco alla “Pubblica fede”, intesa come fiducia che ogni persona pone nei confronti delle istituzioni dello Stato, costituenti, con i loro poteri e doveri, il nostro ordinamento costituzionale.
Riccardo Bucci, avvocato – Alterego fabbrica dei diritti
*Art. 498 Codice Penale – Usurpazione di titoli o di onori.
“Chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo 497-ter, abusivamente porta in pubblico la divisa o i segni distintivi di un ufficio o impiego pubblico, o di un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, ovvero di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, ovvero indossa abusivamente in pubblico l’abito ecclesiastico, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 154 euro a 929 euro.
Alla stessa sanzione soggiace chi si arroga dignità o gradi accademici, titoli, decorazioni o altre pubbliche insegne onorifiche, ovvero qualità inerenti ad alcuno degli uffici, impieghi o professioni indicati nella disposizione precedente.
Per le violazioni di cui al presente articolo si applica la sanzione amministrativa accessoria della pubblicazione del provvedimento che accerta la violazione con le modalità stabilite dall’articolo 36 e non è ammesso il pagamento in misura ridotta previsto dall’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689.”