La Lega Nord si è battuta vent’anni per distruggere lo Stato italiano, dividendo l’immaginaria Padania dal resto del Paese. Ora ha tolto il Nord e grida «prima gli italiani», ma non è mai stata tanto vicina a raggiungere lo scopo originario. Per quanto mascherata, la cosiddetta autonomia differenziata altro infatti non è che la vecchia secessione, ovvero la pretesa della parte più forte del Paese di non condividere più risorse e destino con quella più debole. I più ricchi dopo essere diventati tali sulle spalle dei poveri non hanno più voglia di restituire nemmeno il poco che ora concedono.

Si parte sottraendo alla potestà condivisa le decisioni su sanità, scuola, infrastrutture, oltre a cose da nulla come la sicurezza sul lavoro. Si va avanti promettendo maggiori risorse dopo tre anni a Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, a tutto discapito del resto del Paese. Se infatti si comincia rispettando il criterio della spesa storica, che significherebbe mantenere inalterato il livello delle risorse, pur cambiando il sistema del loro reperimento, si passerebbe poi al sistema della media nazionale, che penalizzerebbe il Mezzogiorno. Da subito peraltro si introdurrebbero macroscopiche discriminazioni, permettendo ad esempio che lo stipendio degli insegnanti delle aree più ricche cresca, a discapito di quello delle aree più disagiate.

È del tutto evidente quanto abbia poco senso continuare a parlare di unità nazionale, in un quadro in cui la Regione di nascita vada a determinare la possibilità di curarsi adeguatamente, di avere un’istruzione di livello adeguato, di godere di livelli accettabili di welfare. Questo è già vero nell’Italia di oggi, e appartiene quindi al teatro dell’assurdo il fatto che anziché cercare di porre rimedio a differenziazioni incompatibili con la Carta costituzionale si cerchi di alimentarle ulteriormente e cristallizzarle. Siamo d’altra parte all’interno di un disegno globale, che ridisegna il mondo concentrando le risorse e espandendo la marginalità. Accade su scala internazionale, come all’interno dei vecchi Stati nazionali e delle stesse aree urbane, come conseguenza dell’accumulazione crescente nelle mani di pochi.

Attraverso la retorica dell’eccellenza, del merito e del territorio, la leva fiscale cessa di essere uno strumento al servizio dell’uguaglianza, per divenire un mezzo di espropriazione a danno di tanti e di ammasso delle risorse. La scuola non è più un veicolo di uniformità dell’accesso alla conoscenza, ma una garanzia di maggior competitività di alcune aree interne a danno di altre. La sanità è appannaggio di chi ha la fortuna di risiedere in luoghi che garantiscano l’accesso, in piena logica privatistica. Le infrastrutture abbandonano il proprio ruolo di collegamento interno, per divenire direttrici di traffico fra le zone più dinamiche e il mondo.

Ogni cosa viene riorganizzata per dividere progressivamente la società in spazi sempre più ridotti di benessere e aree sempre più estese di esclusione. È la logica del prima gli italiani, che porta con sé il prima i lombardi, a cui segue prima i milanesi, per finire con prima quelli di piazza Aulenti. Se si rompe infatti il vincolo di solidarietà fra tutti quelli che hanno di meno, il risultato non può che essere la sempre crescente concentrazione di potere e ricchezza.

Davanti a questo meccanismo perverso, la sinistra non può avere dubbi o esitazioni sulla propria collocazione. È un grave errore quello di chi abbia sottovalutato o addirittura appoggiato i referendum di Lombardia e Veneto, e ancor di più abbia avallato o subito in silenzio la scelta dell’Emilia Romagna di prendere la stessa strada suggerita dai leghisti. Non si è mai trattato infatti di avvicinare le decisioni ai cittadini, né di rendere più efficiente il processo amministrativo. Se questo fosse stato lo scopo, si sarebbero rafforzati gli strumenti di partecipazione e il ruolo dei Comuni. Qui siamo invece davanti a un attacco mortale ai principi costituzionali di uguaglianza e solidarietà, a cui si deve reagire come tale.

* Parlamentare della XVII Legislatura, Giovanni Paglia è esponente di Sinistra italiana [su_divider style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]

L'editoriale di Giovanni Paglia è tratto da Left in edicola dall'1 marzo 2019

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La Lega Nord si è battuta vent’anni per distruggere lo Stato italiano, dividendo l’immaginaria Padania dal resto del Paese. Ora ha tolto il Nord e grida «prima gli italiani», ma non è mai stata tanto vicina a raggiungere lo scopo originario. Per quanto mascherata, la cosiddetta autonomia differenziata altro infatti non è che la vecchia secessione, ovvero la pretesa della parte più forte del Paese di non condividere più risorse e destino con quella più debole. I più ricchi dopo essere diventati tali sulle spalle dei poveri non hanno più voglia di restituire nemmeno il poco che ora concedono.

Si parte sottraendo alla potestà condivisa le decisioni su sanità, scuola, infrastrutture, oltre a cose da nulla come la sicurezza sul lavoro. Si va avanti promettendo maggiori risorse dopo tre anni a Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, a tutto discapito del resto del Paese. Se infatti si comincia rispettando il criterio della spesa storica, che significherebbe mantenere inalterato il livello delle risorse, pur cambiando il sistema del loro reperimento, si passerebbe poi al sistema della media nazionale, che penalizzerebbe il Mezzogiorno. Da subito peraltro si introdurrebbero macroscopiche discriminazioni, permettendo ad esempio che lo stipendio degli insegnanti delle aree più ricche cresca, a discapito di quello delle aree più disagiate.

È del tutto evidente quanto abbia poco senso continuare a parlare di unità nazionale, in un quadro in cui la Regione di nascita vada a determinare la possibilità di curarsi adeguatamente, di avere un’istruzione di livello adeguato, di godere di livelli accettabili di welfare. Questo è già vero nell’Italia di oggi, e appartiene quindi al teatro dell’assurdo il fatto che anziché cercare di porre rimedio a differenziazioni incompatibili con la Carta costituzionale si cerchi di alimentarle ulteriormente e cristallizzarle. Siamo d’altra parte all’interno di un disegno globale, che ridisegna il mondo concentrando le risorse e espandendo la marginalità. Accade su scala internazionale, come all’interno dei vecchi Stati nazionali e delle stesse aree urbane, come conseguenza dell’accumulazione crescente nelle mani di pochi.

Attraverso la retorica dell’eccellenza, del merito e del territorio, la leva fiscale cessa di essere uno strumento al servizio dell’uguaglianza, per divenire un mezzo di espropriazione a danno di tanti e di ammasso delle risorse. La scuola non è più un veicolo di uniformità dell’accesso alla conoscenza, ma una garanzia di maggior competitività di alcune aree interne a danno di altre. La sanità è appannaggio di chi ha la fortuna di risiedere in luoghi che garantiscano l’accesso, in piena logica privatistica. Le infrastrutture abbandonano il proprio ruolo di collegamento interno, per divenire direttrici di traffico fra le zone più dinamiche e il mondo.

Ogni cosa viene riorganizzata per dividere progressivamente la società in spazi sempre più ridotti di benessere e aree sempre più estese di esclusione. È la logica del prima gli italiani, che porta con sé il prima i lombardi, a cui segue prima i milanesi, per finire con prima quelli di piazza Aulenti. Se si rompe infatti il vincolo di solidarietà fra tutti quelli che hanno di meno, il risultato non può che essere la sempre crescente concentrazione di potere e ricchezza.

Davanti a questo meccanismo perverso, la sinistra non può avere dubbi o esitazioni sulla propria collocazione. È un grave errore quello di chi abbia sottovalutato o addirittura appoggiato i referendum di Lombardia e Veneto, e ancor di più abbia avallato o subito in silenzio la scelta dell’Emilia Romagna di prendere la stessa strada suggerita dai leghisti. Non si è mai trattato infatti di avvicinare le decisioni ai cittadini, né di rendere più efficiente il processo amministrativo. Se questo fosse stato lo scopo, si sarebbero rafforzati gli strumenti di partecipazione e il ruolo dei Comuni. Qui siamo invece davanti a un attacco mortale ai principi costituzionali di uguaglianza e solidarietà, a cui si deve reagire come tale.

* Parlamentare della XVII Legislatura, Giovanni Paglia è esponente di Sinistra italiana

L’editoriale di Giovanni Paglia è tratto da Left in edicola dall’1 marzo 2019


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