L’ex segretaria di Stato Usa Madeleine Albright riflette nel suo nuovo libro sulle insidie del fascismo del XXI secolo. Avendolo potuto analizzare a partire dalle sue radici, come ebrea scampata all’Olocausto, e poi attraverso le dittature del secolo breve. Fino a Putin e soprattutto, fino a Trump

«Il fascismo non morirà con Mussolini» disse il presidente Truman ai rappresentanti delle neonate Nazioni unite due mesi dopo la resa della Germania. «Hitler è finito, ma i semi sparsi dalla sua mente disturbata hanno attecchito in troppi cervelli esaltati. Spodestare un tiranno e distruggere un campo di concentramento è cosa più semplice dell’uccidere le idee che li hanno concepiti».
Ed è questo ancora oggi un grido di allarme che Madeleine Albright, già segretario di Stato a Washington negli anni di Bill Clinton, nata a Praga nel 1937 e ancora professoressa alla John Hopkins, ha coltivato durante la sua lunga vita di bambina ebrea scampata all’Olocausto, e che ora ha deciso di raccontare in un libro di memorie e di analisi storica. Si chiama Fascismo e ha un sottotitolo che spiega già tutto: “Un avvertimento” (Chiarelettere).
Anche lei, come Truman, ha avuto modo di riflettere sulle insidie del fascismo dagli anni Venti alla guerra: come si affermò, quali erano le sue radici. E, soprattutto, ha potuto analizzarlo attraverso i vari fermenti e le molte dittature del secolo breve: una esperienza, la sua, diretta assolutamente preziosa, fino alla conoscenza degli ultimi dittatori, fino a Putin e soprattutto, fino a Trump. «L’ombra che incombe su queste pagine è ovviamente quella di Donald Trump, il primo presidente antidemocratico nella storia moderna degli Stati Uniti. Troppe volte, dalle prime ore in cui ha messo piede nello studio ovale, ha ostentato disprezzo per le istituzioni democratiche, gli ideali di uguaglianza e giustizia sociale… i leader di tutto il mondo osservano, prendono esempio… seguono gli uni le orme degli altri, come fece Hitler con Mussolini; e oggi il gregge sta avanzando verso il fascismo».
Un avvertimento, dunque, non campato per aria e per nulla inficiato dal suo esser stata una donna dell’establishment democratico, compartecipe di scelte criticabili della diplomazia americana. «Ad alcuni lettori questo libro e il suo titolo potranno apparire allarmistici. Trovo che sia un bene. Dobbiamo restare vigili di fronte all’attacco ai valori democratici che è in atto in molti Paesi e sta dividendo l’America. La tentazione di chiudere gli occhi e aspettare che il peggio passi è forte, ma la storia ci insegna che per salvaguardare la libertà bisogna difenderla e per fermare le bugie bisogna smascherarle».
In fuga dalla Cecoslovacchia verso Londra dopo l’invasione tedesca del ’39. È lì che nell’aprile del ’42…

L’articolo di Sandra Bonsanti prosegue su Left in edicola da venerdì 1 marzo 2019


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