La mostra, dall'8 marzo all'ex Mattatoio a Roma, fa parte del progetto Before. Valentina Pescetti, dell'associazione Differenza Donna: "C'è una legge in Italia e va applicata"

Trentacinque immagini a colori e in bianco e nero, un cortometraggio e un web documentario per raccontare la tenacia delle donne di tre Paesi africani nella ribellione alla logica patriarcale delle mutilazioni genitali femminili. E’ Uncut, una mostra vincitrice di numerosi premi internazionali – tra cui il Premio per il miglior cortometraggio di documentario al 14esimo Festival de cine y derechos humanos di Barcellona, il Premio per il miglior documentario al 19esimo Genova Film Festival, Sony World Photography Awards e altri ancora – e che sarà esposta, dall’8 marzo prossimo a Roma, nei locali dell’Ex Mattatoio, che rompe gli stereotipi massificanti sulle culture di quei Paesi in cui vige questa pratica. “Da decenni, infatti, le donne di quegli Stati stanno portando avanti una battaglia per affrancarsi dalla consuetudine delle mutilazioni genitali”, dice a Left, Valentina Pescetti, dell’associazione Differenza Donna, coordinatrice del Progetto Before, nell’ambito del quale è inserita la mostra.
“E’ per dimostrare loro la solidarietà di tutte le donne – continua Pescetti – e per rafforzare il loro ruolo nella lotta contro le mutilazioni genitali che è nato il progetto”, cofinanziato dall’Unione europea, oltre che per promuovere un profondo cambiamento politico e culturale e potenziare la capacità di risposta da parte delle istituzioni in Italia, Francia e Belgio. “Non vogliamo sostituirci alle istituzioni pubbliche ma avanziamo proposte affinché la legge numero 7 del 2006, che considera reato questa pratica dolorosa e irreversibile, venga applicata adeguatamente”, continua Pescetti. E non solo in senso meramente punitivo (e scoraggiante) ma nella direzione della prevenzione sul cui versante la legge deve essere applicata in modo strutturato, trasparente, permanente. Coinvolgendo anche i centri antiviolenza che “sono e devono essere riconosciuti come strategici per la prevenzione e per la loro funzione di accompagnamento delle donne che hanno subìto la mutilazione – o che vogliono salvare le loro figlie – nella rivendicazione dell’applicazione della legge”, prosegue.
Bisogna che l’approccio cambi e che gli interventi siano effettuati “insieme alle donne e non al loro posto affinché dell’esistenza dei loro diritti siano consapevoli non solo sulla carta”, aggiunge Valentina Pescetti. E sebbene in Italia siano stimate circa ottantamila donne vittime delle mutilazioni dei genitali femminili e che, solo a Roma, le bambine che provengono dai sette Paesi a maggior rischio nel mondo siano almeno cinquecento, “le istituzioni – ammonisce Pescetti – omettono interventi di sensibilizzazione e di formazione, soprattutto in ambiti quali la sanità, le scuole e gli enti che lavorano con persone migranti, trascurando il fatto, anche, che il 52 per cento di queste, nel Belpaese, sia di genere femminile”.
Per un cambiamento radicale “i centri antiviolenza vogliono poter contribuire a migliorare la capacità di risposta e tutela dei diritti da parte delle istituzioni, offrendo il sapere e l’approccio femminista e di sinistra, ovvero le competenze maturate sul campo del contrasto alla violenza contro le donne, lavorando insieme alle donne, su un piano di parità, di laicità, di rispetto e di riconoscimento dei diritti”, chiosa Valentina Pescetti. Perché la legge c’è. Il numero verde (800 300 558) pure, ma non è attivo da anni. Così, da un anno, Differenza Donna ha attivato un telefono – 349 4393267 – per offrire sostegno, informazioni, tutela legale e accompagnamento per l’accesso alle cure sanitarie. E che, certamente, non squillerà invano.

Uncut è un progetto di Emanuela Zuccalà, fotografie di Simona Ghizzoni, video di Emanuela Zuccalà e Simona Ghizzoni.