Chi scrive non dovrebbe mai farsi coinvolgere ma saper raccontare le cose come stanno, senza opinioni o sentimentalismi e forse paradossalmente proprio per questo di fronte alle immagini degli ultimi sbarchi di migranti sulle nostre coste ammetto di essermi commossa. La questione non si può certo liquidare in poche righe ma osservando i volti spaventati di quei ragazzi scesi a terra non ho potuto non pensare come ognuno di loro abbia lasciato a casa (chissà dove) una madre, un padre, una sorella, un amore che forse non rivedranno mai, e paragonando tutto ciò ai nostri piccoli grandi drammi quotidiani mi sono resa conto di aver sussultato proprio perché ben cosciente di come stiano esattamente le cose. L’hanno capito in tanti in realtà ma molti per convenienza od opportunismo politico preferiscono tirare dritto verso una deriva d’odio e intolleranza che si espande ogni giorno a discapito degli ultimi, che oggi sono i migranti ma domani chissà. A raccontarci quanto sia difficile in questo periodo lavorare dalla parte giusta della storia è Giorgia Linardi, portavoce italiana dell’Ong Sea Watch, protagonista con la nave Sea Watch 3 dell’ultimo caso mediatico in tema di sbarchi, terminato dopo settimane di stallo di fonte al porto di Siracusa, con lo sbarco di 47 migranti in quello di Catania. Cos’è successo dopo la conclusione di quell’odissea il 31 gennaio? Dopo essere stati trattenuti per 20 giorni in porto e aver subito 80 perquisizioni ci siamo diretti verso Marsiglia per una manutenzione in programma da diversi mesi. A breve cercheremo di tornare in mare anche se sappiamo che non sarà una passeggiata visto che negli ultimi mesi si sta intensificando l’accanimento da parte dei governi europei volto a ostacolare il più possibile la presenza di Ong in mare. La Sea Watch ha subito dal 2002 ben 22 ispezioni e a Catania la Procura ha aperto indagini penali che alla fine si sono verificate nulle ma già il fatto che senza alcun fondamento vengano formulate accuse fortissime come associazione a delinquere e facilitazione dell’immigrazione clandestina testimonia il livello di ostilità nell’aria. Ci troviamo a dover costantemente affermare la banalità del bene e siamo arrivati a festeggiare quando una Procura dichiara pubblicamente che non abbiamo fatto nulla di male come se si trattasse di un’eccezione invece della normalità. Oggi è evidente come quello dell’immigrazione sia un problema europeo e che nessuno Stato voglia prendersi la responsabilità di far entrare sul proprio suolo migranti e richiedenti asilo, evitando anche di soccorrerli in mare e portarli in un porto sicuro come prevedono leggi e convenzioni come la Sar (Convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo). Che idea vi siete fatti di tutto ciò? Negli ultimi due soccorsi effettuati da Sea Watch le persone sono rimaste a bordo 19 giorni e un paio di settimane e il motivo principale risiede nel fatto che le autorità degli Stati costieri deputati al primo soccorso deleghino la gestione degli esseri umani alla Libia facendo leva sulle capacità di coordinamento di uno Stato che in realtà non le possiede. Tutto ciò è figlio dell’incapacità dell’Unione europea di affrontare l’immigrazione dall’Africa come un fenomeno strutturale parte dei nostri tempi e frutto di una naturale evoluzione e di eventi economici politici e climatici in larga parte dovuti proprio ai comportamenti degli Stati membri. Nel nostro Paese poi la situazione è stata ingigantita e distorta ulteriormente per facilitare l’affermazione di una precisa linea politica che se da un lato chiude i porti e si focalizza sulla riduzione degli arrivi, dall’altro toglie la protezione umanitaria a migliaia di persone in modo che queste siano costrette a vivere in strada, alimentando la sensazione di pericolo e fastidio nella gente. È una macchina dell’odio che si autoalimenta sulle spalle di coloro che hanno meno strumenti per difendersi, un accanimento contro gli ultimi che oggi sono i rifugiati ma ad un certo punto della storia, come già successo, potremmo essere noi. La violenza e l’assenza di umanità ed empatia con la quale certe tematiche vengono trattate dovrebbe preoccuparci proprio per questo, ledere in modo sistematico diritti umani fondamentali è gravissimo a prescindere dai soggetti coinvolti. Le nostre politiche per l’immigrazione non sono sempre state così: quando il vento ha cominciato a cambiare? L’Italia è il braccio esecutivo di una linea europea di respingimento e controllo delle frontiere iniziata con la dichiarazione di Malta del febbraio 2017. La svolta grande si è verificata in quel momento, quando ha preso il via anche la campagna ignobile di criminalizzazione e attacco della nostra attività sotto tre principali fronti: politico, giudiziario e mediatico. Questo governo non sta facendo altro che seguire una direttiva già preparata e portata avanti dal precedente, magari in modo diverso ma con la stessa finalità: se prima ci si concentrava sugli accordi internazionali in particolare con la Libia, adesso si punta sull’esplicita condanna dei flussi migratori. Con il vostro lavoro in mare inchiodate di fatto l’Europa alle proprie responsabilità, è anche per questo che siete visti come un testimone scomodo da scoraggiare il più possibile? L’opinione pubblica non sembra particolarmente scossa da ciò ma di alcune cose è meglio non parlare e chi denuncia le atrocità che succedono nei centri di detenzione libici e i morti in mare di certo dà fastidio. Tra una ventina d’anni troveremo scritto sui libri di storia quello che sta avvenendo oggi e diremo che non ne sapevamo nulla. Dopo quanto successe circa un’ottantina di anni fa si disse never again, mentre oggi restiamo a guardare di fronte al ripetersi di dinamiche simili, appena al di là del nostro mare. Accantonando la politica, uno degli aspetti più preoccupanti è che l’opinione pubblica sia tanto indifferente di fronte al racconto di certi drammi. Come siamo diventati così cinici? Credo che la distanza mentale sia la prima motivazione di una tale mancanza di immedesimazione e umanità. A chi odia i migranti solo vedendoli in strada vorrei chiedere se si siano mai fermati a parlare o a condividere un pezzo di vita con loro, sono sicura che la maggior parte affermerebbe di no. È facile farsi deviare da un certo tipo di propaganda che erge lo straniero a capro espiatorio per giustificare ogni insuccesso individuale ma voglio credere che le persone che esprimano tanto livore non siano la maggioranza e che le stesse se si trovassero in mare sarebbero le prime a tendere la mano per soccorrere gli altri. Sminuire il tema dell’immigrazione e credere possa risolversi facilmente è sbagliato ma dopo aver ascoltato storie atroci da persone che hanno solo da insegnarci e aver visto molte di loro affogare in acque gelide mi sento di dire che forse si potrebbe fare anche meno peggio di così.

Chi scrive non dovrebbe mai farsi coinvolgere ma saper raccontare le cose come stanno, senza opinioni o sentimentalismi e forse paradossalmente proprio per questo di fronte alle immagini degli ultimi sbarchi di migranti sulle nostre coste ammetto di essermi commossa. La questione non si può certo liquidare in poche righe ma osservando i volti spaventati di quei ragazzi scesi a terra non ho potuto non pensare come ognuno di loro abbia lasciato a casa (chissà dove) una madre, un padre, una sorella, un amore che forse non rivedranno mai, e paragonando tutto ciò ai nostri piccoli grandi drammi quotidiani mi sono resa conto di aver sussultato proprio perché ben cosciente di come stiano esattamente le cose. L’hanno capito in tanti in realtà ma molti per convenienza od opportunismo politico preferiscono tirare dritto verso una deriva d’odio e intolleranza che si espande ogni giorno a discapito degli ultimi, che oggi sono i migranti ma domani chissà.

A raccontarci quanto sia difficile in questo periodo lavorare dalla parte giusta della storia è Giorgia Linardi, portavoce italiana dell’Ong Sea Watch, protagonista con la nave Sea Watch 3 dell’ultimo caso mediatico in tema di sbarchi, terminato dopo settimane di stallo di fonte al porto di Siracusa, con lo sbarco di 47 migranti in quello di Catania.

Cos’è successo dopo la conclusione di quell’odissea il 31 gennaio?
Dopo essere stati trattenuti per 20 giorni in porto e aver subito 80 perquisizioni ci siamo diretti verso Marsiglia per una manutenzione in programma da diversi mesi. A breve cercheremo di tornare in mare anche se sappiamo che non sarà una passeggiata visto che negli ultimi mesi si sta intensificando l’accanimento da parte dei governi europei volto a ostacolare il più possibile la presenza di Ong in mare. La Sea Watch ha subito dal 2002 ben 22 ispezioni e a Catania la Procura ha aperto indagini penali che alla fine si sono verificate nulle ma già il fatto che senza alcun fondamento vengano formulate accuse fortissime come associazione a delinquere e facilitazione dell’immigrazione clandestina testimonia il livello di ostilità nell’aria. Ci troviamo a dover costantemente affermare la banalità del bene e siamo arrivati a festeggiare quando una Procura dichiara pubblicamente che non abbiamo fatto nulla di male come se si trattasse di un’eccezione invece della normalità.

Oggi è evidente come quello dell’immigrazione sia un problema europeo e che nessuno Stato voglia prendersi la responsabilità di far entrare sul proprio suolo migranti e richiedenti asilo, evitando anche di soccorrerli in mare e portarli in un porto sicuro come prevedono leggi e convenzioni come la Sar (Convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo). Che idea vi siete fatti di tutto ciò?
Negli ultimi due soccorsi effettuati da Sea Watch le persone sono rimaste a bordo 19 giorni e un paio di settimane e il motivo principale risiede nel fatto che le autorità degli Stati costieri deputati al primo soccorso deleghino la gestione degli esseri umani alla Libia facendo leva sulle capacità di coordinamento di uno Stato che in realtà non le possiede. Tutto ciò è figlio dell’incapacità dell’Unione europea di affrontare l’immigrazione dall’Africa come un fenomeno strutturale parte dei nostri tempi e frutto di una naturale evoluzione e di eventi economici politici e climatici in larga parte dovuti proprio ai comportamenti degli Stati membri.
Nel nostro Paese poi la situazione è stata ingigantita e distorta ulteriormente per facilitare l’affermazione di una precisa linea politica che se da un lato chiude i porti e si focalizza sulla riduzione degli arrivi, dall’altro toglie la protezione umanitaria a migliaia di persone in modo che queste siano costrette a vivere in strada, alimentando la sensazione di pericolo e fastidio nella gente.

È una macchina dell’odio che si autoalimenta sulle spalle di coloro che hanno meno strumenti per difendersi, un accanimento contro gli ultimi che oggi sono i rifugiati ma ad un certo punto della storia, come già successo, potremmo essere noi.
La violenza e l’assenza di umanità ed empatia con la quale certe tematiche vengono trattate dovrebbe preoccuparci proprio per questo, ledere in modo sistematico diritti umani fondamentali è gravissimo a prescindere dai soggetti coinvolti.

Le nostre politiche per l’immigrazione non sono sempre state così: quando il vento ha cominciato a cambiare?
L’Italia è il braccio esecutivo di una linea europea di respingimento e controllo delle frontiere iniziata con la dichiarazione di Malta del febbraio 2017. La svolta grande si è verificata in quel momento, quando ha preso il via anche la campagna ignobile di criminalizzazione e attacco della nostra attività sotto tre principali fronti: politico, giudiziario e mediatico. Questo governo non sta facendo altro che seguire una direttiva già preparata e portata avanti dal precedente, magari in modo diverso ma con la stessa finalità: se prima ci si concentrava sugli accordi internazionali in particolare con la Libia, adesso si punta sull’esplicita condanna dei flussi migratori.

Con il vostro lavoro in mare inchiodate di fatto l’Europa alle proprie responsabilità, è anche per questo che siete visti come un testimone scomodo da scoraggiare il più possibile?
L’opinione pubblica non sembra particolarmente scossa da ciò ma di alcune cose è meglio non parlare e chi denuncia le atrocità che succedono nei centri di detenzione libici e i morti in mare di certo dà fastidio. Tra una ventina d’anni troveremo scritto sui libri di storia quello che sta avvenendo oggi e diremo che non ne sapevamo nulla. Dopo quanto successe circa un’ottantina di anni fa si disse never again, mentre oggi restiamo a guardare di fronte al ripetersi di dinamiche simili, appena al di là del nostro mare.

Accantonando la politica, uno degli aspetti più preoccupanti è che l’opinione pubblica sia tanto indifferente di fronte al racconto di certi drammi. Come siamo diventati così cinici?
Credo che la distanza mentale sia la prima motivazione di una tale mancanza di immedesimazione e umanità. A chi odia i migranti solo vedendoli in strada vorrei chiedere se si siano mai fermati a parlare o a condividere un pezzo di vita con loro, sono sicura che la maggior parte affermerebbe di no. È facile farsi deviare da un certo tipo di propaganda che erge lo straniero a capro espiatorio per giustificare ogni insuccesso individuale ma voglio credere che le persone che esprimano tanto livore non siano la maggioranza e che le stesse se si trovassero in mare sarebbero le prime a tendere la mano per soccorrere gli altri.
Sminuire il tema dell’immigrazione e credere possa risolversi facilmente è sbagliato ma dopo aver ascoltato storie atroci da persone che hanno solo da insegnarci e aver visto molte di loro affogare in acque gelide mi sento di dire che forse si potrebbe fare anche meno peggio di così.