Si avvicinano le europee e si preannuncia una campagna elettorale in cui sarà il tema delle migrazioni a infuocare il dibattito. Ma come la pensano davvero le forze politiche italiane (destre a parte), al di là degli slogan? Siamo andati a chiederglielo. Interviste a Eleonora Forenza, Stefano Fassina, Benedetto Della Vedova, Paola Taverna, Emanuele Fiano

A pochi mesi dalle elezioni europee di maggio, chiacchiere social e selfie a parte, quali sono le reali posizioni delle forze politiche italiane sul tema dell’immigrazione?
Per cercare di andare oltre gli slogan, siamo partiti da un importante documento stilato da alcune associazioni – non solo italiane – che si occupano di immigrazione, diritti umani e frontiere, e collaborano all’interno dell’Osservatorio solidarietà della Carta di Milano (lanciata il 20 maggio 2017 durante la manifestazione “Insieme senza muri”). Nelle 12 pagine del documento, dal titolo Migrazione, accoglienza e antirazzismo, carta di impegno per i candidati e le candidate alle elezioni europee si elaborano riflessioni e proposte di sistema.
La loro versione definitiva sarà pubblicata sul sito osservatoriosolidarieta.org. Nel testo si affronta in maniera interdisciplinare il tema, proponendo alcuni impegni, e si chiede a chi aspira ad essere eletto a Strasburgo di sottoscriverli. Alla vigilia di una campagna elettorale in cui il tema delle migrazioni sarà usato come una clava per conquistare consensi, abbiamo chiesto ad alcuni esponenti – dal M5s, al Pd, a Rifondazione, passando per Più Europa e Patria e Costituzione (Eleonora Forenza, Stefano Fassina, Benedetto Della Vedova, Paola Taverna ed Emanuele Fiano – vedi titoli più avanti, ndr) – di rispondere su alcuni punti ben precisi. Il documento parte da parole chiave come “confini” chiedendo se, data anche l’assenza di reali emergenze, si intenda continuare a sostenere regimi come quello turco o situazioni atroci come quella libica con l’unico obiettivo di “far diminuire gli arrivi”. È possibile con questi Paesi rompere gli accordi bilaterali, spesso di polizia e contemporaneamente intervenire contro l’aumento delle frontiere interne in Europa? O in nome della “sicurezza” si intende lasciare i singoli Stati liberi di reprimere?
E poi, per impedire una condizione di perenne emergenzialità dei migranti, perché non si interviene finalmente per cambiare alla radice il Regolamento Dublino?
Altro piatto forte della retorica securitaria è quello dei “rimpatri,” affrontato attraverso accordi bilaterali con regimi che violano le libertà fondamentali e con dispositivi come la legge Salvini, che ripotenziano strumenti di detenzione amministrativa (i Cpr).
Va poi affrontata la questione…

L’articolo di Stefano Galieni prosegue su Left in edicola da venerdì 8 marzo 2019


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