Shuhada Street era il cuore della città vecchia con la stazione dei bus, il mercato e centinaia di negozi. Da vent’anni è tutto perso, dicono Ahmad, Jannat e altri giovani del posto. Botteghe chiuse per ordine israeliano, case occupate dai coloni e blocchi stradali che impediscono il passaggio

Ahmad e Jannat hanno vent’anni. Sono nati e cresciuti ad Hebron, città palestinese nel sud della Cisgiordania. Non hanno mai visto Shuhada Street, la principale arteria della città, aperta.
È una strada fantasma da oltre due decenni: negozi chiusi per ordine militare israeliano, case occupate dai coloni, decine di blocchi stradali che impediscono il movimento. Eppure Shuhada Street era il cuore della città vecchia di Hebron: era sede della stazione dei bus, del mercato della frutta e della verdura, di centinaia di negozi. Affollata a ogni ora di auto e persone, un groviglio di corpi, grida dei venditori per attirare la clientela, saluti tra conoscenti: «Era così piena di gente che non lasciavo mai la mano di mio padre per paura di perdermi», ci raccontava Mohammed poco tempo fa, davanti al suo negozio di souvenir.
Lui, che oggi ha quasi 30 anni, Shuhada la ricorda così. Ahmad e Jannat no: «L’abbiamo vista solo in fotografia». I due giovani sono arrivati in Italia all’inizio di marzo per una serie di eventi organizzati da Assopace per la campagna Open Shuhada Street, che da anni i palestinesi portano avanti dentro e fuori la Palestina per tenere accesa l’attenzione sull’occupazione militare israeliana di Hebron. Un’occupazione diversa, in qualche modo, da quella subita dal resto dei Territori Occupati: Hebron, Al Khalil in arabo, è la sola città della Cisgiordania dove le colonie (illegali per il diritto internazionale) occupano il cuore della comunità, il centro storico.
La prima colonia costruita ad Hebron dalle autorità israeliane, Kiryat Arba, è anche la prima sorta nei Territori dopo la guerra dei sei giorni del 1967. Un anno dopo le colline intorno alla città palestinese vengono occupate dall’insediamento. Da lì parte una colonizzazione che permea l’intera città e la divide fisicamente in due: nel 1994, dopo il massacro alla Moschea di Abramo (29 palestinesi uccisi mentre pregavano all’alba di un giorno di Ramadan da un colono israeliano, Baruch Goldstein), Tel Aviv impone la divisione della città in due. Area H1 e Area H2, la prima sotto il controllo palestinese e la seconda (che coincide con il centro storico, il cuore commerciale, culturale e politico di Hebron) sotto il controllo israeliano. Pian piano sempre più…

L’articolo di Chiara Cruciati prosegue su Left in edicola dal 15 marzo 2019


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