A finanziare il primo movimento fascista nel 1919 furono alcuni comparti della grande borghesia, tutt'altro che spaventati dal "rivoluzionarismo diciannovista"

La polizia di Milano, la sera stessa di domenica 23 marzo 1919, in un rapporto su «Riunione di fasci interventisti», riferì di circa 300, tra ex combattenti, interventisti e “arditi”, radunatisi nel salone del Circolo per gli interessi industriali, commerciali e agricoli di piazza San Sepolcro. Secondo altre fonti in realtà erano poco più di duecento. Un insuccesso se solo si consideri che l’incontro era stato promosso da un uomo politico, Benito Mussolini, conosciuto da più di quattro anni per le sue posizioni interventiste, e che l’evento era stato propagandato per venti giorni da un quotidiano, Il Popolo d’Italia, fondato dallo stesso Mussolini il 15 novembre 1914 allo scopo di far entrare l’Italia in guerra contro l’Impero asburgico.

L’avvenimento passò pressoché inosservato. Il Corriere della Sera, nella rubrica “Le conferenze domenicali”, non sprecò più di dieci righe. Più o meno lo stesso spazio che fu dedicato al furto di sessantaquattro casse di sapone in via Pomponazzi. Inizialmente l’assemblea fondativa dei Fasci di combattimento avrebbe dovuto tenersi al Teatro Dal Verme, luogo prestigioso, duemila posti, decisamente troppi anche secondo le più rosee previsioni dei promotori.

Ex combattenti, arditi e futuristi
Grazie all’elenco dei nomi e degli incarichi trascritti il giorno successivo su Il Popolo d’Italia (come ricostruito da Mimmo Franzinelli nel recentissimo Fascismo anno zero, Mondadori) sappiamo che il grosso dei partecipanti, per lo più giovani (oltre i tre quarti aveva meno di quarant’anni), era rappresentato da ex combattenti, soprattutto milanesi. Numerosi gli “arditi” (i reparti d’assalto costituiti nel 1917 all’insegna dello spirito di corpo e dell’oltranzismo patriottico), circa una quarantina. La parte restante era composta da chi si era battuto per l’entrata in guerra dell’Italia, tra loro anche l’ala “rivoluzionaria”, composta da socialisti, sindacalisti e anarchici che avevano dato vita nel 1914 ai Fasci d’azione rivoluzionaria. Un piccolo gruppo, una decina, proveniva, infine, dal movimento “futurista”, guidato in persona da Filippo Tommaso Marinetti, il suo fondatore, che a margine della riunione, secondo una testimonianza, si adoperò a organizzare una colletta «per acquistare indispensabili pistole». La riunione non durò più di quattro ore e si sciolse alle 16,40.

Il programma
Mussolini prese la parola due volte. Prima per illustrare alcune mozioni, poi approvate, che andavano dal sostegno alle rivendicazioni degli ex combattenti alla condanna di ogni «imperialismo», anche di quello italiano, alla rivendicazione dell’«annessione di Fiume e della Dalmazia», fino all’impegno di «sabotare con tutti i mezzi le candidature di tutti i neutralisti di tutti i partiti». Nel secondo intervento affrontò la questione del programma. Definì i Fasci di combattimento «una minoranza attiva», dichiarò quindi «guerra al socialismo perché contrario alla nazione» e al «partito socialista», incapace «di mettersi alla testa di un’azione di rinnovamento». Disse anzi che fosse necessario «scindere il partito socialista dal proletariato». Si dichiarò a favore delle richieste operaie, dalle otto ore alle pensioni di invalidità e di vecchiaia, fino al «controllo delle industrie». Sostenne quindi il diritto dei Fasci di combattimento a succedere alla classe politica, propose l’abolizione del Senato e l’elezione della Camera a suffragio universale, esteso alle donne, con sistema elettorale proporzionale. Concluse pronunciandosi «contro tutte le forme di dittatura» in favore del sistema repubblicano. Un programma confuso e demagogico, declinato al «negativo», come scrisse lo storico Renzo De Felice nel suo Mussolini il rivoluzionario, «genericamente orientato a sinistra», nel senso «di un nuovo ordine che neppure essi sapevano bene prefigurarsi».

L’assalto alla redazione dell’Avanti
Furono gli “arditi”, costituitisi in associazione nel gennaio del 1919 anche grazie ai finanziamenti di industriali ottenuti tramite Mussolini, a rappresentare il braccio armato del nascente movimento fascista e a giocare un ruolo politico. Squadre di “arditi” armati presidiavano, giorno e notte, la redazione de Il Popolo d’Italia in via Paolo da Cannobio, dietro il Duomo, e la propria sede in via Cerva con la connivenza della polizia. La svolta avvenne il 15 aprile, un martedì, solo tre settimane dopo piazza San Sepolcro. Una quarantina di sansepolcristi spalleggiati da numerosi studenti ufficiali (almeno 300) capitanati da Ferruccio Vecchi, e gruppi di futuristi con Marinetti in testa (come lui stesso raccontò in La battaglia di via Mercanti, il 15 aprile 1919, la prima vittoria del fascismo), provenienti da una manifestazione “patriottica”, sciolse a colpi di revolverate e bombe a mano, in piazza Mercanti, un corteo di anarchici e socialisti di un migliaio di persone. Venne uccisa un’operaia cucitrice diciannovenne e furono ferite gravemente almeno trenta persone. Fascisti, “arditi” e ufficiali si diressero quindi in un corteo rapidamente ingrossatosi (circa 1.500 persone) alla sede dell’Avanti!, in via San Damiano, dove travolsero il cordone dei soldati per poi devastare e dare alle fiamme la redazione. Un soldato e due socialisti rimasero uccisi. Alcuni “cimeli”, tra cui l’insegna in legno divelta all’ingresso dell’Avanti!, vennero poi donati a Mussolini nella redazione de Il Popolo d’Italia. Giorni dopo il ministro della Guerra, Enrico Caviglia, giunto a Milano, disse che il loro gesto aveva «salvato la nazione». Le autorità politiche e militari coprirono l’aggressione.

I finanziatori
Gli storici che hanno approfondito la nascita dei Fasci di combattimento, confrontando i nomi di coloro che erano intervenuti alla riunione di piazza San Sepolcro con i partecipanti al congresso nazionale tenutosi a Napoli alla vigilia della “marcia su Roma”, nell’ottobre del 1922, hanno rilevato come nel giro di soli tre anni si fosse eclissata la quasi totalità dei fondatori. Un mutamento radicale del primo gruppo dirigente del movimento fascista. I socialisti, i sindacalisti rivoluzionari, gli anarchici e i repubblicani erano letteralmente svaniti. Al loro posto erano affluiti in massa i nazionalisti. Anche dal punto di vista sociale al posto degli operai e dei piccoli borghesi erano arrivati industriali, agrari e aristocratici.

Grazie a recenti acquisizioni d’archivio ora sappiamo anche che a finanziare il primo movimento fascista furono alcuni comparti della grande borghesia, tutt’altro che spaventati dal “rivoluzionarismo diciannovista”. L’elenco degli inserzionisti su Il Popolo d’Italia dice delle elargizioni delle aziende milanesi e settentrionali «con particolare riguardo all’industria pesante». Si va dall’Ansaldo all’industria mineraria Montecatini, dalle officine meccaniche di Reggio Emilia all’Ilva, solo per citarne alcune. La «parte più moderna del capitalismo», sostiene lo storico Franzinelli. Così certamente sarà in seguito. La piccola borghesia in Italia, sosteneva Gramsci, paragonabile ai bandar-log – alla tribù delle scimmie ne Il libro della Jungla di Kipling – sradicati e distruttivi, divenne il naturale strumento dei propositi controrivoluzionari degli industriali e dei proprietari terrieri, ovvero della vecchia classe dirigente. In questo ambito sociale si sviluppò e radicò il movimento fascista.

Oggi
Ora in piazza San Sepolcro, nell’edificio che ospitò la fondazione dei Fasci di combattimento, da molti anni si è insediato un commissariato di polizia. Sul fianco è visibile una torre littoria. Dietro un presidio dei carabinieri con fregi del Ventennio sui muri. Via Paolo da Cannobio esiste ancora, ma l’intero quartiere, il Bottonuto, alle spalle del Duomo, malfamato e degradato, fu sventrato e completamente ridisegnato già a partire dagli anni Trenta. Ora della vecchia redazione de Il Popolo d’Italia non esiste più nulla e al suo posto sorge un edificio abbastanza moderno e anonimo. In via Cerva, nei locali un tempo covo degli “arditi”, si trova adesso una bottiglieria gestita dagli eredi dei proprietari. Nessun segno dell’antica presenza.

Chi vorrebbe ricordare quei tempi sono oggi le organizzazioni neofasciste. In prima fila CasaPound, che più di ogni altra si ispira alle gesta del primo movimento fascista e che ha programmato per la stessa giornata del 23 marzo un concerto nazi-rock a Milano, volutamente con inizio alle ore 19 e 19. Sono attese delegazioni estere e folte rappresentanze dalla Lombardia, dal Lazio e da Trieste.