Se il governo non interviene in fretta c’è il rischio che chiudano tutti i cantieri, a iniziare da quelli piccoli, dice Alessandro Genovesi della Fillea Cgil. Ecco quali sono e dove si trovano le 647 opere pubbliche di interesse nazionale al momento bloccate

Non succedeva dal 1994. Per riuscire ad aprire un tavolo di trattativa, Fillea Cgil, Filca Cisl e Feneal Uil hanno proclamato lo sciopero generale di tutti i comparti delle costruzioni, che ha invaso Roma venerdi 15 marzo. In piazza i lavoratori dell’edilizia, del cemento, dei laterizi, dei lapidei, del legno. O perlomeno quelli superstiti, visto che negli ultimi dieci anni ne sono venuti meno 800mila, e la capacità produttiva si è dimezzata. Numeri da ecatombe e sensazione di avere toccato il fondo.

«Basta perdere tempo. Siamo a livelli da post-guerra mondiale. Serve una politica industriale per far ripartire l’edilizia, la filiera dei materiali e dell’arredo» protestano i sindacati. «Il governo sta fermando i pochi cantieri superstiti. Non c’è solo la Tav – spiega a Left Alessandro Genovesi, segretario nazionale della Fillea Cgil, la federazione italiana dei lavoratori del legno, dell’edilizia e delle industrie affini ed estrattive -. Se non corriamo subito ai ripari, rischiamo di chiuderli tutti, a iniziare da quelli piccoli. E si fa sempre meno manutenzione delle strade, delle ferrovie e del patrimonio immobiliare, costruito in larga parte negli anni settanta e in via di deterioramento. C’è poi il problema forse più allarmante di tutti: visto l’andazzo, le grandi opere pubbliche incompiute potrebbero restare tali in eterno».

A rimetterci è inoltre l’occupazione complessiva. «Se completassimo perlomeno le incompiute più urgenti, daremmo un lavoro immediato a 25mila…

L’inchiesta di Maurizio Di Fazio prosegue su Left in edicola dal 22 marzo 2019


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