Da marzo tutti gli stranieri richiedenti asilo avranno diritto alla iscrizione immediata nei registri anagrafici della popolazione residente in ogni Comune d’Italia. La recente ordinanza del Tribunale di Firenze del 18 marzo scorso (n. 361/2019), che ha imposto al Comune di Scandicci l’immediata iscrizione nell’anagrafe comunale di un richiedente asilo, sta facendo scuola. Alta scuola di giurisprudenza.
Perché il giudice della IV Sezione civile del Tribunale del capoluogo toscano ha accolto il ricorso di un richiedente asilo (a cui il Comune di Scandicci aveva respinto la domanda di iscrizione anagrafica, richiamandosi al cosiddetto Decreto sicurezza) sulla base di una «interpretazione letterale, sistematica e teleologica» dei testi di legge, italiani e comunitari in coerenza con l’intero sistema normativo e sul piano costituzionale. Perché, si legge nell’ordinanza, la legislazione ordinaria «non fa sistema in sé medesima, bensì con la normativa costituzionale».
In parole semplici, l’ordinanza del Tribunale di Firenze ha chiarito, una volta per tutte, con estrema acutezza e competenza giuridica d’affondo, determinata ma sempre garbata, l’errore di interpretazione in cui è incorso il Comune di Scandicci che ha emanato il provvedimento di rigetto ritenendo che l’art. 13 della legge Sicurezza del 2018 «vieti ai richiedenti la protezione internazionale – benché regolarmente soggiornanti sul territorio – l’accesso alla residenza» in quanto l’inserimento del nuovo comma 1bis (all’art.4 del d.lgs n. 142/2018) stabilisce che «Il permesso di soggiorno (…) non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell’art. 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».
Ovvero, l’errore del Comune di Scandicci è stato proprio quello del ritenere, ovvero dell’interpretare il testo alla luce delle intenzioni del governo, ovvero del ministro Salvini, invece di attenersi letteralmente al «significato proprio delle parole secondo la connessione di esse» e secondo l’intenzione del legislatore. Perché la legge, una volta approvata, scrive il giudice, «si stacca dall’organo che l’ha prodotta e non viene più in rilievo come una “decisione” legata a ragioni e fini di chi l’ha voluta ma come un testo legislativo nell’insieme dell’ordinamento giuridico».
Proprio attraverso l’analisi delle parole del nuovo comma 1bis inserito nel Decreto sicurezza risulta palese che «tale disposizione non prevede in modo espresso alcun divieto di iscrizione anagrafica per il richiedente asilo» ma solo che il permesso di soggiorno per richiesta di asilo non è più documento utile per la suddetta iscrizione. Attenzione: documento utile, non “titolo”. Perché, spiega il giudice, né nel Decreto sicurezza, né nel Regolamento anagrafico della popolazione residente (d.lgs n. 286/1998), tuttora vigente, si fa menzione di “titoli” che si rendono necessari per l’iscrizione all’anagrafe. Anzi, all’art. 6, comma 7, del suddetto Regolamento si legge che le «iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani». Perché l’iscrizione anagrafica, spiega il giudice, è un «diritto soggettivo» ma anche un «dovere» ai sensi dell’art. 2 della legge 1228/1954 che recita: «È fatto obbligo ad ognuno di chiedere per sé e per le persone sulle quali esercita la patria potestà o la tutela, la iscrizione nell’anagrafe del Comune di dimora abituale». E rispetto all’italiano, lo straniero dovrà solo dimostrare di essere regolarmente soggiornante in Italia, proprio come previsto dal Regolamento anagrafico.
Se si voleva vietare l’iscrizione anagrafica, spiega il giudice, «il legislatore avrebbe dovuto modificare il comma 7 dell’art. 6 del Testo Unico Immigrazione prevedendo un’esplicita eccezione per i richiedenti asilo». Ma non l’ha fatto, per cui i principi generali in materia di immigrazione che trattano di iscrizioni anagrafiche non sono stati per nulla modificati dal cosiddetto decreto sicurezza. Inoltre, spiega ancora il giudice, l’iscrizione anagrafica è un «atto meramente ricognitivo nel quale l’autorità amministrativa che vi provvede non ha alcuna sfera di discrezionalità, ma solo compiti di mero accertamento». Perché il diritto soggettivo all’iscrizione anagrafica ha rilievo costituzionale «in quanto trova il suo riferimento nell’art. 16 della Costituzione, relativo alla libertà di circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale».
Così come la parità di trattamento tra stranieri regolarmente soggiornanti e cittadini (art. 117 Costituzione) garantito anche dall’articolo 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che «fissa il principio dell’inammissibilità di ogni discriminazione tra cittadini degli stati membri e stranieri regolarmente soggiornanti». Inoltre, evidenzia il giudice, dal momento che l’iscrizione anagrafica costituisce «una posizione per certi versi assimilabile ad uno status da cui promana una molteplicità di diritti (dall’accesso ai servizi e alle misure di politica attiva del lavoro fino al rilascio della patente di guida ed all’ottenimento della cittadinanza italiana)», il rifiuto del Comune di Scandicci di iscrivere il richiedente asilo alle liste anagrafiche costituisce «una lesione di un diritto soggettivo ed impedisce il godimento e l’esercizio effettivo dei diritti di rilievo costituzionale».
«Dopo questa sentenza – spiega l’avv. Andrea Callaioli di Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione), che sostiene la diffida al Comune di Pisa depositata, all’indomani della pubblicazione dell’ordinanza del Tribunale di Firenze, da Ciccio Auletta, capogruppo di “Diritti in Comune” (Una Città in Comune, Rifondazione Comunista, Pisa Possibile), contro l’errata applicazione della Legge Salvini – se un sindaco, in qualità di ufficiale di governo e quindi anche di ufficiale dell’anagrafe, si rifiutasse di dare la residenza a un richiedente asilo incorrerebbe nel reato di omissioni di atti d’ufficio perseguibile penalmente»